I panni sporchi si lavano in famiglia
Omelia per la Messa “In Coena Domini”
Pontecorvo-Chiesa Concattedrale, 1 aprile 2021
Cari amici,
era notte quando sono entrati nel Cenacolo; ed era ancora notte quando sono usciti. Cosa è cambiato per i Dodici in quella notte? Giuda è uscito in anticipo. Fortunatamente solo! Uscire insieme a Giuda avrebbe significato anche per gli altri condividere il suo medesimo turbamento e confusione, e piombare in una notte irrimediabile. È la notte del “boccone” avvelenato da Satana, il boccone della fiducia tradita, il boccone della ripicca, il boccone dell’atroce crisi interiore di fronte ad un Messia sofferente, debole, indifeso, che “non contesterà né griderà, né si udrà nelle piazze la sua voce. Non spezzerà una canna già incrinata, non spegnerà una fiamma smorta” (Mt 12,18-20). Dopo aver preso il boccone, e nel gesto di metterlo in bocca “Satana entrò in lui” (Gv 13, 27). L’amicizia offerta da Gesù non è ricambiata; Giuda non ritorna sui suoi passi, il diavolo spinge inesorabilmente avanti il suo destino. Si sente tradito da Gesù perché la sua missione non corrisponde a quanto Giuda desiderava da un messianismo politico e rivoltoso, e di conseguenza punisce con il tradimento colui che lo ha illuso e ingannato.
Che delusione!
La tentazione del diavolo gioca sul sentimento della delusione: Giuda entra nel Cenacolo con la “notte” nel cuore, perché la tentazione aveva preso possesso dei suoi pensieri deteriorati da calcoli umani: “Il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo” (Gv 13,2). Giuda cede miseramente alla tentazione del Maligno, proprio come era accaduto la prima volta con Adamo ed Eva. Inocula il sospetto lì dove c’è solo Amore, provoca la ribellione e spinge alla disobbedienza verso Colui che si offre con umiltà e tenerezza. Le possibilità della perversione del cuore sono davvero molte. Il diavolo è artefice astuto di dubbi, riserve mentali, resistenze e paure interiori, sfiducia; getta discredito e fango sulla debolezza di un Maestro che si umilia per lavare i piedi come fosse un servo, perdendo di dignità agli occhi dei benpensanti: se fosse vero Dio …. non si comporterebbe da schiavo!
Tutto nel Cenacolo sembra aggredire la potenza dei segni, degli insegnamenti, del miracolo compiuto sul pane e sul vino, delle promesse future. L’entusiasmo iniziale della sequela sembra svanire, si affievolisce fino allo spegnimento. Tra gli apostoli fa capolino qualche ripensamento: per r quale motivo condividere la debolezza del Messia, le umiliazioni, la sofferenza, la cattiveria, e con Lui il rischio anche della nostra vita? Tutto questo sarebbe una vergogna, una clamorosa smentita, un disonore, sarebbe un fallimento, una disfatta imperdonabile.
Dalla delusione alla decisione da prendere: gli apostoli non erano migliori di Giuda, e non erano peggiori di noi. La differenza è tutta qui: Giuda è già uscito (Ed era notte: Gv 13,30), ha preso una decisione contraria alle parole e ai gesti dell’Amore; mentre gli altri accettano di resistere, decidono di restare ancora; e Gesù ha la possibilità di “recuperarli”: inizia a lavare i “panni sporchi” in famiglia. I piedi rimandano al cammino, quindi alla sequela: Gesù intende purificare le intenzioni del cuore, le motivazioni per le quali hanno accettato di seguirlo. Vuole incoraggiarli, perché il peggio deve ancora arrivare. Ed è meglio prepararli, compiendo tutto quanto può prefigfurare il lavacro della Croce, lo scandalo e la vergogna del Malfattore.
La nostra metàbasis
Con il gesto umile del servo Gesù vuole fare luce nelle notti che ci portiamo nell’animo: la notte della fede, la notte della coscienza sporca, la notte dei vizi, la notte delle schiavitù, la notte delle immoralità, la notte dell’inimicizia e delle divisioni dolorose, la notte della gelosia, dell’orgoglio, della rivalità, dei contrasti e dei conflitti. Alle antiche purificazioni rituali, subentra un bagno nuovo: “Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi” (Gv 15,3-4). Ci purifica mediante la sua parola e il suo amore: “Sempre di nuovo ci lava con la sua parola. Sì, se accogliamo le parole di Gesù in atteggiamento di meditazione, di preghiera e di fede, esse sviluppano in noi la loro forza purificatrice. Giorno dopo giorno siamo come ricoperti di sporcizia multiforme, di parole vuote, di pregiudizi, di sapienza ridotta ed alterata; una molteplice semifalsità o falsità aperta s’infiltra continuamente nel nostro intimo. Tutto ciò offusca e contamina la nostra anima, ci minaccia con l’incapacità per la verità e per il bene. Se accogliamo le parole di Gesù col cuore attento, esse si rivelano veri lavaggi, purificazioni dell’anima, dell’uomo interiore” (Benedetto XVI, 20 marzo 2008). “Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava” (Gv 13,3): parole che non solo danno enfasi al gesto di Gesù, svelandone tutta l’umiltà, ma imprimono un significato inaspettato al gesto del Maestro, lo rende una katàbasis: “Svuotò sè stesso assumendo una condizione di servo” (Fil 2,7). La lavanda dei piedi diventa un segno rivelatore del paradosso: l’incarnazione come “abbassamento” di Dio nella condizione di servo. Ma proprio il suo piegarsi diventa per noi una metàbasis, trasformazione in “nuove creature”.
La Messa non è finita
Dalla notte del Cenacolo o si esce peggiori (Giuda) o si esce migliori, purificati dall’Amore (Pietro e gli altri). Ma se anche usciremo cambiati, non illudiamoci di essere divenuti perfetti: la notte delle contraddizioni e della tentazione continua nella vita. Solo con la forza dell’eucaristia e del servizio ai fratelli Gesù continuerà a farci dono del suo Amore, nutrimento divino nel cammino faticoso della sequela evangelica. Ogni eucarestia resterà per noi apprendistato del nuovo Comandamento dell’amore di cui resteremo sempre debitori perché deboli, e discenti perché pur sempre discepoli. Coraggio: tutte le volte in cui nelle pieghe della nostra fragilità leggeremo le piaghe delle nostre ferite, Qualcuno continuerà “a lavare i panni sporchi in famiglia” in quell’Eucarestia dell’unica Messa che non è mai finita. Gesù continua a farci dono del suo immenso amore, a rigenerarci con il lavacro del suo sangue. La fiducia del nostro essere cristiani non sta nella presunzione di saper fare quello che ha fatto Lui, ma di lasciarsi cambiare dal suo amore sofferto, offerto a prova di croce. Il sacramentum del suo Amore si fa exemplum a noi consegnato con il Comandamento nuovo dell’amore: “Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri (Gv 13,34). Dinanzi a parole così chiare non c’è scampo; c’è solo salvezza.
+ Gerardo Antonazzo