Omelia per la solennità di s. Restituta
Sora, 27 maggio 2017
La beatitudine nella sofferenza e nella persecuzione è parte integrante del vangelo purissimo di Gesù. Nella predicazione dell’apostolo Pietro cogliamo il segreto della vita cristiana: “Se doveste soffrire per la giustizia, beati voi…Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1Pt 3,14-17). Il testo prospetta la visione combattiva e conflittuale della vita cristiana. E’ ovvio che non basta acquisire le virtù fondamentali necessarie alla sequela del Signore, bensì partecipare al suo destino di sofferenza e di gloria. Tale partecipazione interpreta il giusto significato delle sofferenze di ogni cristiano, il significato di ogni tipo di persecuzione che i seguaci di Cristo subiscono quando vogliono rispondere a chiunque domandi ragione della speranza che anima la loro presenza nel mondo.
In tale contesto, la ricorrenza liturgica di santa Restituta celebra la “beatitudine della laicità”, perché riporta al centro la questione della prospettiva martiriale della vita cristiana laicale. Tra le poche notizie presumibilmente fondate c’è il fatto che Restituta fosse una ragazza romana: una giovane laica. La tradizione vuole che appartenesse all’illustre famiglia dei Frangipane. Sarebbe stata inviata da Roma a Sora per evangelizzare la città; subì il martirio intorno al 275.
La vita cristiana come lotta
Il laico cristiano si imbatte, inevitabilmente nell’insidioso ”incendio della persecuzione, acceso per mettere alla prova” (1Pt 4,12). Il cristiano non deve avere paura, non deve temere il male quando fa il bene: “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate” (Mt 5,11-12). Si è oltraggiati, contestati; si è anche tentati di nascondersi, mentre è necessario che, se uno soffre come cristiano, non si vergogni ma glorifichi Dio per questo nome (1Pt 4,16). In questa atmosfera, mentre si è in paroikía, cioè lungo le vie della storia, è importante il monito dell’apostolo, per conservare intatta la fiducia e la serenità, tenendo alta la fiaccola della speranza: “A chi lo interroga chiedendo le ragioni di questa fiducia e della sua visione del mondo e della vicenda umana, il fedele risponde ‘con dolcezza, rispetto e retta coscienza’, senza aggressività, reagendo pacatamente anche alle accuse, ma sapendo illustrare con efficacia e con motivazioni la sua scelta di fede e di vita. È, questo, un luminoso programma di testimonianza, un esempio di certezza; ma è anche un modello di dialogo, di coscienza limpida della propria identità cristiana, senza però integralismo e chiusura” (G. Ravasi). Ogni sofferenza per la giustizia, quando è vera sofferenza per la vera giustizia, deve essere vissuta come beatitudine e non come disgrazia. Oltretutto, il laico cristiano deve saper dare prova e spiegazione della sua speranza: quando la gente chiede come mai tanta gioia nelle situazioni difficoltà e di sofferenza, bisogna proclamare il Signore Gesù risorto: “La coscienza retta dei cristiani, nella misura in cui non si spaventano, non fuggono, non si nascondono, non dissimulano la loro fede, sarà prima o poi riconosciuta…La scelta di essere totalmente per Lui non è comoda, non porta in tasca del denaro, al contrario ci pone di fronte a difficoltà, anche a livello sociale (C.M. Martini).
Il martirio globalizzato
All’Angelus di domenica 29 agosto 2004, san Giovanni Paolo II ha ammonito i cristiani a esser pronti ogni giorno alla “suprema testimonianza del sangue per la verità e la giustizia”, di fronte ai moderni Erode: “Se relativamente pochi sono chiamati al sacrificio supremo, vi è però una coerente testimonianza che tutti i cristiani devono esser pronti a dare ogni giorno anche a costo di sofferenze e di gravi sacrifici. Ci vuole davvero un impegno talvolta eroico per non cedere, anche nella vita quotidiana, alle difficoltà che spingono al compromesso e per vivere il Vangelo ‘sine glossa’. Come modello il Papa ha richiamato quello dei martiri dei nostri tempi, troppo spesso ignorati: “Mi tornano alla mente i numerosi cristiani, che nel secolo scorso sono stati vittime dell’odio religioso in diverse nazioni d’Europa. Anche oggi, in alcune parti del mondo, i credenti continuano ad essere sottoposti a dure prove per la loro adesione a Cristo e alla sua Chiesa”. Come non pensare ai cristiani dell’Egitto, della Siria, dell’Iraq, del Sud Sudan, e di tante regioni dimenticate? La Chiesa cattolica ha preso coscienza del fatto che l’esperienza del martirio è ancora oggi attualissima. Il “secolo breve”, segnato dai totalitarismi, ha lasciato dietro di sé una lunga scia di sangue cristiano. Ma anche il terzo millennio si è aperto nel segno del martirio: un martirio che conosce molteplici volti e appare sempre più come un’esperienza “globale”. Non soltanto in senso geografico. Oggi nei martirologi finiscono numerosi esponenti delle Chiese locali; non di rado sono i laici a morire, più vulnerabili del prete o del vescovo. I numeri di cristiani martiri in questi ultimi anni smentiscono quanti attribuiscono unicamente al furore anti-cristiano di estremisti musulmani, da un lato, e governi comunisti, dall’altro, il numero di martiri che la Chiesa del XXI si trova oggi ad annoverare. Anche in diversi paesi ufficialmente cattolici del Centro e Sudamerica si continua a morire per l’opposizione in nome della fede ai potenti di turno, siano essi fazenderos, narcotrafficanti, esercito o squadroni della morte. La violenza non è più macroscopica come in anni passati, ai tempi di monsignor Romero o delle dittature che insanguinavano vari paesi. E tuttavia sangue continua ad essere versato in Brasile, Guatemala, Salvador ecc.
Il martirio della laicità
Eppure, questo può diventare tempo di grazia per i credenti, chiamati a vivere “nel mondo” senza essere fagocitati dalla logica della mondanità. “Non è di moda professare la fede. Si può credere privatamente, interiormente, ma non è di buon gusto proclamare apertamente il proprio credo. Gli ambiti pubblici –la televisione, il tempo libero, il tempo del divertimento e dello spettacolo, l’opinione politica- prescindono totalmente da un orizzonte di fede…Non si tratta di incredulità proclamata, come in certi momenti di ateismo teoretico; è piuttosto agnosticismo” (C.M. Martini). Dio non si è estraniato dal mondo, nel mentre il mondo lo rifiuta e lo estromette dal proprio orizzonte: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito… Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (Gv 3, 16-17). E’ di particolare spessore teologico l’intreccio verbale amare-condannare-salvare: non sono i cristiani a salvare il mondo, ma Dio per mezzo dell’opera del Figlio, attraverso i cristiani. I quali, con la stessa passione d’amore del Maestro, devono amare questo mondo di peccato che intende screditare e opporsi all’amore di Dio. Come? Dobbiamo necessariamente recuperare i cinque verbi del Convegno nazionale della Chiesa italiana a Firenze: uscire, annunciare, educare, abitare, trasfigurare. Sono le vie maestre della laicità coerente e audace. Così come anche Papa Francesco invita a fare: “Abbiamo bisogno di laici ben formati, animati da una fede schietta e limpida, la cui vita è stata toccata dall’incontro personale e misericordioso con l’amore di Cristo Gesù. Abbiamo bisogno di laici che rischino, che si sporchino le mani, che non abbiano paura di sbagliare, che vadano avanti. Abbiamo bisogno di laici con visione del futuro, non chiusi nelle piccolezze della vita” (17 giugno 2016). E spiega bene che se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza l’amicizia di Gesù: “Nelle grandi città, città cristiane, anche in famiglie cristiane, ci sono bambini che non sanno fare il segno della croce. E questa paganizzazione della società ci interpella: fate qualcosa per evangelizzare. Lo Spirito spinge ad uscire dalla propria comodità. Com’è bello annunciare a tutti l’amore di Dio che salva e dà senso alla nostra vita (30 aprile 2015). Se la luce della città resta nascosta, se il lievito non si lascia impastare, se il sale perde il sapore, questo accade quando la vita laicale passa dalla minoranza di stile evangelico all’insignificanza dell’incoerenza.
+ Gerardo Antonazzo