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Omelie

Omelia per l’Ordinazione diaconale di Danilo Di Nardi e Carlo Di Sotto (Cassino-Chiesa Concattedrale, 28 giugno 2022)

STARE NELLA SEQUELA DI CRISTO

Ordinazione diaconale di Danilo di Nardi e Carlo di Sotto
Cassino-Chiesa Concattedrale, 28 giugno 2022

 

 

I due apostoli commemorati nella solennità odierna sono da sempre considerati come le due colonne della vita della Chiesa. La liturgia e l’iconografia antica non li separano mai, come se la comunione ecclesiale si può esprimere attraverso la relazione complementare dei due apostoli. Pietro e Paolo, grazie alla diversità e alle molte differenze che caratterizzano la loro rispettiva esperienza spirituale e apostolica, esprimono l’insieme l’unità della vita della Chiesa e la totalità della sua missione. Ciascuno dei due ha avuto un ruolo specifico ed essenziale nella propagazione della fede cristiana; i loro incontri a Gerusalemme e ad Antiochia mettono in luce l’ispirazione comune che li anima, insieme con i loro contrasti. L’accostamento definitivo tra carisma petrino e carisma paolino al servizio delle prime comunità sarà frutto di un lungo processo, di una progressiva chiarificazione del metodo dell’evangelizzazione e dei suoi destinatari, e del superamento di divergenze, contrasti e opposizioni, fino a condividere la palma del martirio a sigillo dell’unione definitiva in quella carità estrema per Cristo e per la sua Chiesa.

 

Il caleidoscopio della vocazione
Figli carissimi Danilo e Carlo,
Pietro e Paolo sono testimoni sublimi ed esemplari della diaconia del Vangelo. Siete chiamati “in due”, ciascuno con la propria specifica storia personale, familiare, relazionale e spirituale, per condividere il ministero di Cristo “servo”, consacrato dallo Spirito per portare ai poveri il Vangelo di salvezza. La storia vocazionale di Pietro e di Paolo si presenta come un caleidoscopio di molteplici “chiamate”. La vocazione non corrisponde mai ad una sola chiamata! La vocazione cresce e si perfeziona nelle chiamate molteplici, destinate ciascuna a dare compimento e maturità alla sequela di Cristo.  La vocazione e la missione di ogni chiamato non è risolvibile nella narrazione di un singolo evento, ma si snoda lungo un percorso a tappe; è la trama di più chiamate all’interno di un processo vocazionale unitario. Direi la stessa cosa per la vocazione all’amore coniugale e familiare. Ciò sta a indicare quanto sia importante riconoscere una vocazione quale iniziativa di Dio, e allo stesso tempo continuare a crescere nel discernimento di ulteriori chiamate, destinate a completare il mosaico della conformazione a Cristo. Scrive il card. C.M. Martini: “La vocazione è l’altra faccia della nostra conoscenza di Dio …Quanto più conosciamo il vero volto di Dio, tanto più possiamo rispondere rettamente alla vocazione; correlativamente, quanto più sappiamo rispondere alla chiamata, tanto più approfondiamo la conoscenza del vero volto di Dio”. Nell’esperienza vocazionale di Pietro e di Paolo le due realtà corrono insieme e si alimentano reciprocamente lungo le varie tappe del percorso vocazionale.

Una vocazione, molte chiamate
Per cogliere i momenti della progressiva rivelazione di Gesù nel cammino vocazionale di Pietro, è necessario riandare ai diversi racconti che lo chiamano in causa in prima persona. Scopriremo con stupore che al Signore si risponde di sì per sempre, ma non una volta per tutte: non ne saremmo capaci! La rinnovata risposta ad ogni chiamata non è mai una ripetizione della precedente, ma rafforza e accresce il “per sempre” dell’appartenenza. Racconta san Marco: “Passando lungo il mare della Galilea, Gesù vide Simone e Andrea” (Mc 1,16-18). Pietro non era un “clericale”, non viveva a Gerusalemme presso il tempio. La sua era una vita semplice di pescatore, e come ogni ebreo comune attendeva anche lui la salvezza di Israele. Ora è scosso dalla proposta di un programma preciso: “Seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini”. Sentiva in sé un entusiasmo nuovo, una nuova fiducia, una concreta speranza. Ma resta alle prese con momenti di sfiducia nei quali rischia di crollare: “Maestro abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla, ma sulla tua parola getterò le reti…Signore allontanati da me che sono un peccatore… Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini” (Lc 5, 1-11). Pietro riconosce in modo candido, convinto e con umiltà, la sua miseria umana, la condizione di peccatore, si dichiara bisognoso lui stesso di salvezza. Ciononostante Pietro scoprirà di essere al centro degli affetti del Maestro: “Gesù salì sul molte e chiamò a sé quelli che egli volle …Costituì dunque i Dodici: Simone, al quale impose il nome di Pietro…” (Mc 3,12-16). Traducendo più felicemente dal greco, possiamo dire che Gesù chiamò a sé quelli che “portava nel cuore”, che quindi sentiva già suoi. Gesù gli offre una proposta seria di amicizia, di condivisione, di familiarità. C’è qui un passo in avanti nella sequela di Cristo: Pietro è sollecitato ad una comunione di vita, a corrispondere all’offerta di un’amicizia singolare con Cristo. Di pari passo con il dispiegarsi della conoscenza di Cristo, il percorso vocazione di Pietro approda ad una bella professione di fede: “Voi chi dite che io sia? Pietro gli rispose: Tu sei il Cristo” (Mc 8, 27-29; anche Mt 16,13-19). Pietro vive una folgorazione straordinaria: Gesù è l’inviato del Padre, è il Figlio stesso di Dio, il Messia. Di riflesso, Gesù rivela a Pietro la sua nuova identità: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa” (Mt 16,18). Pietro può ricevere una missione precisa, quella di essere punto di riferimento nella composizione della nuova comunità messianica, ma senza dimenticare le insidie di satana che dovrà imparare a fronteggiare. La chiamata di Pietro ora non riguarda solo un processo ascensionale, bensì anche la via della prova, il rischio dello sbaglio, il sopravvento della menzogna, la tentazione del tradimento. Ed è ciò che accade nella notte della prigionia di Gesù: proprio qui possiamo scorgere il “non detto” più bello della vocazione di Pietro: “In quell’istante, mentre ancora parlava, un gallo cantò. Allora il Signore si voltò e fissò lo sguardo su Pietro, e Pietro si ricordò della parola che il Signore gli aveva detto: «Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte». E, uscito fuori, pianse amaramente” (Lc 22,60-62). Nella notte del fallimento lo sguardo fisso di Gesù offre a Pietro ancora di nuovo la grazia di rimediare: Gesù gli porge la possibilità di rinnovare il suo sì con un cuore pentito e con le lacrime agli occhi. Può capitare! Papa Francesco ci accompagna verso l’ultima tappa vocazionale di Pietro quando scrive: “Il Vangelo di Giovanni, così spirituale, così alto, si chiude con una struggente richiesta e offerta d’amore tra Gesù e Pietro, che si intreccia, con tutta naturalezza, con una discussione tra di loro. La prima chiamata sulle rive del lago è ora colta come dono gratuito e non come conquista orgogliosa della propria fedeltà. Solo a questa precisa condizione Gesù si potrà fidare di Pietro” (22 giugno 2022). “Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro? … Signore tu lo sai…” (Gv 21,15). E’ il “sì lo voglio” di Pietro, ormai capace di donare la vita per il Risorto: “Con tutto il suo cuore e con tutta la sua anima, con tutta la sua mente e con tutta la sua forza” (cfr. Mc 12,30). E’ il compimento definitivo della vocazione: “Tu seguimi” (Gv 21, 19). E sarà martirio!

In una conversione permanente
Anche la vocazione di Paolo viaggia di pari passo con la conoscenza del mistero di Cristo risorto, fino a “comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e di conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza” (Ef 3,18-19). Nell’esperienza di Paolo la vocazione è frutto di una conversione permanente, continuamente provocato da sfide interiori e crisi pastorali. L’incontro con il Risorto a Damasco rimette in discussione le sue sicurezze religiose di stampo farisaico. L’ascolto della voce, accompagnato da una luce accecante, apre Paolo verso la conoscenza del mistero di Gesù Cristo: “Io sono Gesù che tu perseguiti” (At 9,5). Il Dio dei padri, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio delle promesse si rivela nel Cristo risorto che inaspettatamente entra con forza nella sua vita. E’ una nuova conoscenza di Dio che si rivela insieme come conversione, vocazione e missione: “Dio, che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia, si compiacque di rivelare in me il Figlio suo perché lo annunciassi in mezzo alle genti”. Solo ora Paolo capisce se stesso e che cosa deve fare della sua religiosità: “Alzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare” (At 9,6). La vocazione e la missione di Paolo risulteranno sempre più chiare nell’arco della sua intensa azione evangelizzatrice. Paolo ha capito a proprie spese che non bisogna mai sentirsi sicuro di sé, e di quello che si fa: “Noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi” (2Cor 4,7). Quando è stato sfiorato dall’umana sicumera ha dovuto raccogliere fallimento e delusione, come nella predicazione ad Atene. Davanti alla derisione degli ascoltatori Paolo ha dovuto convertire il suo ministero: se la vocazione cambia la vita, è anche vero che la vita, l’esperienza, le persone, gli incontri, i volti, cambiano il ministero al quale siamo chiamati, rendendolo sempre più maturo, provato, concreto, su misura dei bisogni dei destinatari e non dei nostri schemi preconfezionati. Le particolari questioni alle quali sono sottoposte le sue comunità interpellano l’intelligenza dottrinale di Paolo, converte le sue strategie pastorali che è costretto a cambiare, a riordinare le priorità nella sua azione evangelizzatrice. Solo la docilità a lasciarsi continuamente cambiare dal suo stesso ministero porterà l’Apostolo delle Genti a raggiungere la piena conformazione a Cristo: “Non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,20). La fisionomia spirituale e mistica dell’apostolo si perfezionerà proprio all’interno del suo dinamismo missionario.

Carissimi Danilo e Carlo,
S. Tommaso d’Aquino afferma: “La vita dell’uomo consiste nell’affetto che principalmente lo sostiene e nel quale trova la sua più grande soddisfazione”. Il cuore di Pietro e il cuore di Paolo hanno condiviso un unico grande affetto per il Signore che li ha scelti, e per la Chiesa che sono stati chiamati a servire. I due santi apostoli vi insegnino a custodire l’integra sequela di Cristo e a restare fedeli alle consegne che oggi ricevete dalla Chiesa con l’ordinazione diaconale. La Vergine Bruna di Canneto, “serva” docile e obbediente, arricchisca la vostra vocazione e custodisca il vostro sì per sempre.

                                                                                              + Gerardo Antonazzo

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