Con il Cuore di Pastore
Omelia per l’inizio del ministero di parroco
di don Giovanni De Ciantis
Cassino, Parrocchia S. Giovanni Battista, 4 agosto 2018
Con questa celebrazione eucaristica la comunità parrocchiale di s. Giovanni Battista accompagna e prega per l’inizio del ministero del nuovo parroco, don Giovanni De Ciantis. A te, caro don Giovanni, assicuro sia la mia personale riconoscenza sia la vicinanza spirituale della nostra Chiesa diocesana, e in particolare dell’intera Città di Cassino. Il nostro comune ricordo, commosso e grato, va all’indimenticabile mons. Antonio Colella, che dal cielo oggi gioisce nel vedere la “sua” comunità in cammino, spiritualmente nutrita e fortificata negli anni del suo ministero pastorale. A te, carissimo don Benedetto Minchella, desidero esprimere i miei cordiali sentimenti di compiacimento per il tuo servizio di Amministratore parrocchiale, svolto con dedizione generosa ed encomiabile affetto pastorale.
L’amore del cuore di Cristo
Nella liturgia feriale la Chiesa oggi celebra la memoria di s. Giovanni Maria Vianney, conosciuto come il “santo Curato d’Ars”, patrono di tutti i parroci del mondo. Ricordiamo una delle tante espressioni che san Giovanni Maria Vianney amava ripetere con commozione forte, fino alle lacrime: “Il sacerdozio è l’amore del cuore di Cristo”. La Parola di Dio di questa domenica ci rivela squarci luminosi del cuore di Mosè “servo del Signore”, e di Cristo, servo dal cuore magnanimo verso la folla, che lo segue “come pecore senza pastore”.
Mosè ha davanti a sé un popolo da condurre a gran fatica verso la Terra promessa attraverso il difficile attraversamento del deserto. Mosè si identifica pienamente con la sua missione. La missione provoca la vita di ogni battezzato: “Io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo. Bisogna riconoscere sé stessi come marcati a fuoco da tale missione di illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire, liberare” (Evangelii gaudium, 273). Molto più la missione definisce la vita del presbitero. Come pastori, siamo chiamati ad amare: è’ “missione” tutto ciò che ci rende responsabili della vita degli altri: “Pascete il gregge di Dio che vi è affidato…non per vergognoso interesse, ma con animo generoso, non come padroni delle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge” (1Pt 5,2-3).
Il servizio dell’acqua e del pane
Mosè svolge di fronte a Dio per il suo popolo il gravoso e ingrato servizio “dell’acqua e del pane”. Se la Chiesa cresce non per proselitismo, ma per attrazione, la testimonianza che più attrae è quella della compassione, della carità. Questo servizio Mosè lo accetta e lo vive in modo consapevole, fino a soffrirlo terribilmente. Contro di lui sono rivolte le mormorazioni e le contestazioni del popolo, nel difficile attraversamento del deserto. Perciò osa discutere con Dio: “Mosè disse al Signore: «Perché hai fatto del male al tuo servo? Perché non ho trovato grazia ai tuoi occhi, al punto di impormi il peso di tutto questo popolo? L’ho forse concepito io tutto questo popolo? O l’ho forse messo al mondo io perché tu mi dica: «Portalo in grembo»…?”(cfr Num 11,11-14). Mosè sa di dover fornire al suo popolo risposte concrete ai suoi bisogni più immediati. Non si può guidare il popolo senza tener conto delle sue necessità. Caro don Giovanni, non dimenticare che la gente prima di avere dei bisogni sublimi, ha delle necessità più elementari: l’accoglienza, la benedizione, la parola di consolazione, il consiglio, la comprensione, la compassione…. La compassione consiste nel vivere come propri i “problemi” degli altri, facendosi carico delle loro speranze e collaborando in modo operoso per una possibile soluzione. Questo è “l’amore del cuore di Cristo”! Il cuore compassionevole si dispone al servizio della consolazione: dà coraggio nel tempo delle prove, infonde fiducia sciogliendo la durezza del cuore.
Il servizio dell’ascolto e della corresponsabilità
Mosè è un pastore che sa ascoltare: è presente in prima persona nella vita del popolo, conosce i bisogni di ciascuno, risponde alle necessità di tutti, raccoglie le loro paure, risolve i loro litigi, conforta le delusioni di ciascuno. Ietro, suo suocero, lo vede sfinito: “Sceglierai tra tutto il popolo uomini validi che temono Dio… Così ti alleggerirai il peso ed essi lo porteranno con te. Se tu fai questa cosa e Dio te lo ordina, potrai resistere e anche tutto questo popolo arriverà in pace alla meta” (cfr Es 18, 14-24). Emerge qui un ulteriore elemento di grande valore: la corresponsabilità. Il pastore non è bravo perché sa fare tutto da solo! Ciò non fa crescere la partecipazione, non educa alla corresponsabilità, e non edifica la vera comunione ecclesiale, quindi non fa la comunità. Il suo servizio non è generativo perché non fa crescere la gioia dell’ appartenenza. Il superamento reale del clericalismo, soprattutto nelle sue forme più sottili, è provato dalla partecipazione reale all’edificazione della comunità, in piena armonia con il presbitero e in comunione con il Vescovo. Il parroco non è il titolare di un’azienda o di un’impresa, non “possiede” la comunità da padrone, ma la serve per far sentire a chiunque la concreta paternità di Dio.
Il servizio della fede
Il vangelo ci rivela il cuore di Cristo, buon pastore. Gesù ha davanti a sé una folla che continua a seguirlo dopo aver mangiato i pani moltiplicati con abbondanza per i cinquemila. La gente, sfamata da Gesù, lo cerca ancora e soltanto per l’elemento materiale del pane. Non riesce a compiere il “salto” della fede alla quale Gesù invita i presenti, chiedendo loro di compiere “l’opera di Dio”: “…che crediate in colui che egli ha mandato”. Se Gesù risponde ai bisogni materiali dell’uomo, è perché vuole educare ad andare oltre, e a riconoscere i bisogni spirituali.
Caro don Giovanni, uno dei compiti più delicati ed impegnativi del ministero pastorale è quello di intercettare le ragioni per le quali la gente anche oggi cerca il Signore, ed educare la ricerca nella giusta direzione. La parrocchia non è un “sindacato”, non è una ONG, non è un’associazione di volontariato dove tutto inizia e finisce, quando va bene, nella risposta ai bisogni materiali delle persone. La parrocchia è scuola di fede, è scuola di preghiera. E’ un “cenacolo” dell’esperienza viva di Gesù risorto, per poi diventare un “alveare” della carità verso i più poveri. So molto bene che il più delle volte è necessario rispondere ai bisogni più immediati, per poi orientare e aprire il cammino dell’uomo ai segni della fede. E la fede cresce con il servizio della Parola annunciata, con l’educazione alla preghiera, quindi all’ascolto e al silenzio. Oggi viviamo in una giungla di “religioni fai da te”. Emergono nuove forme pseudo religiose, di stampo idolatrico, che esaltano la pretesa di potenziare la condizione umana senza Dio, grazie al sorprendente sviluppo delle tecnologie, fino all’illusione di risolvere il problema ultimo, quello della morte. Il presbitero è un educatore della fede: orienta a Dio, per farsi compagno di viaggio dei cercatori del Mistero e dei mendicanti di Infinito, consapevoli che solo in Dio si potrà comprenderà il senso pieno e ultimo della vita.
+ Gerardo Antonazzo