Una vita “bruciata” *
Omelia per la Festa di s. Lorenzo
Picinisco, 10 agosto 2019
Per la celebrazione della festa di San Lorenzo la liturgia ci riconsegna alcuni elementi costitutivi della nostra vita cristiana. Con il testo liturgico della Colletta, la nostra assemblea si è rivolta al Signore richiamando il dono straordinario da Lui fatto al diacono Lorenzo: “l’ardore della tua carità”. Le parole della preghiera liturgica sintetizzano mirabilmente una vita vissuta: san Lorenzo ha “bruciato” la sua vita. L’affermazione potrebbe risultare equivoca: spesso la si usa per denunciare la condizione di degrado in cui versa la vita di alcuni giovani, i quali rischiano di “bruciare” ogni progetto, mandando in “fumo” ogni loro futuro (anche questo nel doppio senso). San Lorenzo “brucia” di carità, perché ha vissuto ardore caritatis, bruciato dal fuoco dell’amore nel cuore, tradotto in particolare nel servizio continuato ai più poveri della Città eterna. Potremmo così commentare: non poteva non morire bruciato anche nel proprio, chi aveva consumato nel fuoco della carità la breve intensa durata dell’esistenza, durante la quale è sempre rimasto “fedele nel ministero” dell’amore, e di conseguenza “glorioso nel martirio” segno dell’amore supremo.
La carità resta l’impegno di ciascuno: la vita del discepolo non può ammettere deleghe sull’amore, né scendere a compromessi di fronte a ritorsioni, minacce, torture costruite sulle menzogne, le falsità, gli insulti. L’ardore della carità deve aggiornare continuamente la carta costituzionale della vita del credente, per rispondere ad ogni forma di miseria in ogni tempo. Uno dei doni che Gesù ci ha lasciato nel suo testamento spirituale è questo: “i poveri li avete sempre con voi e potete far loro del bene quando volete” (Mc 14, 7). L’offerta dell’amore incondizionato verso i poveri, vere “stelle” della Chiesa, e il sacrificio della sua vita fisica sulla graticola del Tiranno, hanno reso Lorenzo “fedele nel ministero”, assolutamente pronto a rispondere con il grande “sì” della propria vita alla diakonìa della carità. Lorenzo affronta con serenità la graticola che i tiranni della storia sempre riservano alla Chiesa, in particolare a chi resta fedele nell’esercizio della carità per i poveri. Per i tiranni, i poveri sono un fastidio e chi li aiuta creano solo problemi: è preferibile eliminare gli uni e gli altri.
Nella preghiera abbiamo già chiesto al Signore il coraggio di imitare san Lorenzo nell’amore di Cristo e dei fratelli: è il più grande di tutti i comandamenti, perché li riassume tutti e tutti li porta a compimento e perfezione. E’ “grande” il comandamento dell’amore, perché rende grandi agli occhi di Dio e rende grande la dignità di quanti sono serviti dalla carità; le lettere apostoliche si rivolgevano alle diverse comunità di cristiani raccomandando “il grande comandamento”, senza specificare l’oggetto, dal momento che l’espressione era ormai talmente consueta da essere subito compresa. Senza il grande comandamento, l’identità cristiana si sfigura, sbiadisce, fino a perdere il volto e il nome. Cari fratelli e sorelle, comprendiamo la profondità dell’esempio di Lorenzo meditando attentamente il testo dell’apostolo Paolo e il brano del Vangelo. Entrambi parlano di semina: essa comporta la morte sotto terra. Il chicco marcisce, e in questo processo apparentemente di degrado e di sconfitta c’è lo stupore di un nuovo germoglio, l’inizio di una nuova vita che nasce, una vita più potente perché più ricca rispetto ad un solo seme che muore Questo è bellissimo: nel terreno muore un chicco e germoglia una spiga! Quando si dona con gioia, Dio moltiplica nelle mani quel seme che tu hai deposto nel terreno della vita altrui. Il Signore ama, e quindi benedice abbondantemente chi dona con gioia. Il contadino dalle sue mani “libera” il seme, e lo perde, perché spera di godere di una messe molto più abbondante. Dio ama e ricompensa chi dona con gioia.
L’espressione liturgica ardore caritatis chiede di vivere con il fuoco dell’amore nell’animo, di bruciare di carità per non restare cristiani tiepidi. Il tiepido risulta indigesto al Signore, perciò lo rovescia dalla bocca: “Io conosco le tue opere, che tu non sei né freddo né caldo. Oh, fossi tu freddo o caldo! Così, perché sei tiepido e non sei né freddo né caldo, io sto per vomitarti dalla mia bocca (cf Ap 3,15-16). Dio vomita il cristiano tiepido dalla sua bocca, perché non ha zelo per il Signore. Il suo cuore non brucia d’amore per Lui e per il prossimo. Quello che lui vede è completamente diverso dalla quella che vede il Signore. Infatti, mentre il Signore lo vede “disgraziato, miserabile, povero, cieco e nudo”, lui si vede invece ricco e non ha bisogno di nulla. Il suo interesse principale non è per il Signore e per la Sua parola, è solo per se stesso. Ma chi non ha bisogno dell’altro, non ha mai compreso che lui stesso è l’altro, di cui gli altri potrebbero non prendersi cura. L’Io è un altro: è questa la verità che dichiara lotta al narcisismo dominante.
Che fare? Alla luce dell’ardore caritatis di san Lorenzo riconosciamo innanzitutto di aver bisogno di sottoporci ad un processo di purificazione del cuore. Lo dico anche al pensiero che il fuoco serve per purificare. Penso al fuoco purificatore dello Spirito Santo: se non veniamo purificati nel cuore, tutto viene travisato, e noi veniamo ingannati da falsificazioni di ogni genere che accecano la verità e generano odio, ostacoli, impedimenti, esclusioni, opposizioni, pregiudizi e condanne. La purificazione del cuore ci permette di riconoscere la dignità della vita dell’altro, che l’altro porta con sé dalla nascita perché creato secondo Dio, a sua immagine e somiglianza. La tossicità da cui dobbiamo guarire sono le paure che ci portiamo dentro, in particolare quella di morire. Allora non dimentichiamo la logica della semina: resta una delle più espressive metafore della carità. L’una e l’altra si rivelano come un potente moltiplicatore di bene, perché ad ogni chicco corrisponderà sempre la ricchezza di una nuova spiga.
(Testo da registrazione)
+ Gerardo Antonazzo