CONVERGENZE PARALLELE
Omelia per la comunità del Seminario Leoniano
Anagni, 19 marzo 2025
Il titolo con il qual ho pensato di introdurre la mia meditazione, Convergenze parallele, è un ossimoro, peraltro usato in diversi contesti. Tale figura retorica si forma tramite l’accostamento di due vocaboli tra loro contraddittori, contrari o comunque contrastanti all’interno di una specifica frase. L’accostamento dei due termini è di fatto un ossimoro: secondo la geometria euclidea, infatti, due rette parallele non possono mai convergere.
Una fede in comune, due storie singolari
L’espressione è spesso usata in politica per indicare che due partiti convergono su alcuni punti, pur mantenendo una sostanziale distanza nella linea politica. L’espressione è attribuita al politico e giurista italiano Aldo Moro, ed è emblematica della sua carriera politica, segnata soprattutto dal cosiddetto “compromesso storico” tra Dc e Pci. In realtà, non è noto quando e se Moro pronunciò quelle esatte parole: forse sono tratte da un discorso che fece durante il congresso di Firenze della Democrazia cristiana nel 1959, quando disse “In tale direttrice diviene indispensabile progettare convergenze di lungo periodo con le sinistre, pur rifiutando il totalitarismo comunista”. Tale figura retorica mi è cara, perchè sviluppa un’idea chiarificatrice circa due storie vocazionali, quella di Giuseppe e di Maria di Nazareth, così convergenti ma anche così parallele, singolari, custodite in modo separato anche nella redazione di Matteo e di Luca.
Giuseppe è definito dall’evangelista Luca uomo giusto, quanto la figura di Abramo cui fa riferimento la seconda lettura di questa liturgia. La giustizia è di natura religiosa, come di un uomo docile alla volontà di Dio. Abramo e Giuseppe condividono la stessa pietà religiosa verso il Signore fatta di fiducia nelle sue parole e promesse. Ad entrambi, viene promesso un futuro umanamente impossibile. Per tale ragione, entrambi sono proposti come modello di una fede rimasta sempre salda nella speranza contro ogni speranza. Anche Maria verrà fortificata nel suo turbamento interiore dalla certezza che: “Nulla è impossibile a Dio!” (Lc 1,37). Giuseppe e Maria convergono in una fede radicale, esercitata nell’ascolto della Torah, Giuseppe in sinagoga e Maria in casa.
Due pesi, due misure
La storia dei due giovani, orientata al ‘matrimonio del secolo’ di cui si parlava ormai da tempo nel Villaggio e che tutti aspettavano con curiosità, viene inaspettatamente “visitata” e scombinata da Dio. Il suo proposito non è quello di depistare le loro intenzioni, o di spegnere il loro entusiasmo, imponendo una sua volontà contraria alla loro decisione, ma di favorirla e potenziarla in una prospettiva inverosimile, e di gran lunga superiore alle loro stesse aspettative. Dio non viene mai a togliere qualcosa, ma ad accrescere le nostre energie, capacità e progetti. Ed è qui che iniziano le due storie vocazionali al modo di convergenze parallele. Sono destinate ad incontrarsi sì, ma non ad omologarsi. Infatti, Maria e Giuseppe ascoltano l’angelo in due annunci distinti, in tempi e luoghi diversi, all’insaputa l’una dell’altro: Maria non sa nulla di Giuseppe e viceversa. Le due vocazioni, per quanto possano riguardare il loro reciproco rapporto, non sono l’una fotocopia o ripetizione dell’altra. Non lo è per nessuna vocazione. Non si lasciano condizionare l’uno dalla vicenda dell’altro, l’uno dalla decisione dell’altro. Restano liberi: Dio li interpella separatamente per salvaguardare la loro piena libertà nel consenso. Ciascuno dei due vive in prima persona l’unicità e irripetibilità della propria storia vocazionale. Voglio dire che il loro consenso alla volontà di Dio sarà l’espressione di due libertà personali. Non sono storie sovrapponibili, e anche il racconto di ogni chiamata narra di percorsi e di condizioni diverse. Le nostre storie vocazionali non sono ripetizioni seriali di un prodotto sempre uguale per tutti. Forse non dovremmo parlare di “vocazione” ma di “vocazioni”. Dio non si ripete con nessuno. Cari amici, salvaguardate le vostre caratteristiche, i contesti da cui ognuno proviene, le proprie storie personali, il dna della propria indiscutibile e insindacabile unicità. In questo senso, sono consapevole di quanto anche lo stesso “Progetto formativo”, pur necessario, debba essere un progetto comunitario ma anche personale, come la stoffa per un abito da confezionare su misura di chi lo deve indossare elegantemente.
C’è sonno e sogni
Giuseppe insegna a coniugare il sonno con i sogni: il sonno della nostra remissività docile e consapevole al Signore, con i sogni di Dio su di noi. Giuseppe si apre ad una missione “da sogno”, perché grazie alla sua appartenenza alla genealogia davidica il Signore potrà portare a compimento le antiche intenzioni e promesse fatte a Davide e alla sua discendenza. L’angelo glielo ricorda: Giuseppe, figlio di Davide, non temere. E’ giunto il compimento delle antiche promesse, e Giuseppe ne è responsabile. A lui la decisione ultima, e non sarà lui a interrompere lo svolgimento del piano di Dio; infatti, quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa. Vi consegno una bella provocazione di Papa Francesco: “Cari giovani, cari fratelli e sorelle, non rinunciamo ai grandi sogni. Non accontentiamoci del dovuto. Il Signore non vuole che restringiamo gli orizzonti, non ci vuole parcheggiati ai lati della vita, ma in corsa verso traguardi alti, con gioia e con audacia. Egli ci ha reso capaci di sognare per abbracciare la bellezza della vita. Ma da dove si parte per realizzare grandi sogni? Dalle grandi scelte. Scelte banali portano a una vita banale, scelte grandi rendono grande la vita. Noi, infatti, diventiamo quello che scegliamo” (22 novembre 2020).
+ Gerardo Antonazzo
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