Omelia del Natale del Signore 2018

Figli nel figlio

 Omelia di Natale – 2018

La costruzione letterario e teologica del prologo del quarto vangelo fissa il punto centrale del brano nel sorprendente annuncio di 1,12: “A quanti lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio” (Gv 1, 12). Con l’incarnazione del Verbo di Dio cambia la condizione divina, e la natura umana viene trasfigurata. Dio diventa anche uomo, e l’uomo è reso partecipe di Dio. Sant’Ireneo afferma: “Questo è il motivo per cui il Verbo si è fatto uomo, e il Figlio di Dio, Figlio dell’uomo: perché l’uomo, entrando in comunione con il Verbo e ricevendo così la filiazione divina, diventasse figlio di Dio” (Adversus haereses, 3). Nel giorno di Natale, nella Messa dell’aurora la preghiera sulle offerte recita: “Accetta, o Padre, la nostra offerta in questa notte di luce, e per questo misterioso scambio di doni trasformaci nel Cristo tuo Figlio, che ha innalzato l’uomo accanto a te nella gloria”. San Gregorio Nazianzeno ci offre un commento stupendo: “Il Verbo stesso di Dio [ ] viene in aiuto alla sua propria immagine e si fa uomo per amore dell’uomo. Assume un corpo per salvare il corpo [ ]. Dio, in un certo senso, assumendo l’umanità, la completò quando riunì nella sua persona due realtà distante fra loro, cioè la natura umana e la natura divina. Questa conferì la divinità e quella la ricevette” (Discorso 45). Il Natale celebra l’abbraccio del divino con l’umano, grazie all’abbassamento del primo e all’elevazione del secondo.

Chi è l’uomo? 

“Con l’incarnazione del Figlio di Dio avviene una nuova creazione, che dona la risposta completa alla domanda “Chi è l’uomo?”. Solo in Gesù si manifesta compiutamente il progetto di Dio sull’essere umano: Egli è l’uomo definitivo secondo Dio” (Benedetto XVI, 9 gennaio 2013).

Senza Cristo, la condizione umana parla di un’esistenza appesantita dai vizi, accecata dal piacere, violentata dalla trasgressione, deturpata dall’immoralità. Quando il peccato diventa un vero “sistema”, esercita un potere diabolico di disaffezione da ogni rapporto con Dio, dissacra la vita umana, violenta e profana la dignità della persona, offusca l’anima, distoglie la coscienza da ogni desiderio di bene, le impedisce persino di desiderare una vita diversa. Un’anima assediata dalle illusioni e dagli inganni del mondo, si lascia attrarre dagli allettamenti frivoli e piacevoli che stordiscono la mente, impedendole di elevarsi a pensieri degni della vocazione dell’uomo. La questione più urgente da risvegliare nella cultura di oggi non è di natura teologica, ma piuttosto antropologica: non possiamo rispondere alla domanda chi è Dio, oppure dov’è Dio, se in pari tempo non ci misuriamo con le domande chi è l’uomo?; dov’è l’uomo? Dove va l’uomo contemporaneo? Parliamo di un dove esistenziale, che riguarda la qualità morale e spirituale della sua esistenza, del suo destino ultimo. Il cammino di risalita dell’uomo verso Dio è il “ritorno” dell’uomo verso se stesso: solo recuperando le domande fondamentali sulla sua esistenza, può ritrovare nell’incontro con Dio la risposta all’anelito di verità e di vita piena. 

Il Concilio Vaticano II lo ribadisce con forza: “In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo… Cristo, nuovo Adamo, manifesta pienamente l’uomo all’uomo e gli svela la sua altissima vocazione” (Gaudium et spes, 22). L’uomo non potrà mai comprendere il perché e il come, quindi il dove, cioè il senso della sua esistenza, senza l’incontro umile e luminoso, fascinoso e tremendo ad un tempo, con il Dio fatto uomo, perchè Cristo svela l’uomo all’uomo: “Dio ha assunto la condizione umana per sanarla da tutto ciò che la separa da Lui, per permetterci di chiamarlo, nel suo Figlio Unigenito, con il nome di “Abbà, Padre” ed essere veramente figli di Dio” (Benedetto XVI, ibidem).

Il Figlio dell’uomo 

A partire dal Natale, uomo condivide con Gesù alcuni tratti del suo essere Figlio, fattosi Figlio dell’uomo: “Questo vuol dire che ogni giorno dobbiamo lasciare che Cristo ci trasformi e ci renda come Lui; vuol dire cercare di vivere da cristiani, cercare di seguirlo, anche se vediamo i nostri limiti e le nostre debolezze” (Papa Francesco, 10 aprile 2013).  Con il Natale Dio sposa la debolezza e la vulnerabilità umana. Il Verbo si fa carne: diventa anche sua la nostra condizione di debolezza, di fragilità, di limite, di peccato, di disperazione, di dolore, di sofferenza, di morte. La nostra condizione di debolezza mortifera non è più soltanto scandalo, ma diventa condizione nella quale si rivela la potenza di Dio. Il “vangelo della debolezza” incoraggia a leggere la sconcertante miseria umana come condizione per ricevere la gratuita della misericordia di Dio. Il Natale ci insegna a non vergognarci della nostra vulnerabilità, per viverla come occasione provvidenziale di fiducioso affidamento alla potenza salvifica di Dio.

La forza eversiva del Natale 

La celebrazione del Natale ci dona anche la grazia di vivere nel Figlio la nostra condizione di povertà. Con la grazia del Natale, impariamo a vivere da poveri nella povertà del Figlio. La povertà di Dio nel presepe è disarmante. Scrive san Gregorio: “Colui che dà ad altri la ricchezza si fa povero. Chiede in elemosina la mia natura umana perché io diventi ricco della sua natura divina. E colui che è la totalità, si spoglia di sé fino all’annullamento. Si priva, infatti, anche se per breve tempo, della sua gloria, perché io partecipi della sua pienezza” (ibidem). Il Natale contesta le nostre presunte sicurezze e prevaricazioni. Il Natale è il grido di Dio-bambino contro ogni accumulo ingiusto e fraudolento di beni. E’ la contestazione di ogni grandezza che prende le brutte pieghe dell’arroganza, fino a diventare delirio di onnipotenza. Ci insegna piuttosto ad apprendere la regola della piccolezza di Dio che viene a farsi carico della fragilità umana. Il Natale è il pianto di Dio nei vagiti di un Bambino: in quel pianto sono “gridate” le ingiustizie nei confronti di milioni di esseri umani, soprattutto bambini, condannati alle atrocità delle interminabili guerre che arricchiscono le industrie belliche dei potenti. Vivere da figli nella povertà del Figlio ci obbliga a mettere a fondamento della vita cristiana la prima beatitudine del vangelo: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli” (Mt 5,3). Il Natale diventa così dono di salvezza.

+ Gerardo Antonazzo

 

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