Presentazione e servizio del tempio*
Omelia per la Giornata della Vita Consacrata
Cassino-Monastero S. Scolastica, 2 febbraio 2020
Battesimo e vita consacrata
Alla consacrazione battesimale, che ha segnato profondamente la nostra vita, il Signore ha dato la grazia di sviluppare la vostra esistenza cristiana con il dono prezioso della professione dei consigli evangelici. La vita consacrata è annuncio, segno, in qualche modo inizio e anticipo della condizione di coloro che sono chiamati a partecipare alla vita in Dio, partecipare alla pienezza di Dio, nel banchetto escatologico. La vita consacrata lascia in qualche modo intravedere le condizioni della nostra vita futura. La vita consacrata è un assaggio della vita di Dio! A questo siamo chiamati, potendo rispondere al Signore per grazia, non certo per merito o per iniziativa umana, ma per quella particolare premura ed elezione con cui il Signore ha indicato a ciascuno e a ciascuna di voi l’invito a poter dire di sì a questa sua intenzione speciale sulla vostra vita. Se rileggiamo la vita consacrata, la vostra consacrazione alla luce della Presentazione del Signore, possiamo meglio comprendere due punti importanti, molto belli, della liturgia di oggi: la consacrazione come “presentazione” dinanzi al Signore, e la consacrazione come “servizio del tempio”. Mi sembra siano due pilastri fondamentali per rivivere continuamente, in modo generativo, la nostra storia vocazionale di consacrazione al Signore, per la vita del mondo.
Stare alla presenza del Signore
La consacrazione come presentazione implica, a mio parere, alcune implicanze forti, molto belle. Vivere la consacrazione significa – in riferimento alla presentazione del Signore – imparare a stare alla presenza di Dio. Consiste in questo anche la vostra “presentazione al tempio”. E’ un invito costante nell’Antico Testamento verso coloro che sono chiamati da una parola speciale di Dio, da Abramo in poi. Questa è la consacrazione: l’esercizio della nostra libertà interiore con cui orientare la vita alla sua presenza, vivere gli atti quotidiani, nelle parole e nelle opere, imparando a vivere il più possibile alla presenza del Signore. Questo stare non è un fatto statico, non è stare fermi per non fare nulla: stare significa “esserci”, esser-ci, proprio io, con tutta la pienezza e la concretezza della mia umanità, della mia esistenza, con tutto ciò che può far parte di me, soprattutto con ciò che di me faccio fatica a riconoscere, ad accettare, ad ammettere. Starci, esserci, davanti alla presenza di Dio: la consacrazione ha bisogno di questa presentazione, di questo stare alla presenza del Signore, per ricevere la grazia della sua luce molto in profondità, una luce che in qualche maniera vuole illuminare il tempio della mia interiorità, della vita personale, e più intima a me di me stesso (cf. S. Agostino): nulla escluso, perché Dio diventi luce della mia vita. Molto bello ciò che il salmista riconosce e desidera con la preghiera rivolta al Signore, quando dichiara: «Alla tua luce, Signore, noi vediamo la luce». In questo stare alla sua presenza posso vedere ne stesso nella verità della Sua luce, perché senza la Sua luce il resto per me resta oscurità, tenebra, cecità. Dicevo che il nostro stare alla presenza di Dio non è un atto passivo in senso negativo, ma un atto recettivo che implica il mio positivo desiderio di accogliere il Signore che mi viene incontro: se devo stare alla presenza di Dio con tutto me stesso, questo richiede un cammino verso Lui, un percorso e un processo interiore molto esigente e coinvolgente, performante.
A volte il nostro stare alla presenza di Dio è troppo facinoroso, è troppo ‘attivista’, anche quando siamo fermi fisicamente, magari in preghiera. Può diventare paradossalmente proprio quello il momento delle tentazioni del “fare” che mi distolgono dalla presenza del Signore. Stare in senso dinamico e ricettivo significa quella donazione del mio tempo e di tutta intera la mia esistenza, per lasciar fare a Dio e vivere secondo Dio. Se cresce e matura questa capacità di presentarsi davanti al Signore costantemente, la vita consacrata diventa un atto generativo e rigenerativo della mia risposta al Signore nel vivere i consigli evangelici dopo averli “professati” senza “sconfessarli”.
Servire il Tempio
Secondo elemento che possiamo apprendere dalla liturgia di oggi: vivere la consacrazione è restare fedeli al servizio del tempio. Oggi il Signore entra nel tempio, portato da Maria e Giuseppe, e in quel tempio è presente Anna, di cui si dicono delle cose molto belle. Rimasta vedova, dopo pochi anni di matrimonio, «stava sempre nel tempio, non si allontanava mai dal tempio, e notte e giorno» – il testo insiste su questo abitare il tempio – e «notte e giorno serviva il Signore». La gioia di servire il tempio di Dio non significa stare fisicamente sempre in chiesa, ma conservare la grazia di non allontanarsi da quel tempio che custodisce e nutre la preziosità delicata della vostra esistenza di consacrati, di consacrate. Il primo tempio da cui il consacrato non deve mai allontanarsi, come Anna, è il tempio dove ritrovo e ripenso le ragioni della mia scelta di vita, della mia storia vocazionale. Questo è un tempio sacro, inviolabile, da non profanare mai, anzi, da abitare notte e giorno, più di quanto possiamo immaginare, meglio di quanto facciamo, perché se noi ci allontaniamo dal tempio delle ragioni per le quali abbiamo detto di sì al Signore, questo produce un grave danno, che svilisce, svuota, e de-potenzia la tenuta della fedeltà al Signore, di quell’eccomi che avete detto una volta per tutte, ma da ripetere ogni volta… sempre, senza dare mai nulla per scontato né di sicuro. Allora, il primo tempio da cui non dobbiamo mai allontanarci – come Anna – è il tempio delle ragioni per le quali ho detto di sì al Signore, rimanendo sempre collegati a quello spazio sacro che è il mio eccomi. Secondo tempio dal quale il Signore chiede di non allontanarsi mai è quello della vostra coscienza. Dio ci attrezza di questo organo morale e spirituale per un discernimento continuo alla ricerca della sua volontà. L’abbandono della coscienza morale significa che lo stile del nostro vivere quotidiano non si lascia guidare dalla vivacità di una coscienza illuminata, ma da tanti compromessi, aggiustamenti nostri, compromessi umani di stiracchiata sopravvivenza. Il Concilio Vaticano II dichiara la coscienza sacrario – quindi tempio – da cui non allontanarsi per rimanere fedeli, notte e giorno, alla risposta che il Signore sempre sollecita da ciascuno di voi. L’altro tempio da cui non allontanarsi mai è il tempio dei fratelli, a servizio dei quali il Signore rivolge la nostra consacrazione: è il tempio del servizio agli altri. Si dice di Anna nel testo di san Luca: «Serviva Dio notte e giorno», accogliendo tutti coloro che arrivavano nel tempio. Serviva Dio nel servizio dei pellegrini del Tempio. Noi serviamo Dio, ma non escludendo gli altri; il servizio per gli altri, la presenza degli altri, l’altro nella nostra vita è tempio, è luogo sacro, nel quale riconoscere e servire il Signore. Infine, il tempio sacro da cui non allontanarci mai è anche quello della preghiera, del silenzio, dell’adorazione, del dialogo ininterrotto con il signore. Anche da questo tempio non dobbiamo allontanarci mai. Un dialogo ininterrotto, notte e giorno: questo dialogo alla presenza di Dio si alimenta di raccoglimento, di ascolto, di solitudine, di purificazione interiore. Soltanto rimanendo fedeli nel servizio del tempio della contemplazione, possiamo godere del rinnovato dono della sua presenza, dell’irruzione gioiosa della sua luce. Abbiamo ricevuto poco fa nelle nostre mani la candela accesa: spenta la candela, rimanga accesa la luce della sua presenza, per continuare a servire Dio sempre, notte e giorno, in ogni tempio della sua presenza.
*Testo da registrazione
X Gerardo Antonazzo