Asinus portans mysteria
Omelia per la Domenica delle Palme
13 aprile 2014
La festa delle Palme celebra l’ingresso trionfale di Gesù nella Città Santa, e introduce i credenti nel clima liturgico-spirituale dell’intera Settimana Santa. Mentre il Maestro varca la porta della Città di Gerusalemme, acclamato dalle folle festanti, noi varchiamo la soglia del nostro tempo, santificato dall’Amore più grande, una settimana di passione-amore che decide del nostro destino.
Il Signore ne ha bisogno
Il corteo che accompagna Gesù non è in suo onore: si tratta infatti del consueto pellegrinaggio che molti ebrei facevano a Gerusalemme in occasione delle grandi feste che vi si tenevano ogni anno. Questo pellegrinaggio è poi particolarmente sentito dagli ebrei in quanto si tratta della festa più importante, quella della Pasqua, che ricorda la liberazione dall’Egitto (vedi Esodo 12 – 13).
L’ingresso di Gesù in Gerusalemme è accompagnato dalla scelta di un asino: “Andate nel villaggio di fronte a voi e subito, entrando in esso, troverete un puledro legato, sul quale nessuno è ancora salito. Slegatelo e portatelo qui. E se qualcuno vi dirà: «Perché fate questo?», rispondete: «Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito” (Mc 11,2-3).
Non si tratta di una necessità fisica, trovandosi Gesù a pochi chilometri da Gerusalemme, piuttosto di un’intenzione precisa, che realizza la profezia dell’umile Re-Messia (Zac 9,9). Gesù accetta l’acclamazione messianica dei piccoli e dei poveri, non dei Capi né dei Romani. La profezia di Zaccaria, secondo Matteo, è riferita al Messia e dimostra quindi che proprio Gesù, che entra in Gerusalemme come aveva preannunciato il profeta, è il Messia regale di Israele.
Asinus portans mysteria
L’espressione è attribuita a Erasmo da Rotterdam (1466-1536)[1]. A me piace applicare oggi l’immagine dell’asino che porta Cristo, alla missione della Chiesa, serva d’amore.
Gesù non a caso sceglie l’asino, una bestia che trasporta i pesi del contadino lungo i sentieri assolati di Israele. Gesùsi ricollega volentieri a questa tradizione, per mostrare una gloria umile, una regalità altra. Mentre il partito degli zeloti e di altri insurrezionalisti contro l’impero romano avrebbero preferito accogliere e favorire l’ingresso in Gerusalemme di un messia armato e disposto a usare la forza e la violenza, Gesù si presenta come re umile, incomprensibile agli Ebrei di quel tempo, ma anche agli stessi Romani occupanti.
Nel giorno dell’ingresso trionfale, l’asino della Pasqua fu per il Messia una cavalcatura regale e pacifica. “Non so granchè, ma so di portare Cristo sul mio dorso, e ne sono molto fiero…Sono io che lo porto, ma è lui che mi guida. So che conduce verso il suo Regno” [2].
La Chiesa, come ogni cristiano, tira avanti come un asino, sapendo che chi deve salvare non è l’asino, ma Colui chi vi siede sopra.
Come l’asino, anche la Chiesa deve servire Cristo a testa bassa, nel silenzio delle buone opere e nell’umiltà del proprio essere lievito e fermento nascosto. La Chiesa deve poter applicare nel suo agire lo stile di Giovanni Battista: “Illum oportet crescere, me autem minui” (Gv 3,30), o la regola di Gregorio Magno “ad majorem Dei gloriam”[3], fatta propria da s. Ignazio di Lojola.
Questa è la missione della Chiesa: gustare la gioia di trasportare Gesù sulle spalle e sul cuore, sentire il piacere spirituale di donarlo agli altri, assecondare la direzione indicata dal Signore per arrivare lì dove egli vuole.
La Chiesa, come ogni cristiano, deve essere serva della gloria e della festa di Cristo. Nel giorno in cui Gesù entra trionfante in Gerusalemme, nessuno avrà fatto festa per l’asino, mentre tanti hanno gioito, anzi esultato, per il Maestro[4].
La Chiesa non può oscurare, né velare, né guastare la festa, bensì collaborare perché la gente sia felice di Cristo.
Le virtù educative della Chiesa
La prima virtù educativa che la presenza dell’asino suggerisce alla Chiesa è la mitezza.
Non si deve diventare mai arroganti nella proposta della fede. La fede è grazia, e deve essere percepita come dono, come offerta di Dio pe ril bene della persona. Nella nostra pastorale non possiamo diventare pesanti con la forza delle nostre convinzioni, con l’intelligenza della nostra teologia, con la cultura di un cristianesimo intollerante, con la furbizia dei giochi di potere, con la minaccia o il ricatto verso i più poveri.
La mitezza è la terza beatitudine del discorso della montagna (Mt5). Così ne parla Norberto Bobbio, con il suo rammarico di non credente: “La mitezza è contraria alla protervia, che è l’arroganza ostentata…A maggior ragione, la mitezza è il contrario della prepotenza… La prepotenza è abuso di potenza non solo ostentata, ma concretamente esercitata”[5].
Un’altra virtù necessaria alla Chiesa e al singolo credente, ispirata dalla figura dell’asino, è il decentramento da sé.
Uno dei limiti più pesanti della Chiesa, denunciato da Papa Francesco, è la tentazione di autoreferenzialità: “Quando la Chiesa non esce da se stessa per evangelizzare diviene autoreferenziale e si ammala… una sorte di narcisismo teologico…Quando è autoreferenziale, la Chiesa crede senza accorgersi di avere luce propria; smette di essere il mysterium lunae e lascia lo spazio a quel male così grave che è la mondanità spirituale. Quel vivere per darsi gloria uno con l’altro”[6]. E’ la Chiesa che mi porta Cristo e mi porta a Cristo. Se la missione della Chiesa, in ogni sua espressione, perde il suo decisivo riferimento a Cristo, cade in un malefico proselitismo con il quale tenta di attirare a sé il consenso e la convergenza mondana, rivestita di falsa spiritualità.
Un’ultima virtù della Chiesa ispirata dall’asino: l’umiltà.
Una virtù che non deve mai mancare nell’agire del cristiano e della Chiesa, perché è straordinariamente presente in Dio e nel suo modo di operare.
“Io credo di poter dire: Dio è umile. Quando io prego mi rivolgo a uno più umile di me. Quando io confesso il mio peccato, è a uno più umile di me che domando perdono”[7].
L’uniltà della Chiesa è realismo. L’asino cammina guardando a terra. La Chiesa deve saper misurare i passi possibili, evitare gli ostacoli che si frappongono, trovare lo spazio giusto dove poggiare i piedi, senza pretese, senza illusioni, senza progetti astratti e ambiziosi, superiori alle proprie forse, soprattutto estranei alla volontà di Dio.
+ Gerardo Antonazzo
[1] Erasmo, Adagia, 2.2.4
[2] R. Etchegeray, Tiro avanti come un asino.Cenni di intesa al cielo e alla terra, Cinisello Balsamo, 2007
[3] Dialoghi, 1,2
[4] Cfr. M. Masciarelli, L’asino di Cristo, Todi 2010.
[5] N. Bobbio, Elogio della mitezza e altri scritti morali, Milano 1994, pag. 24.
[6] Intervento del Cardinal Bergoglio in una delle congregazioni pre-Conclave
[7] F. Carillon, L’umiltà di Dio, Bose-Magnano, 1999, p. 7.