Ogni promessa è debito.
Lo dice il crisma.
Omelia per la Messa Crismale
Sora-Chiesa Cattedrale, 12 aprile 2017
La spiritualità liturgica della celebrazione crismale è talmente delicata e suggestiva da far venire i brividi nell’animo. Ognuno di noi: vescovo, presbiteri, diaconi, consacrati e fedeli laici, in tale celebrazione sente la gioia di sentirsi parte viva della Chiesa, popolo di consacrati, “unti” di Spirito Santo nel Battesimo e nella Confermazione, e “unti” dal medesimo Spirito perché consacrati all’amore dei fratelli nell’esercizio dell’ordine sacro e nell’esercizio della nuzialità coniugale. Pregheremo gli uni per gli altri, per un reciproco scambio di energie spirituali, alimento per la nostra specifica vocazione cristiana e missione nel mondo. La composizione di questa assemblea liturgica, epifania del mistero della Chiesa, mette in chiara evidenza il ministero del Vescovo, il ministero dei presbiteri, e il ministero del sacerdozio battesimale dei fedeli laici.
Fratello, padre, pastore
Il Vescovo è partecipe del sommo sacerdozio di Cristo. Non per una sorta di privilegio e onore umano, ma per il suo servizio, posto dal Cristo stesso a fondamento dell’unità e della comunione quale fratello, padre e pastore.
Il Vescovo è fratello con voi.
Fratello perché battezzato.
Scrive s. Agostino nell’anniversario della sua ordinazione: “Nel momento in cui mi dà timore l’essere per voi, mi consola il fatto di essere con voi. Per voi infatti sono vescovo, con voi sono cristiano. Quel nome è segno dell’incarico ricevuto, questo della grazia; quello è occasione di pericolo, questo di salvezza” (Discorso 340).
Con-fratello di ogni presbitero.
Perché partecipi dell’unico sacerdozio di Cristo. Scrive il Concilio: “Per questa comune partecipazione nel medesimo sacerdozio e ministero, i vescovi considerino dunque i presbiteri come fratelli e amici, e stia loro a cuore, in tutto ciò che possono, il loro benessere materiale e soprattutto spirituale. È ai vescovi, infatti, che incombe in primo luogo la grave responsabilità della santità dei loro sacerdoti” (Presbyterorum ordinis, n. 7).
Il Vescovo è padre per voi.
Padre che genera nella fede.
Nell’atto di esprimere le promesse durante il rito di ordinazione episcopale mi è stata rivolta questa precisa domanda: “Vuoi prenderti cura, con amore di padre, del popolo santo di Dio e con i presbiteri e i diaconi, tuoi collaboratori nel ministero, guidarlo sulla via della salvezza?”.
Non nascondo che a volte le ansie e le preoccupazioni possono forse oscurare l’affetto paterno per voi laici e per voi sacerdoti. Questo può accadere nell’esercizio di ogni paternità, compresa la vostra in famiglia o in parrocchia, ma non può smentire né svilire la verità e la necessità dell’amore paterno. Si dice che viviamo in una società “senza padri”. Ed è grave. Se si eliminano i padri, in effetti, non si hanno figli emancipati e maturi, ma semplicemente orfani.
Il Vescovo è pastore per tutti.
Chiamato a dare la vita.
Splendendo di carità esemplare, spende le sue migliori energie per il bene di tutti, credenti e non credenti. A immagine di Cristo, sono da lui chiamato ad essere pastore universale, dal cuore buono e generoso, accogliente e premuroso, chiamato a vegliare. Il Vescovo (in greco episkopos) non è colui che vigila, ma colui che veglia. E’ colui che cura la speranza vegliando per il suo popolo (1Pt 5,2). Per vigilare è sufficiente essere svegli, astuti, rapidi. Per vegliare, invece, occorre avere la mansuetudine, la pazienza e la costanza della carità comprovata. Sorvegliare e vigilare ci parlano di un certo controllo; vegliare, invece, ci parla di speranza, la speranza del Padre misericordioso che veglia sul processo dei cuori dei suoi figli.
“Come sigillo sul tuo cuore”
La Messa crismale fa memoria anche della dignità del sacerdozio battesimale. Presbiteri e laici condividono il sacerdozio comune, tutti chiamati a celebrare il culto dell’esistenza vissuta “per Cristo, con Cristo, e in Cristo”. Molti di voi sono chiamati a concretare la lode di Dio nel culto di una vita segnata dal “vangelo dell’amore” nella bellezza del matrimonio; altri, nel ministero ordinato. E’ bello valorizzare, nel cuore del nostro cammino pastorale illuminato dal tema “Come sigillo sul tuo cuore”, la dialogica continuità tra il sacramento dell’ordine e il sacramento del matrimonio.
Entrambi sono sacramenti dell’amore per l’unico Signore. Entrambi celebrano l’ “officium amoris”, cioè realizzano un compito e una missione di amore (S. Agostino, Trattato su Giovanni, 124). S. Agostino commenta la domanda di Gesù a Pietro: “Mi ami tu?”, lasciando intendere che solo se si ama, si pasce. Per ogni presbitero pascere è prendersi cura dell’altro con amore. Anche nel matrimonio l’uno si prende cura dell’altro/a per amore e con amore inesauribile. La domanda di Gesù a Pietro è anche la domanda rivolta ai coniugi: “Tu, mi ami veramente”? Di solito, i coniugi la domanda “Mi ami?” se la scambiano tra di loro, come se Gesù non c’entrasse nel loro rapporto. In realtà, sia nel matrimonio che nel ministero sacro la vera questione è la capacità di amare gli altri con l’amore di Dio e amare Dio, al di sopra di tutto e di tutti, attraverso l’amore per gli altri. Per tale ragione, in questa celebrazione, dopo i presbiteri, rinnoveranno la promessa del loro amore nuziale davanti al Vescovo e all’assemblea anche le tre coppie di sposi che presenteranno i doni offertoriali del pane, del vino e dell’acqua.
Promessa e fedeltà
Il matrimonio e l’ordine sacro parlano di amore con il vocabolario della fedeltà e dell’indissolubilità. Nei due sacramenti dell’amore, ciò che ognuno ha “promesso” è diventato “segno” concreto e visibile dell’amore e della fedeltà di Cristo per la Chiesa e per l’umanità.
Nel matrimonio si dichiara: “Io accolto te…con la grazia di Cristo prometto di esserti fedele sempre…”.
Nel sacramento dell’Ordine al candidato viene chiesto: “Vuoi esercitare per tutta la vita…?”; “Prometti…filiale rispetto e obbedienza?”.
Ciò che si promette davanti a Dio è “indissolubile” per tutti, e richiama tutti alla medesima fedeltà. Ogni promessa è un debito: ogni promessa porta con sé il debito inesauribile dell’amore. Nella medesima promessa è custodito anche il “per sempre” della fedeltà all’altro-a/altri e a Dio.
Se nell’ordine sacro il Crisma imprime un sigillo indelebile e genera un’appartenenza incancellabile, nel sacramento del matrimonio il “consenso” stabilisce un vincolo di fedeltà e di comunione indissolubile tra i coniugi, nella forza dello Spirito Santo: “Effondi su di loro la grazia dello Spirito Santo perché…rimangano fedeli al patto coniugale” (Preghiera di benedizione sugli sposi, Prima formula). Questa fedeltà e indissolubilità del vincolo coniugale è una consacrazione incancellabile, paragonabile, per analogia, al “carattere” conferito dai sacramenti del battesimo, della cresima e dell’ordine sacro. Alla pari di questi tre sacramenti, anche il sacramento del matrimonio non si può ripetere. Tale consacrazione, fino alla morte di uno dei coniugi, è inscindibile, nonostante le infedeltà, nonostante lo stesso divorzio. Cristo e Chiesa sono sposi indissolubilmente uniti e fedeli.
Ferite e guarigione
Non va certo trascurata la debolezza e la fragilità di tutti. L’amore può sperimentare la ferita dell’infedeltà. Per tutti vale la “terapia” spirituale del profeta Osea: “Ecco, io la sedurrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore (2,16). Così commenta Rosanna Virgili: “Finalmente una direzione giusta: il dialogo. Occorre che troviamo un tempo di intimità – dice il marito che ancora crede in lei – per ascoltare l’uno la verità dell’altro. Le voci segrete, i sussurri indecifrabili dell’anima. La libertà della fedeltà. Occorre ritrovare le parole dell’amore, alla luce della corrispondenza”. Le ferite nell’esperienza dell’amore possono guarire solo nel deserto, dove si fa memoria dell’amore iniziale, dove si può ricominciare. La cura delle ferite ha bisogno di intimità, di silenzio, di raccoglimento interiore, di preghiera e di invocazione, per ridare alle nostre promesse slanci di rinnovato vigore.
Per amore di questa Chiesa
Signore Gesù, è davanti a te la tua Sposa:
è la Chiesa di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo,
per la quale hai dato la vita “per renderla santa,
tutta gloriosa, senza macchia né ruga,
santa e immacolata”. Così non siamo!
Signore-Sposo, rinnova tu per primo
la promessa del tuo affetto per noi,
consacrati per sempre nel balsamo
dello Spirito del tuo Amore.
Ancora una volta dacci la prova
che, nonostante ogni nostro capriccio,
tu continui a dare retta e a prendere sul serio
il battito dell’amore, che il cuore scandisce
al ritmo delle nostre tremule paure.
Rinnova la felice certezza che tu ci ami per primo,
e mai vieni meno alla tua alleanza, Dio fedele.
Il nostro Sì, forse stanco e piagato
da fragilità e cadute, lo riconsegniamo a Te,
per riprovare ancora nella promessa della fedeltà.
Donaci un cenno di benevolenza e di perdono.
Aiutaci ad amarti in coloro che sono parte di noi
quale sacramento della tua presenza, per sempre.
Amen.
+ Gerardo Antonazzo