Omelia per l’ordinazione diaconale dell’accolito Francesco Paolo Vennitti

“Dio non ha scelto forse i poveri?”

 Omelia per l’ordinazione diaconale

dell’accolito Francesco Paolo Vennitti

Cassino-Chiesa Concattedrale, 8 settembre 2018

 

Celebriamo il rito di ordinazione diaconale di Francesco Paolo nel giorno in cui la Chiesa fa memoria della Natività della Beata Vergine Maria, ricorrenza molto cara alla spiritualità popolare. Lei è “speranza e aurora di salvezza al mondo intero” (Post communio). E’ l’aurora che precede Cristo, “sole di giustizia”. Perciò, “celebriamo con gioia la Natività della Beata Vergine Maria: da lei è sorto il sole di giustizia, Cristo, nostro Dio” (Antifona d’ingresso).

La singolare tenerezza che Dio dimostra in Maria, Donna nuova, si riverbera nei gesti “terapeutici” di Gesù. Nell’incontro con l’uomo malato, Gesù anche oggi vuole venire a capo della chiusura di ogni forma di comunicazione. Chiede a “tutto” l’uomo che gli è di fronte di aprirsi per poter udire e parlare: “Effatà”. Gesù non restituisce solo la capacità di parlare, ma la possibilità di parlare “correttamente”, cioè in modo “giusto(orthòs, v. 35). 

Oggi, caro Francesco, il Signore ti incontra per imporre anche su di te la sua mano, e ti chiede di “aprirti” (effatà) totalmente a Lui  perché possa agire liberamente e sciogliere la tua capacità di ascoltare e di parlare “correttamente”. Nel rito di ordinazione ti verrà consegnato il libro dei Vangeli: “Ricevi il Vangelo di Cristo del quale sei divenuto l’annunziatore”. Il diaconato ti consacra e ti impegna seriamente all’ascolto profondo, continuo e meditato della Parola del Signore. Divenuto ministro dell’altare, sei chiamato ad annunciare il Vangelo per istruire nella verità del mistero di Cristo quanti sono alla ricerca della fede. Tra gli impegni che il candidato assume in piena consapevolezza e libertà c’è quello di “custodire in una coscienza pura il mistero della fede, per annunziarla con le parole e le opere, secondo il Vangelo di Cristo e la tradizione della Chiesa”. Il ministero diaconale ti impegna, caro Francesco, a parlare “correttamente”: il termine greco richiama il senso del rispetto, della fedeltà, dell’accoglienza incondizionata della Parola, e richiede la tua incondizionata obbedienza al Vangelo, perché sia salvaguardata l’integrità degli insegnamenti del Maestro. San Paolo ti ricorda che: “Noi non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore” (2Cor 4,5). Mi viene anche da ricordarti quanto scriveva s. Agostino: non siamo noi a possedere la verità, ma è la verità che ci cerca e ci possiede. Francesco, lasciati afferrare, possedere, plasmare e sedurre dalla Parola. Diventare “uditori” della Parola non ci rende padroni del Vangelo, ma docili alla sua azione misteriosa, capace di trasfigurare la nostra esistenza. La Parola è destinata sempre a diventare “carne”, cioè vita, storia, stile, testimonianza. Ascoltiamo l’apostolo Giacomo: “Accogliete con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza. Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi” (Gc 1,21-22). Il verbo greco che viene tradotto con “mettere in pratica” è “poietaì”, e contiene il riferimento al “fare poesia”, quindi alla capacità di essere creativi. Mettere in pratica la Parola significa dunque permettere alla Parola di creare condizioni di vita nuova, infondere nuovo dinamismo in ciò che nell’uomo deve essere rigenerato e riportato a novità di vita.

Caro Francesco, il diaconato ti impegna non solo dinanzi alla Parola, ma anche dinanzi ai poveri, chiedendoti un esercizio esemplare di carità. La preghiera di ordinazione esplicita a più riprese il compito di servire i fratelli. Il rito fa riferimento innanzitutto alla scelta dei primi sette diaconi della Chiesa, e ne esplicita le ragioni: “…affidarono loro il servizio della carità, per potersi dedicare pienamente all’orazione e all’annunzio della parola”. E riferendosi all’ordinando, il rito invita a pregare perché: “ …compia fedelmente l’opera del ministero….sincero nella carità, premuroso verso i poveri e i deboli, umile nel servizio…sia immagine del tuo Figlio, che non venne per essere servito ma per servire”. E’ normale pensare che i poveri hanno bisogno di noi, ma non è scontato credere che anche noi abbiamo bisogno di servire i poveri, perché soprattutto loro ci rendono migliori, e ci insegnano a condividere la scelta preferenziale e privilegiata che Gesù ha sempre fatto nei loro confronti. Ai poveri è stata consegnata la ricetta per curare le malattie del nostro cuore, per disintossicarci dagli idoli e per la profilassi contro l’infezione dell’indifferenza.

Oggi san Giacomo oggi ci mette in guardia da alcune tentazioni imperdonabili: “La vostra fede sia immune da favoritismi personali”. L’esortazione si fa denuncia di episodi incresciosi e di scelte non evangeliche all’interno delle medesima comunità. Risulta purtroppo diverso il modo di trattare le persone, con atteggiamenti di spudorati favoritismi verso figure più ragguardevoli a svantaggio dei più poveri: “Dio non ha forse scelto i poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede ed eredi del Regno, promesso a quelli che lo amano? Voi invece avete disonorato il povero!”(Gc 2,5-6). Il rimprovero finale è particolarmente lancinante, e ci mette in evidente imbarazzo: “Avete disonorato il povero!”.

San Giovanni Crisostomo non addolcisce per nulla i toni: “Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non permettere che sia oggetto di disprezzo nelle sue membra cioè nei poveri, privi di panni per coprirsi. Non onorarlo qui in chiesa con stoffe di seta, mentre fuori lo trascuri quando soffre per il freddo e la nudità…Che vantaggio può avere Cristo se la mensa del sacrificio è piena di vasi d’oro, mentre poi muore di fame nella persona del povero?” (Omelia 50).

Carissimo Francesco, con l’ordinazione diaconale Dio ti sceglie per consegnarti la sua scelta: “Dio ha scelto i poveri agli occhi del mondo”; non hai alternative! I poveri sono sotto casa: non rimanere a guardare dal balcone dell’indifferenza, e del giudizio sugli altri, o della delega, o delle sterili lamentele, ma scendi, apri, accogli, abbraccia, cingi il grembiule del Maestro. Ti consegno le parole di don Tonino Bello, mio educatore: “Chi sa che non sia il caso di completare il guardaroba delle nostre sacrestie con l’aggiunta di un grembiule tra le dalmatiche di raso…La cosa più importante, comunque, è comprendere che la stola ed il grembiule sono…come l’altezza e la larghezza di un unico panno di servizio: il servizio reso a Dio e quello offerto al prossimo. La stola senza il grembiule resterebbe semplicemente calligrafica. Il grembiule senza la stola sarebbe fatalmente sterile”. Impara soprattutto da Maria, la Madre del Signore, il più bel capolavoro di Dio: ha servito nell’umiltà e nella povertà di spirito. Nella sua casa a Nazareth prende consapevolezza che l’iniziativa di Dio su di Lei l’ha resa semplicemente “serva del Signore”.

 

+ Gerardo Antonazzo

Categorie: Diocesi,Documenti e Omelie,Vescovo

Tags: ,