Omelia per il Millenario della comunità di Picinisco

Stemma Finis Terrae Mons. Gerardo Antonazzo

Abitare la storia con la parola

Omelia per il Millenario della comunità di Picinisco

5 marzo 2017

La gioia della comunità di Picinisco per la datazione millenaria del documento che attesta per la prima volta la sua denominazione (“Piczinisci”) è la gioia dell’intera Val di Comino e della nostra Chiesa diocesana. Ringrazio con viva cordialità le molte autorità civili e militari che fanno corona al Sindaco, Marco Scappaticci, all’Amministrazione Comunale, e ai molti cittadini e fedeli qui convenuti. Con orgoglio facciamo memoria della felice  ricorrenza del Millenario, ben consapevoli della portata storica di tale celebrazione. Il 6 marzo 1017 il nome “Piczinisci” (Picinisco), figura per la prima volta come nome di questa località nel “Diploma” con il quale Paldolfo IV e Paldolfo II, fratelli e principi di Capua, a richiesta di Atenolfo (Abate di Montecassino, 1011-1022), restituiscono all’Abbazia di Montecassino la chiesa di s. Valentino, edificata sull’alto Mollarino “in loco qui vocatur Piczinisci”.

 

 

Il pane della parola

 

In questa prima domenica di quaresima, l’annuncio del vangelo ci riporta alla permanenza di Gesù nel deserto per quaranta giorni, “per essere tentato dal diavolo”. Alla fine di questo lungo periodo, Gesù “ebbe fame; e con la fame, si fa strada la prima incursione di Satana contro Gesù. Agisce al momento opportuno (la fame) con le parole giuste (tentazione): “Se tu sei il Figlio di Dio, dì che queste pietre diventino pane”.  La risposta di Gesù è secca, oltretutto divenuta proverbiale: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Nelle parole del Maestro ritroviamo la vera e completa risposta alla fame dell’uomo: la necessità del pane e della parola; non il pane soltanto, ma il pane e la parola. L’attenzione ai due “alimenti”  permette di recuperare un ben distinto significato di due termini non di rado abusati in modo confuso: nutrizione e nutrimento. Il cibo è nutrizione per il benessere del corpo; la parola è nutrimento per la crescita della persona. Una mamma che si accontenta di somministrare soltanto del cibo per aiutare la crescita fisica del suo piccolo, senza mai insegnare una parola al suo bambino, condannerebbe la sua creatura alla morte. La parola è cibo del pensiero, cibo dell’anima: “Mann ist was Mann isst, l’uomo è ciò che mangia, ricordava Feuerbach. Questo dato non riguarda solo il cibo materiale, ma anche, e forse soprattutto, il nutrimento spirituale…ci nutriamo non solo degli alimenti che introduciamo nel nostro corpo, ma anche delle “parole”, dei pensieri, della cultura che assimiliamo tramite le letture, le relazioni personali, le interpretazioni degli eventi della nostra vita quotidiana” (Enzo Bianchi). Parliamo pertanto di  “memoria storica”. La parola che esprime la vita di una comunità, documentata e trasmessa, salva la sua storia perché si fa “memoria”. Al contrario, cioè che non è trasmesso dalla parola documentata (nei libri, monumenti, racconti e tradizioni di vario genere) è come se non fosse mai accaduto. Questa memoria è nutrimento di ogni comunità, la quale si alimenta in forza di quanto riceve dalla sua tradizione,  dalla trasmissione di tutte le parole con le quali si è costruita e si tiene in vita una memoria plurisecolare, millenaria appunto. Vivere senza memoria è come morire (basti pensare ai malati di alzheimer), è dire che una comunità senza memoria del suo passato è come inesistente, insignificante, perduta. Tale memoria storica si costruisce per mezzo della parola scritta e orale: essa, infatti, genera e prende forma in racconti, testimonianze, narrazioni, proverbi, documenti, simboli, monumenti, linguaggi, dialetti, idiomi, etc. Senza memoria storicauna comunità rischia di perdere e smarrire il significato e il senso profondo della propria identità culturale, civile e religiosa. Oggi la comunità di Picinisco riceve questa ricca storia millenaria e si nutre di tutto ciò che la “racconta”, ritrovando in essa l’alimento vitale della sua preziosa, inequivocabile e peculiare identità.

La Parola si fa storia

 

Anche la storia di Israele è nutrita della ricchezza della parola che si fa tradizione biblica. Una parte di questa tradizione diventa testo scritto, redatto dai molti autori (agiografi) che compongono i molti libri che noi chiamiamo comunemente “Bibbia” (raccolta di più testi). Pertanto, la Bibbia è “memoria storica” di un intero popolo, dei suoi lunghi e antichi trascorsi, delle sue origini e dello sviluppo delle sue vicende complesse, e per diversi aspetti uniche, come di ogni popolo. La Bibbia è la memoria storica degli eventi che testimoniano la rivelazione di Dio a Israele. Questa parola nutre per lunghi secoli la storia di questo popolo in modo peculiare e unico, perché lo caratterizza come “popolo eletto”. La storia biblica, la storia del popolo di Israele, è la storia della rivelazione di Dio, trasmessa per mezzo della parola. La Bibbia è memoria degli eventi suscitati da Dio, trasmessi con una parola umana ispirata dallo spirito Santo. Per questa ragione noi credenti la riconosciamo e la accogliamo quale parola di Dio, “verbum Domini”. Questa parola, patrimonio religioso del popolo ebraico, diventa tesoro inesauribile della Chiesa: essa l’accoglie come la Parola che rivela in pienezza il mistero di Dio, il quale “nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici  e si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con sé” (Dei Verbum, 2).

Dalla bocca di Dio

 

Questa parola è speciale, perché è come uscita dalla sua stessa bocca. La Bibbia è Parola di Dio per l’uomo di ogni tempo e di ogni luogo. La Parola di Dio è custodita dalla memoria del popolo dei credenti, ed è cibo che nutre il suo spirito religioso, accresce la sua fede. In quella Parola ogni uomo e ogni donna di ogni luogo può incontrarsi con Dio, sviluppare la conoscenza di Lui, e con Lui intrattenere un dialogo personale e comunitario di fede e di  amore. Questa Parola di Dio lungo i secoli ha nutrito la fede cristiana dei nostri padri. Lo è stato anche per la comunità di Picinisco, una comunità storicamente fecondata dall’incontro con la tradizione cristiana, ad opera soprattutto del monachesimo benedettino (in modo particolare per l’area territoriale della Val di Comino). L’annuncio del Vangelo e la predicazione cristiana hanno assicurato la diffusione e il radicamento della tradizione religiosa popolare. La storia di questo paese è radicata nella fede più che millenaria in Gesù Cristo. Aver accolto l’annuncio della fede ha impreziosito la storia di questa comunità, dal momento che ne ha favorito anche lo sviluppo sociale e culturale. Da qui, la responsabilità per tutti voi di custodire le radici cristiane, per non disperdere il ricco e prezioso patrimonio di una civiltà che proprio nella forza della fede cristiana ha saputo superare vicende difficili e avverse, senza mai soccombere sotto i duri colpi delle guerre, del brigantaggio, delle devastazioni, e delle incursioni distruttrici. Pensiamo anche al diffuso fenomeno dell’emigrazione, che tra la fine dell’ottocento e per buona parte del novecento ha costretto tanti suoi figli a trovare condizioni migliori di vita lontano dal proprio paese, ma sempre profondamente legati alle proprie origini piciniscane e alle ricche e molteplici tradizioni. Picinisco oggi riceve in consegna molto dalla sua storia e dalla sua tradizione religiosa; dunque molto ha da custodire, studiare e trasmettere. A tutti voi compete non solo la gioia, direi la soddisfazione, di essere testimoni di questo straordinario millennio, ma anche il doveroso compito di promuovere una rinnovata cultura storica in grado raccontare e tramandare alle future generazioni il vostro tessuto sociale coeso, le eccellenze della vostra cultura pastorizia, riconosciute anche a livello europeo, la cordialità dell’accoglienza (molte delle Compagnie di pellegrini della Madonna di Canneto qui sostano per riposare e ristorarsi), la bontà del vostro temperamento e la semplicità delle vostre buone abitudini.

 

+ Gerardo Antonazzo

 

 

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