Libero da tutto, servo di tutti
Ordinazione presbiterale di Mihai Giuseppe
Sora-Chiesa Cattedrale, 25 agosto 2019
Gesù maestro insegna dalla “cattedra” della strada, istruisce la folla mentre Lui è in cammino: “Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, egli prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme” (Lc 9,51). La strada si fa incontro, ascolto, cambiamento, decisione, salvezza. Svolge il suo insegnamento soprattutto sulle esigenze della sequela a quanti lo accostano per chiedere di far parte dei suoi, sulle condizioni di vita del discepolo, sulla reale disponibilità di quanti sono da Lui invitati a seguirlo. Oggi, un tale senza nome e senza volto, pone la domanda sulla possibilità della salvezza: “Signore sono pochi quelli che si salvano?” (Lc 13, 23). E’ la questione che sta a cuore ad ogni presbitero: cosa significa e come prendersi cura della salvezza?
Lottare per la salvezza
La letteratura apocalittica giudaica esorta a vivere nell’imminenza della venuta del regno di Dio, perché “coloro che periscono sono più numerosi di coloro che sono salvati” (4Esd 9,15). Gesù richiede un impegno specifico: sforzatevi (v. 24). Letteralmente: lottate, combattete (in greco: agonìzesthe). Dunque, nel nostro cammino verso il Regno c’è una lotta da condurre, una lotta dura, che è “il buon combattimento della fede” (1Tm 6,12). La lotta è condizione della salvezza, consapevoli che la porta stretta potrebbe diventare porta chiusa (v. 25). Nessuno può illudersi: la sequela di Gesù è a caro prezzo, costa fatica e impegno, richiede di combattere con le armi spirituali. La metafora del passaggio attraverso una porta stretta aiuta a cogliere la fatica e la difficoltà nella sequela di Cristo, è la strettoia della Passione. Gesù è orientato verso l’amore della Croce: il discepolo si conforma a questo amore di Cristo per salvare la propria esistenza. Solo l’amore ci salva! La vita cristiana è assimilabile ad una gara sportiva, ad una vera e impegnativa sfida, competizione, così diversa da una visione della vita facile, fiacca, comoda, per nulla esigente.
San Paolo nella seconda lettura parla della propria salvezza utilizzando le immagini sportive della corsa e del pugilato (vv. 24-27), due discipline sportive che facevano parte dei giochi istmici che si svolgevano ogni due anni a Corinto. Paolo insegna la necessità di una disciplina necessaria nella vita del cristiano, comprese determinate rinunce volontarie. Se, dunque, l’atleta che lotta per una corona corruttibile è disciplinato in tutto, a maggior ragione il discepolo di Gesù deve essere pronto a determinate rinunce, per sperare nel raggiungimento della meta, l’eternità.
Tutto io faccio per il Vangelo
Il tuo ministero deve incarnare con chiarezza la passione per la missione salvifica. Ti stia sempre a cuore la salvezza dei fratelli: “Mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno” (1Cor 9,22). Sì, caro don Giuseppe, il tuo amore per gli altri deve riguardare tutti, a partire dagli ultimi: “Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio”. Stare seduti a tavola con i patriarchi e i profeti richiama l’immagine tradizionale della beatitudine finale, escatologica, riservata agli eletti (Is 25, 6-8; Lc 16,23). E’ il capovolgimento della situazione riguardo alla salvezza finale: gli ultimi (i pagani), potranno prendere il posto degli eletti (i giudei). L’esercizio del ministero presbiterale riceve forma dall’ecclesiologia della Chiesa in uscita, la cui missione è universale nella misura in cui si rivolge a chiunque, senza esclusioni di sorta. Il cuore del presbitero presta il tessuto umano del proprio cuore all’amore di Dio, senza preferenze di categorie sociali o culturali: “Non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti” (1Cor1, 26-27). Paolo dimostra di saper adattare il suo comportamento missionario ad ogni genere di persone di volta in volta incontrate, pur di salvare ad ogni costo qualcuno (v. 22).
Fiducia e misericordia
Caro don Giuseppe, l’ordinazione presbiterale ti rende partecipe della missione salvifica di Cristo, ti fa ardere il cuore di compassione per la salvezza dei fratelli e delle sorelle del nostro tempo. Il tuo cuore sia colmo di gratitudine per la fiducia e per la misericordia di Dio su di te. Innanzitutto, la fiducia di Dio su di te: “Rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me” (1Tm 1,12). Poi, la misericordia di Dio su di te: “Questa parola è degna di fede e di essere accolta da tutti: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io”(1Tm 1,15-16). Oggi il Signore prende la tua libertà e la rende responsabile della vita dei tuoi fratelli. Lasciamo parlare ancora l’apostolo Paolo: “Non sono forse libero, io?” (1Cor 9,1). E risponde: “Essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnare il maggior numero” (v. 19). Scrive s. Tommaso d’Aquino: “La vita dell’uomo consiste nell’affetto che principalmente lo sostiene, e nel quale trova la sua più grande soddisfazione” (Summa Theologiae, IIa, IIae, q. 179, a.1). L’affetto principale che dovrà colmare il tuo cuore di pastore dovrà essere l’impegno per la salus animarum. Amava ripetere s. Giovanni Maria Vianney: “Il sacerdozio è l’amore del cuore di Cristo”. Commenta Benedetto XVI: “Penso a tutti quei presbiteri che offrono ai fedeli cristiani e al mondo intero l’umile e quotidiana proposta delle parole e dei gesti di Cristo, cercando di aderire a Lui con i pensieri, la volontà, i sentimenti e lo stile di tutta la propria esistenza. Come non sottolineare le loro fatiche apostoliche, il loro servizio infaticabile e nascosto, la loro carità tendenzialmente universale?” (16 giugno 2009).
Servo di tutti, schiavo di nessuno
Don Giuseppe, abbi cura della tua stessa salvezza, perché “chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere” (1Cor 10,12). L’apostolo invita ciascuno alla vigilanza: “Dedicatevi alla vostra salvezza con rispetto e timore… per essere irreprensibili e puri, figli di Dio innocenti in mezzo a una generazione malvagia e perversa. In mezzo a loro voi risplendete come astri nel mondo” (Fil 2, 12-15). Lo stato di vita presbiterale non è un ascensore sociale o una promozione economica. Prenditi cura di te come credente e come presbitero, a partire dalle profonde ragioni della tua vocazione, ravvivate da un permanente discernimento sulla fedeltà alla chiamata divina, “perché non succeda che, dopo avere predicato agli altri, io stesso venga squalificato” (1Cor 9, 27). Rifuggi la finzione e l’ipocrisia: le promesse che oggi hai pronunciato ti impegnano davanti a Dio e alla Chiesa. Scrive s. Ignazio di Antiochia nella Lettera ai cristiani di Magnesia: “Per il rispetto di chi ci ha voluto bisogna obbedire senza ipocrisia alcuna, poichè non si inganna il vescovo visibile, bensì si mentisce a quello invisibile. Non si parla della carne, ma di Dio che conosce le cose invisibili (III,1-2). Guardati bene dal rischio di adagiarti, dalla tentazione delle comodità, dalle dissipazioni del cuore, ingannato dalla ricerca narcisistica del proprio benessere. La ricerca di sicurezze e gratificazioni sfigura il vero volto del nostro servizio ai fratelli, e rende irriconoscibile il perché del nostro essere diventati preti. Deturpa il volto della nostra sequela di Cristo e della nostra Chiesa. Se come preti perdiamo per primi la memoria di Dio, per lasciare spazio tornaconti e calcoli di comodo, il nostro servizio perde di consistenza, il cuore si indurisce, gli altri non conteranno più. Affido a te, caro don Giuseppe, la medesima esortazione che l’apostolo rivolge a Timoteo: “Custodisci ciò che ti è stato affidato” (1Tim 6, 20).
+ Gerardo Antonazzo