Educare… a km zero
e a zero…interessi
L’educatore alla fede è un artigiano dell’umanesimo integrale. Agisce, sapendo bene che colui che Dio ha creato a sua immagine e somiglianza, è stato salvato da Gesù Cristo, chiamato alla sua sequela. Educare alla vita significa, dunque, dischiudere l’esistenza perché fiorisca e fruttifichi in tutte le sue espressioni. Per tale ragione, oggi desidero meditare e conversare sul nostro dovere educativo, arduo e stupendo allo stesso tempo. Dopo essere caduti negli ultimi decenni nella trappola dell’indifferenza o addirittura dell’insignificanza educativa, con la triste conseguenza di un diffuso, grave, disorientamento a livello familiare, sociale e religioso, dobbiamo adoperarci con ogni mezzo per transitare quanto prima dall’emergenza educativa al compito educativo ordinario.
Una delle questioni cruciali è: da dove ripartire? Il “dove” è di natura antropologica. Significa dunque chiedersi “da chi?”. E da chi, se non dalla figura dell’educatore? Il “dove” chiama in causa il suo stile di vita, la sua maturità e il suo equilibrio psico-affettivo, la buona autonomia delle sue relazioni, la fondatezza e solidità della sua personale esperienza cristiana a partire dall’evento della Pasqua: “Questo centro attorno al quale tutto ruota, questo cuore pulsante che dà vita a tutto è l’annuncio pasquale, il primo annuncio: il Signore Gesù è risorto, il Signore Gesù ti ama, per te ha dato la sua vita; risorto e vivo, ti sta accanto e ti attende ogni giorno…Ogni contenuto della fede diventa bello se resta collegato a questo centro, se è attraversato dall’annuncio pasquale” (Papa Francesco ai Catechisti, 25 settembre 2016).
Stupite per quello che siete
La fede deve trasfigurare la vita dell’educatore. Allora la sua storia è seducente, cattura la simpatia dell’altro, sa “agganciare” il suo ascolto, parla al suo cuore. Educare significa saper stupire, suscitare meraviglia per quello che siamo, ancora prima delle cose che facciamo. Il mondo ebraico prima, e poi la cultura pagana greco-romana, è stata colta di sorpresa dallo stile di vita dei cristiani. Tertulliano testimonia che i pagani esclamavano, ammirati: “Guardate come si amano!” (Apol. 39). E si convertivano perché vedevano la bellezza e l’importanza del comandamento dell’amore. Così scrive anche la Lettera a Diogneto: “I cristiani non si differenziano dagli altri uomini né per territorio, né per il modo di parlare, né per la foggia dei loro vestiti…si propongono una forma di vita meravigliosa e, come tutti hanno ammesso, incredibile” (paragrafi V e VI). L’educatore alla fede è uno che deve far sognare! E’ uno che ancor prima di offrire risposte, deve suscitare domande sulla sua fede, sulla sua vita cristiana, sul suo servizio, sul perché del suo tempo dedicato ad altri come alla sua famiglia La prossimità dell’educatore deve sorprendere per la sua disponibilità…”a km zero e a zero interessi”, con una speciale cura affettiva ed effettiva, appassionato alla crescita dell’altro, con l’unico interesse di favorire il bene della sua vita e non i propri interessi, sapendo bene che la sua dedizione non sarebbe gratuita se ossessionato dalla ricerca di gratificazione, dall’orgoglio, dal ricatto del contraccambio, dalla presunzione e ostentazione dei risultati raggiunti.
“Diventate miei imitatori”
Così papa Francesco al giubileo dei catechisti: “Il suo messaggio passa con la testimonianza semplice e vera, con l’ascolto e l’accoglienza, con la gioia che si irradia. Non si parla bene di Gesù quando si è tristi”. I testimoni sono altamente contagiosi: non lasciano indifferenti rispetto al loro stile di vita. Oggi abbiamo bisogno di modelli, perché di idoli siamo invasi e accerchiati. Tu ami e adori l’idolo che non ti conosce; esso non si cura di te, ma solo di se stesso, asservendo la tua vita ai suoi interessi per poi abbandonarti quando non gli servi più. L’educatore ti è accanto, è parte della tua vita e tu puoi chiedergli conto in qualunque momento del suo esempio. Puoi raccogliere la sfida della sua testimonianza, cioè provare a fare come lui, come lei!
- Paolo, con coraggio apostolico, dichiara a più riprese: “Fratelli, fatevi miei imitatori e guardate quelli che si comportano secondo l’esempio che avete in noi…Ciò che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, è quello che dovete fare” (Fil 3,17.4,9); e ancora: “Vi prego, dunque: diventate miei imitatori!Per questo vi ho mandato Timòteo, che è mio figlio carissimo e fedele nel Signore: egli vi richiamerà alla memoria il mio modo di vivere in Cristo, come insegno dappertutto in ogni Chiesa” (1Cor 4,16-17); e infine: “Diventate miei imitatori, come io lo sono di Cristo” (1Cor 11,1).
Abbiamo l’audacia spirituale di invitare i nostri ragazzi e giovani a imitare per la loro vita quanto vedono fare in noi? Educare è provocare. L’educatore affascina, l’esempio entusiasma e trascina: “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri o, se ascolta i maestri, è perché sono dei testimoni. Egli prova in effetti una istintiva avversione per tutto ciò che può apparire come inganno, facciata, compromesso. In questo contesto si comprende l’importanza di una vita che risuona veramente del Vangelo!” (Paolo VI, Udienza al Pontificio Consiglio per i laici del 2 ottobre 1974).
Lasciatevi sorprendere da Dio
Non si tratta di attrarre a se stessi. Questo è un pericolo! Il mondo è colmo di incantatori di serpenti. Piuttosto, dobbiamo assecondare Dio, che già si introduce, è presente, prima ancora del nostro annuncio. Educare, significa aiutare a scoprire la Sua presenza che già abita l’intimo della persona. Per questa ragione, educare è lasciarsi sorprendere da Dio. Quanto spesso l’opera educativa esplode in una fioritura impensabile, inaspettata! Quando grande è spesso lo scarto tra le abilità dell’educatore e la crescita della persona, oltre ogni aspettativa. Lasciatevi sorprendere, dunque, dalla gioia di veder crescere, senza sapere come: “Come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura” (Mc 4,26-29).
L’educatore sa dare la precedenza a Dio. E’ anche questo il significato del mandato pastorale: agire dando la precedenza a Dio e non a se stessi, agire in nome di Dio e della Chiesa, e non di se stessi. Per questo, l’educazione è sempre un lavoro di squadra, è compito della comunità cristiana: l’educazione non è mai l’opera solitaria di un solista: “Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma era Dio che faceva crescere. Sicché, né chi pianta né chi irriga vale qualcosa, ma solo Dio, che fa crescere. Chi pianta e chi irriga sono una medesima cosa: ciascuno riceverà la propria ricompensa secondo il proprio lavoro. Siamo infatti collaboratori di Dio, e voi siete campo di Dio, edificio di Dio” (1Cor 3, 6-9).
Guardate con fiducia e speranza a quanti la comunità cristiana vi affida. Siate certi che loro non vi dimenticano, Dio vi ricompensa, la Chiesa vi ringrazia.
+ Gerardo Antonazzo