Il Cielo in una stella
Omelia per l’Epifania, 6 gennaio 2018
Le stelle sono state create e disseminate da Qualcuno nell’universo. Unus-versus significa “tutto intero-verso” , e indica che tutto è rivolto nella stessa direzione, verso Colui che ha dato inizio a tutto. Le stelle sono descritte non di rado come punti di riferimento nel cammino dell’uomo e come metafora della luce. Il sommo poeta Dante fa terminare con la parola “stelle” tutte e tre le cantiche della Divina Commedia. L’Inferno non è allietato né da luci né da colori; terminato il faticoso viaggio, Dante esce finalmente “a riveder le stelle” (Inferno XXXIV, 139). Dopo la salita per le sette balze del Purgatorio il poeta è finalmente “puro e disposto a rivedere le stelle” (Purgatorio, XXXIII, 145) . Infine, visitati i nove cieli e superate le tre prove sulla fede, sulla speranza e sulla carità, Dante constata che il Creatore è “quell’amor che move il sole e l’altre stelle” (Paradiso XXXIII,145) .
Nella festa dell’Epifania tutto l’universo si “rivolge” verso un’unica Stella. La luminosità dell’intera volta stellata si concentra in questo straordinario segno, che guida il cammino dei cercatori di Dio.
Dal primo giorno
Lo scriba sapiente ci consegna nella Bibbia parole ispirate per narrare la creazione delle stelle: “Manda la luce ed essa corre, l’ha chiamata, ed essa gli ha obbedito con tremore. Le stelle hanno brillato nei loro posti di guardia e hanno gioito; egli le ha chiamate ed hanno risposto: «Eccoci!», e hanno brillato di gioia per colui che le ha create” (Baruc 3,33-35). La diffusione cosmica della luce crescente parte da molto lontano: “Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e Dio separò la luce dalle tenebre. Dio chiamò la luce giorno, mentre chiamò le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: giorno primo. […] Dio disse: «Ci siano fonti di luce nel firmamento del cielo, per separare il giorno dalla notte; siano segni per le feste, per i giorni e per gli anni e siano fonti di luce nel firmamento del cielo per illuminare la terra». E così avvenne. E Dio fece le due fonti di luce grandi: la fonte di luce maggiore per governare il giorno e la fonte di luce minore per governare la notte, e le stelle. Dio le pose nel firmamento del cielo per illuminare la terra e per governare il giorno e la notte e per separare la luce dalle tenebre. Dio vide che era cosa buona. E fu sera e fu mattina: quarto giorno” (Gen 1,3-5; 14-19).
La luce allo zenith
Nell’Epifania l’opera creatrice della luce raggiunge lo zenith: “Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo […] Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima” (Mt 2, 2.10). Ogni volta che il nostro sguardo tende a sollevarsi verso l’alto, allora gli astri diventano guide.
La stella vista dai Magi li mette in movimento, in cammino, alla ricerca della Verità, disposti a lasciarsi guidare e sorprendere. “Chi cerca la verità cerca Dio che lo sappia o no” (Edith Stein). L’uomo, infatti, è strutturalmente orientato alla Verità che lo trascende, è il cercatore di una Verità, che può essere riconosciuta e accolta, che è irriducibile a un concetto astratto. La Verità è una realtà vivente che si comunica liberamente all’uomo come Amore assoluto. L’uomo si scopre così cercatore di Dio-Verità, ma anche come colui che è cercato e atteso da Dio, come colui che trova se stesso e la piena verità del proprio essere nell’incontro con Lui.
Nel segno della stella e nel desiderio della sua luce brilla sempre la nostalgia di Dio, cercatori capaci di avanzare sempre, per esplorare strade sempre nuove ed inedite dell’incontro con Colui che si lascia trovare lì dove noi non avremmo mai immaginato: “Il credente “nostalgioso”, spinto dalla sua fede, va in cerca di Dio, come i magi, nei luoghi più reconditi della storia, perché sa in cuor suo che là lo aspetta il Signore. Va in periferia, in frontiera, nei luoghi non evangelizzati, per potersi incontrare col suo Signore; e non lo fa affatto con un atteggiamento di superiorità, lo fa come un mendicante che non può ignorare gli occhi di colui per il quale la Buona Notizia è ancora un terreno da esplorare” (Papa Francesco, 6 gennaio 2017).
La stella dell’adorazione
L’immensità del cielo stellato si rispecchia nella stella che guida i Magi verso l’adorazione del Bambino. Giunti a Gerusalemme la stella è assente: la sete di potere di Erode, vuole spegnere la Luce. Ancor prima di incontrare il Bambino, è il potere rappresentato da Erode che pretende la sottomissione dell’ adorazione, che rende sudditi di una forza che sovrasta e schiavizza. Non ogni forma di adorazione coincide necessariamente con l’amore. All’arrivo dei Magi nel cuore del potere di Erode, la stella non brilla più, scompare! Ogni volta che l’uomo si prostra in adorazione davanti agli idoli, la Stella scompare perché rischia di perdere di vista Dio. Ogni forma di sottomissione idolatrica, non fa che produrre insoddisfazione e angoscia. Pertanto, non ogni forma di adorazione coincide necessariamente con l’amore.
I Magi rivedono la stella solo una volta usciti da Gerusalemme, liberi dai lacci di Erode. La luce ritorna a brillare, e riprende con loro il suo viaggio per condurli all’adorazione di Dio, dove si manifesta la povertà dell’amore nella debolezza della carne. La stella “li conduceva a scoprire un Dio che vuole essere amato, e ciò è possibile solamente sotto il segno della libertà e non della tirannia; scoprire che lo sguardo di questo Re sconosciuto – ma desiderato – non umilia, non schiavizza, non imprigiona. Scoprire che lo sguardo di Dio rialza, perdona, guarisce. Scoprire che Dio ha voluto nascere là dove non lo aspettavamo, dove forse non lo vogliamo. O dove tante volte lo neghiamo. Scoprire che nello sguardo di Dio c’è posto per i feriti, gli affaticati, i maltrattati, gli abbandonati: che la sua forza e il suo potere si chiama misericordia. Com’è lontana, per alcuni, Gerusalemme da Betlemme!” (Papa Francesco, 6 gennaio 2017).
+ Gerardo Antonazzo