Aspirate alla Carità

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Meditazione per la Veglia diocesana di Pentecoste – Sora, 1 giugno 2017

“L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori

per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5,5). 

Dalle lingue di fuoco al fuoco della carità

Tra i carismi suscitati dallo Spirito nelle prime comunità cristiane riscuoteva particolare interesse quello di parlare in lingue (1Cor 12,7ss). Anche nel brano della lettera ai Corinzi appena proclamato tale carisma viene richiamato in due passaggi: al v. 1 (“Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli”) e al v. 8 (“Il dono delle lingue cesserà”). San Paolo ne parla con il proposito di fare chiarezza in alcune comunità riguardo alla gerarchia dei carismi: tra tutti i doni suscitati dallo Spirito Santo, il più grande e necessario è senza dubbio l’amore (1Cor 13,1-13). L’apostolo colloca il testo  tra la finale del cap. 12 (Desiderate i carismi più grandi) e l’inizio del cap. 14 (Aspirate alla carità). Tale inclusione letteraria serve per dare centralità al cuore del messaggio paolino: la via “iperbolica” superiore a tutte le altre, la via per eccellenza a cui dovete aspirare è la carità, l’agàpe, per indicare la radice, la ragione, il vertice della vita cristiana. Con tono lirico Paolo celebra, quasi canta la meraviglia dell’amore come dono dello Spirito Santo. La strofa centrale di questo inno paolino mostra le operazioni di cui è capace l’amore agapico: “La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine (vv. 4-8). Il ritmo impresso da questa cascata di brevi proposizioni descrive l’essenza cristallina della carità, la cui purezza morale e spirituale è sostenuta e avvalorata nel v. 8 dal principio della sua perennità: “La carità non avrà mai fine” (letteralmente “essa non cade mai”). Pertanto il fuoco delle lingue cede il passo al fuoco della carità.

Nel greco classico erano utilizzati termini diversi per parlare dell’amore, quali eros per indicare l’amore erotico, l’amore dal punto di vista dei sensi e del piacere; filìa, per indicare l’amicizia, un amore di affetto come l’amore per i genitori o per i figli; infine, agàpe per indicare una particolare generosità. Per parlare dell’amore, san Paolo adopera proprio quest’ultimo termine, considerato di poco valore nella diffusa cultura pagana. L’agape, così ignorata dalla cultura greca, diventa nell’ambiente cristiano il termine cardine. Anche se dobbiamo ammettere due limiti. Il primo: nel nostro linguaggio “carità “ rischia un senso diminutivo, indica l’elemosina, l’offerta; fare la carità significa dare l’obolo al povero e quindi la scelta linguistica che serviva per dare nobiltà a quel termine, oggi è a rischio di ambiguità, e quindi di confusione. Il secondo: il modo di amare del cristiano rischia di restare di stampo erotico più di quanto possiamo immaginare. Infatti, eros non si riferisce sempre ed  esclusivamente ad un’attività sessuale, ma anche ogni forma di amore possessivo e ossessivo. Se proviamo a togliere la particella negativa alle caratteristiche dell’amore agapico descritto da s. Paolo, quello che resta è solo un amore erotico: un amore che è invidioso, si vanta, si gonfia d’orgoglio, manca di rispetto, cerca il proprio interesse, si adira, tiene conto (eccome!) del male ricevuto, gode dell’ingiustizia. E il nostro modo di amare spesso è proprio così!

Al di sopra di tutto

La convinzione inequivocabile dell’apostolo è confermata: senza la carità ogni altro dono spirituale, ogni frammento di grazia che viene da Dio, è sprecato: “Al di sopra di tutto poi vi sia la carità, che è il vincolo di perfezione”  (Col 3,14). Paolo parla della carità in modo assoluto, senza distinguere esplicitamente tra carità fraterna e amore per Dio. L’elogio da lui reso alla carità è composto con grande cura. Senza la carità ogni azione è senza profitto. La carità è la priorità assoluta che Paolo detta ai Corinzi: “Aspirate alla carità” (1Cor 14,1). L’apostolo Paolo esalta le peculiarità inviolabili dell’amore più autentico e sublime. “La carità non separa, la carità non fomenta ribellioni, la carità compie tutto nell’armonia. Nella carità arrivarono alla perfezione tutti gli eletti di Dio. Senza la carità nulla è gradito a Dio. Nella carità il Signore ci ha accolto. Per la carità, che ebbe verso di noi, Gesù Cristo nostro Signore, secondo la volontà di Dio, ha dato per noi il suo sangue, la sua carne per la nostra carne, la sua anima per la nostra anima. Vedete, carissimi, che cosa grande e meravigliosa è la carità, e la sua perfezione supera ogni commento” (Clemente Romano, Lettera ai Corinzi).

La carità edifica

Solo la carità edifica: “La conoscenza riempie di orgoglio, mentre l’amore edifica” (1Cor 8,1). La carità edifica la Chiesa che vive “una, santa, cattolica, apostolica” nella diocesi di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo. La Chiesa non si edifica con l’attivismo, con la competizione, con le correnti e rivalità, con contrapposizioni e dimostrazioni di forza, di prestigio, di privilegi e presunte superiorità. La Chiesa si edifica solo nell’agàpe. Solo la carità spegne ogni focolaio di invidia, di gelosia, di ira, di interesse, di ingiustizia, di impazienza, di vanto dovuto a protagonismo. Senza la carità tutto è intossicato dal veleno della presunzione, e porta alla disgregazione delle logiche di potere e di prestigio. Domandiamoci come viviamo il primato della carità e se la carità qualifica le relazioni nelle nostre parrocchie, nelle nostre aggregazioni ecclesiali, nelle nostre feste religiose, nelle nostre assemblee liturgiche, nei confronti dei bisogni dei più poveri, nell’accoglienza degli immigrati, nell’assistenza ai malati.

Infine, il primato della carità deve edificare anche la “Chiesa domestica”, la famiglia. Il magistero sinodale di Papa Francesco invita spesso con vigore ad investire il prezioso patrimonio dell’agàpe, dono dello Spirito, nell’educazione dei giovani all’amore, spesso ubriacati di esasperato erotismo, per orientare alla scelta della vita coniugale e familiare. Ecco allora alcune questioni educative che non possiamo eludere e disattendere: il vangelo dell’amore arriva davvero al cuore delle persone? la vita cristiana consacrata dallo Spirito sa educare a scelte di vero amore? si è disposti ad amare totalmente e per sempre? è possibile amare nella vera libertà da ogni dipendenza e sottomissione? come favorire la dignità della persona umana, immagine e somiglianza di Dio? Scriveva Benedetto XVI: “Ricordiamo in primo luogo il vasto campo semantico della parola ‘amore’ [… ]. In tutta questa molteplicità di significati, l’amore tra uomo e donna, nel quale corpo e anima concorrono inscindibilmente e all’essere umano si schiude una promessa di felicità che sembra irresistibile, emerge come archetipo di amore per eccellenza, al cui confronto, a prima vista, tutti gli altri tipi di amore sbiadiscono” (Deus caritas est, n. 2). Il neopaganesimo che sembra dilagare senza freni né ostacoli porta con sé una mentalità edonistica e possessiva, come nell’antichità. Dobbiamo allora saper raccogliere  le grandi sfide educative che oggi mettono a dura prova la tenuta evangelica della nostra vita cristiana, e rispondere con la verità infallibile dell’amore.

Gerardo Antonazzo

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