“Sei giorni dopo…”
Omelia per il 40° di sacerdozio
di mons. Domenico Simeone
Atina, 6 agosto 2017
Cari amici,
carissimo don Mimmo,
abbiamo appena proclamato la Parola con la quale oggi siamo resi partecipi della trasfigurazione di Gesù sul monte da lui scelto. L’evangelista Matteo riporta questo evento all’inizio del capitolo 17 della sua redazione. Riscontro però un vuoto letterario non trascurabile, dal momento che è stata tagliata l’espressione che costituisce il vero incipit del racconto: “Sei giorni dopo…”. Che cosa è accaduto sei giorni prima? A Cesarea di Filippo, Gesù chiede agli apostoli che cosa la gente pensa e dice di lui. E dopo aver ascoltato le molte confuse risposte, Gesù interpella direttamente gli apostoli: “Ma voi, chi dite che io sia?” (Mt 16,15).
La domanda provoca l’apostolo e mette a nudo la qualità della sequela di Cristo. E’ Pietro che prende la parola: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Gesù approva questa dichiarazione “politicamente corretta”, teologicamente precisa; e la ricambia, dichiarando: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa…”. Subito dopo Gesù comincia a parlare di sé non come lo immaginava la gente, un bravo liberatore politico, capace di risolvere soprattutto l’angoscia sociale dell’occupazione romana. Gesù dichiara apertamente che il suo destino finale avrà a che fare con l’ ignominia, il rifiuto, l’insulto, l’umiliazione, la passione, la croce, la morte. Pietro è confuso: fa un passo indietro, non ci sta: “Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai”. Non so se Pietro fosse preoccupato davvero del destino riservato a Gesù o piuttosto impaurito per se stesso, sapendo che avrebbe dovuto prendere parte alla medesima tragedia. E questo, Pietro non riesce proprio a mandarlo giù. Nella sua esposizione pubblica è pronto a confessare la sua fede nel Signore; a livello interiore, invece, è attraversato da molti dubbi, insicurezze, resistenze che lo portano persino a prendere le distanze dal Maestro e a contestare le sue parole.
Oggi, l’evento della trasfigurazione sembra riservato soprattutto agli apostoli, in particolare a Pietro. L’evangelista Matteo collega i due racconti, Cesarea di Filippo e il monte della trasfigurazione, utilizzando la frase-aggancio “Sei giorni dopo…”. Il sesto giorno nell’ordine della creazione è il momento della creazione dell’uomo! Il sesto giorno di Pietro è il momento in cui Gesù vuole ri-creare il discepolo, rigenerare il suo cammino, ri-modellare le sue risposte, rafforzare la sua fedeltà. Le risposte che Pietro dà al Signore sono cervellotiche, astratte, teoriche. Non toccano il cuore. Non si può seguire Gesù con il solo studio della teologia, con la conoscenza della dottrina, con la professione di impeccabili definizioni. Pietro ha bisogno di essere rigenerato nell’amore, deve cominciare ad impegnare il cuore. La Trasfigurazione parla soprattutto di noi preti perché apostoli, parla oggi in modo speciale di te e a te, carissimo don Mimmo, che oggi celebri con gratitudine i quarant’anni del tuo ministero presbiterale.
“Quarant’anni dopo…”. Anche tu, come Pietro, hai bisogno di condividere in prima persona la trasfigurazione del Signore. Tanto è cambiato della tua vita e del tuo ministero presbiterale. Come il Signore ha guidato il suo popolo nel deserto per quarant’anni, così ti ha guidato e sostenuto in questo lungo e prezioso cammino. Come Pietro a Cesarea di Filippo, anche tu hai annunciato e celebrato pubblicamente la fede della Chiesa nel Signore risorto, : “Tu sei il Cristo..”. Ma anche nel tuo animo, come nel cuore dell’apostolo, si sono intrecciati entusiasmi e fatiche, successi e fallimenti, slanci generosi e stanchezza, gratificazioni e dispiaceri. E’ per tutti così. Oggi il Signore ti prende ancora una volta con sé, la sua trasfigurazione rigenera le tue energie spirituali e pastorali, rinnova il tuo sì incondizionato. Ti conduce in disparte per chiederti ancora di più; ti conduce sul monte dove con la solitudine della tua coscienza presbiterale ti disponi dinanzi al mistero in un silenzio adorante; è il monte della preghiera, dell’intimità, della confidenza, del dialogo, del pianto, della gioia, della carezza del Signore che passa nel “sussurro di una brezza leggera” (1Re 19,12). Il monte è il luogo privilegiato della teofania dove impari a prendere confidenza con la luminosità sfolgorante e folgorante della sua luce.
Grazie a questa esperienza Pietro riprende fiato e vigore; finalmente parla con il cuore, diventa capace di prendere in mano la sua vita e consegnarsi al Signore: “E’ proprio bella stare con te stare qui”. E bello essere preti, è bello dire di sì, sempre. E’ come dire: “Signore, è bello stare non solo in disparte con te per un momento, ma restare dalla tua parte per sempre, con tutta la mia vita”. Pietro vuole costruire tre tende. Probabilmente questo evento della Trasfigurazione sarà accaduto in prossimità della ricorrenza liturgica delle Capanne, festa giudaica che ricordava il cammino di Israele nel deserto. Cristo con la sua Luce ha preparato la tenda del cuore dove Pietro impara a coltivare la sua amicizia con il Signore, a percepire la novità perenne dell’amore e della misericordia di Dio.
I tre apostoli si ritrovano con la faccia a terra, presi da grande timore. Nella Bibbia l’atto di prostrarsi con la faccia a terra esprime l’atteggiamento del chiamato che riconosce la grandezza del mistero: si prostra per adorare il Signore. Caro don Mimmo, se pensiamo alla tanta bontà con cui Dio ci fa poveri per arricchire i fratelli con la ricchezza della sua grazia (cfr. 2Cor 8,9), dovremmo restare con la faccia a terra per tutta la vita! Non abbiamo meriti, non abbiamo titoli, non abbiamo requisiti con i quali pretendere la grazia della chiamata di Dio. Più spesso, forse, ci ritroviamo con la faccia contro il muro per le tante difficoltà, solitudini, tentazioni, scoraggiamenti che sembrano schiacciare la nostra fiducia nell’opera di Dio. Nella vita del prete ci sono delle prostrazioni non proprio adoranti, ma piuttosto umilianti. Per tutto questo, Lui ci dice di non temere, ci invita a riprendere il cammino: “Alzatevi e non temete. Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo”. Dopo quarant’anni ti chiede di riprendere il cammino, e di non mettere al centro del tuo cuore nessuno e null’altro se non Lui solo, Cristo Gesù. L’apostolo non può dare il proprio cuore a nessuno se non a Lui, per amare tutto e tutti nell’amore di Cristo, con il cuore di Cristo e della Chiesa.
+ Gerardo Antonazzo