La grande crisi
Omelia per la Messa “In Coena Domini”
Pontecorvo-Chiesa Concattedrale, 18 aprile 2019
Il racconto della “cena del Signore” è caratterizzato da una duplice crisi: le divisioni all’interno della comunità (1Cor 11, 17-22); e la drammatica confusione tra i Dodici nel Cenacolo (Gv 13, 1-15). Entrambi sono crisi tremende, ma quella avvenuta nel Cenacolo è senza dubbio la più grave, dal momento che rischia di minare alla radice la missione del Maestro. Tuttavia, ogni crisi può sempre diventare una bella opportunità: quella nella comunità dei Corinzi provoca nei membri l’urgenza della comunione nella vita della Chiesa; quella consumata nel Cenacolo, provoca una straordinaria lezione riguardo al compito educativo.
Lo scandalo delle divisioni
San Paolo passa dall’elogio (1Cor 11,2) al biasimo (1Cor 11,17): quando i Corinzi si radunano per compire questo rito, si riuniscono “non per il meglio, ma per il peggio” (v. 17). Riprovevole paradosso! Il radunarsi nello stesso luogo per prendere la cena del Signore diventa motivo di inaccettabili divisioni (v. 18). L’apostolo è scandalizzato dalle notizie riferitegli, secondo le quali, in concomitanza con il prendere la cena del Signore, alcuni membri della comunità di Corinto mangiavano fino alla sazietà, mentre altri erano lasciati nell’indigenza. Appare chiaro che la condivisione del pane e del calice eucaristici avveniva nel contesto di un pasto vero durante il quale, secondo le consuetudini dell’epoca, ogni membro consumava le proprie provviste, abbondanti o magre, a seconda del rango e della condizione sociale. La partecipazione alla cena del Signore poteva diventare gravemente “indegna” e dichiaratamente “colpevole” (cfr. v. 27), per il fatto che l’assemblea manteneva le consolidate divisioni sociali, mentre nella logica cristiana tutti i membri dovevano essere considerati uguali. Non userà toni più teneri l’apostolo Giacomo, dovendo anche lui fronteggiare la medesima questione: “Fratelli miei, la vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo, Signore della gloria, sia immune da favoritismi personali” (Gc 2,1). Tali “favoritismi” restano sempre causa di discordie disonorevoli per l’assemblea cristiana. I testi sottolineano la necessità irrinunciabile dell’accoglienza reciproca, senza alcun riferimento alla condizione sociale, culturale, economica. E’ la condizione categorica perché la partecipazione eucaristica celebri degnamente la cena del Signore. Ogni forma di ”individualismo” contraddice il principio di una comunità che, grazie alla partecipazione all’unico pane e all’unico calice, si costituisce come “corpo del Signore” nella condizione reale e nel segno concreto dell’unità. La “cena del Signore”, mentre da una parte mette a nudo la fragilità delle divisioni, dall’altra interpella la responsabilità di ogni membro della comunità nel dovere dell’accoglienza e della ricomposizione della comunione fraterna. Il problema dei Corinzi è anche quello di tanti cristiani di oggi: un credente che pratica la cena del Signore non può lasciare indietro o abbandonare altri fratelli, anche non cristiani; la cena del Signore forma cristiani dei “porti aperti”, dei ponti abbassati, per non lasciare morire di fame o affogare nel mare i tanti disperati della storia, i quali non hanno nessuna colpa per essere tali. Questa è la grande lezione che la comunità cristiana deve sempre apprendere dalla celebrazione della cena del Signore.
Nella notte del tradimento
“Il centro della nostra vita cristiana è una grande crisi: l’ultima cena” (T. Radcliffe). Tale crisi si rivelerà una grande lezione rivolta soprattutto all’arte di educare. Faccio riferimento anche al programma pastorale della nostra Chiesa diocesana, improntato sul tema “Giovani in famiglia. L’orgoglio e la fatica di crescere”. Cosa ha da dirci in merito il racconto della crisi scoppiata nel Cenacolo? Risponde ancora Radcliffe: “Tutto stava crollando. Giuda aveva tradito Gesù, Pietro era sul punto di rinnegarlo, gli altri rimuginavano le loro strategie di uscita. Fu il momento più oscuro nella storia della Chiesa. Non c’era altra prospettiva che sofferenza e morte. Sembrava che l’intera vita di Gesù fosse un enorme fallimento”.
Cosa ha dire la crisi del Cenacolo alle famiglie di oggi, spesso in preda ad ansie e insicurezze nei confronti dei figli? E’ la paura del fallimento che attanaglia e spaventa tanti genitori nel turbinio della crescita dei figli. È la paura di sbagliare…tutto. Da qui, tanti sensi di colpa, mortificazioni e rimorsi. Il modo in cui Gesù domina la crisi del Cenacolo insegna a non avere paura delle crisi nel rapporto con i figli. Nel Cenacolo Gesù si comporta da grande educatore: non si perde d’animo, non va in panico, non muta il suo pensiero, non cambia progetto. Invece, cosa fa? Rincara la dose del suo amore, e in quel momento terribile, prende il pane e dice: “Questo è il mio corpo che è per voi…Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue”.
Educare al coraggio di vivere
Gesù non si dispera, pur avendone i motivi. Non perde la calma, pur conoscendo il disordine che attraversa il cuore degli apostoli. Non impedisce loro il coraggio di vivere e il rischio di sbagliare: scegliere, decidere…fallire! Nel cuore della crisi, Gesù parla di amore; anzi dice le parole più grandi dell’amore. Non si tira indietro: nel segno del pane e del calice, e con le parole pronunciate su questi elementi della convivialità, intensifica come non mai il suo amore, donandosi nel sacrificio della propria vita con un amore estremo, “li amò sino alla fine”.
Alcune domande ci bruciano dentro. Cosa succede nelle nostre famiglie quando i figli “sbandano”, sbagliano strada? Come dovrebbe comportarsi un genitore davanti al figlio ”scapestrato”? Gesù lo aveva già insegnato a tutti i genitori con la parabola del padre misericordioso (Lc 15). Il padre della parabola non proibisce al figlio di partire, lo lascia scegliere e lo lascia decidere. Educare al coraggio di vivere comporta anche il coraggio di mettere in conto, soffrendo, gli errori dei figli. Ogni educatore deve rispettare “l’orgoglio e fatica di crescere” dei figli, continuando ad amare, anzi amando ancora di più. Solo l’amore aiuta a superare il conflitto e la crisi, e a ritornare “a casa”.
Gesù si rivela un grande educatore che non limita la libertà dei suoi apostoli. Il padre della parabola non fa un dramma per l’allontanamento da casa del figlio ribelle. E la cosa più sorprendente: non spende una sola parola per convincere il figlio a rimanere. E’ il dramma universale di ogni figlio che cresce. La vita del figlio seguirà il suo corso: ha veramente voglia di vivere! Quando si troverà nella difficoltà, si ricorderà che suo padre non ha mai smesso di amarlo, nonostante tutto. Il Cenacolo ci insegna ad andare oltre ogni crisi. Per questa resta straordinario il fatto che tutte le domeniche, e non solo la sera del Giovedì Santo, ci raduniamo per celebrare la peggiore crisi della storia cristiana, e imparare ad amare ancora di più e poter andare oltre ogni crisi.
+ Gerardo Antonazzo