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La relazione del card. Grech pronunciata nell’Assemblea sinodale diocesana (21 giugno 2022)

ASSEMBLEA SINODALE DIOCESANA

I vantaggi pastorali della sinodalità
Perché la Chiesa del terzo millennio non può che essere una Chiesa sinodale

Mario Card. Grech
Aquino, 21 giugno 2022

 

Fin dall’inizio del suo pontificato, papa Francesco ci ha parlato di una Chiesa «in uscita», esortando i credenti a costituirsi «in tutte le regioni della terra in un “stato permanente di missione”» (EG 25). Per papa Francesco sinodalità ecclesiale e rinnovamento pastorale vanno di pari passo. La sua è – potremmo dire – una “ecclesiologia pastorale”, in cui la riflessione sul mistero della Chiesa è immediatamente posta al servizio della riforma missionaria dell’azione pastorale. Il processo sinodale che è iniziato non riguarda solo gli specialisti, ma tutti i credenti, in particolare quanti – chierici e laici – sono impegnati direttamente nella pastorale e si interrogano su come portare avanti l’evangelizzazione nel terzo millennio da poco cominciato.

Riscoprirci tutti Chiesa Popolo di Dio
Dai primi mesi del suo ministero petrino, papa Francesco ha consapevolmente contribuito a riscoprire l’immagine conciliare della Chiesa come Popolo di Dio.  Per il Vescovo di Roma, parlare del Popolo di Dio non significa indulgere a una visione sociologica della Chiesa, ma proclamare la dignità incomparabile dei battezzati: in forza dei sacramenti dell’iniziazione cristiana, tutti i credenti sono testimoni della verità rivelata, protagonisti del discernimento ecclesiale, soggetti attivi dell’evangelizzazione.

Proprio questo è il cuore del discorso sulla sinodalità, come il Papa stesso ha spiegato nell’ormai celebre allocuzione del 17 ottobre 2015, in occasione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi, per poi ripeterlo più volte in altre occasioni: in una Chiesa sinodale – ha affermato – «il sensus fidei impedisce di separare rigidamente tra Ecclesia docens ed Ecclesia discens, giacché anche il Gregge possiede un proprio “fiuto” per discernere le nuove strade che il Signore dischiude alla Chiesa».

Parlare in favore del Popolo di Dio non significa affatto pronunciarsi contro la gerarchia: i pastori della Chiesa sono e restano membri a pieno titolo di questo Popolo, Per questo il Papa domanda ai ministri ordinati di rimanere dentro il Popolo, prima di mettersi alla sua testa.  È in tal senso che egli parla pure di una «Chiesa dell’ascolto», in cui le decisioni non sono assunte dall’uno senza l’altro, Non vi è dubbio che nella Chiesa locale i vescovi, coadiuvati dai presbiteri e dai diaconi, posseggano l’onore e l’onere della decisione, e che lo stesso debba dirsi nella Chiesa universale per il collegio episcopale e il vescovo di Roma, pastore e dottore di tutti i cristiani. Ma quest’autorità si esercita sempre per il bene di tutti e dopo aver prestato ascolto a tutti, perché in tutti – non escluso il più piccolo, come affermava San Benedetto – dimora lo Spirito di Cristo, che è «Spirito della verità» (Gv 14,17).

“Sinodalizzare” la mentalità contro il clericalismo
Naturalmente per “sinodalizzare” la pastorale occorre concentrarsi sulle persone. Sarebbe una pia illusione ritenere che la riforma sia realizzabile a colpi di lettere apostoliche del Papa o le lettere pastorali dei vescovi, senza impegnarsi più a monte in un’opera paziente e laboriosa di trasformazione della mentalità.  La domanda da porsi non è, in prima battuta, “che cosa” deve cambiare, ma “chi” deve cambiare, “chi” deve riformarsi perché il rinnovamento pastorale della Chiesa diventi realtà nel vissuto quotidiano della Chiesa.

Il clericalismo spesso non è solo una “malattia” dei preti, o peggio dei vescovi, ma una patologia che affligge gli stessi laici, i quali molte volte tendono a delegare ai pastori quelle responsabilità che il battesimo attribuisce invece proprio a loro, oppure si illudono che, per “contare” qualcosa nella Chiesa, occorra a tutti i costi “clericalizzarsi”, imitando i ministri ordinati (come spesso si vede sui nostri altari).  È appunto a questo livello che si colloca la riforma delle mentalità: aiutare i battezzati a diventare consapevoli dei loro diritti nativi all’interno della comunità cristiana, non nella logica distruttiva della protesta e della rivendicazione, ma in quella costruttiva del dialogo e della collaborazione.

Chiesa soggetto, Chiesa di soggetti
Così ha recentemente affermato la Commissione Teologica Internazionale, che ha dedicato alla sinodalità un prezioso documento, già prima richiamato: «La sinodalità esprime l’essere soggetto di tutta la Chiesa e di tutti nella Chiesa. I credenti sono synodoi, compagni di cammino, chiamati a essere soggetti attivi in quanto partecipi dell’unico sacerdozio di Cristo e destinatari dei diversi carismi elargiti dallo Spirito Santo in vista del bene comune. La vita sinodale testimonia una Chiesa costituita da soggetti liberi e diversi, tra loro uniti in comunione, che si manifesta in forma dinamica come un solo soggetto comunitario il quale, poggiando sulla pietra angolare che è Cristo e sulle colonne che sono gli Apostoli, viene edificato come tante pietre vive in una “casa spirituale” (cfr. 1Pt 2,5), “dimora di Dio nello Spirito” (Ef 2,22)» (n. 55).

Intendere l’Ecclesia come “soggetto” significa comprendere che tutti i suoi membri sono “soggetti”: soggetti dell’evangelizzazione e della missione. Ma cosa significa, concretamente, riscoprire la soggettualità – o il protagonismo – del Popolo di Dio? La normativa canonica vigente, che si è sforzata di tradurre in linguaggio giuridico la rinnovata ecclesiologia del Concilio Vaticano II, già permette di fatto qualche possibilità, non sempre adeguatamente compresa e per questo non sempre adeguatamente sfruttata. Il riferimento è qui al consiglio presbiterale e al collegio dei consultori, e ancor più ai consigli pastorali diocesani e parrocchiali, istituiti sulla scia della svolta conciliare, ma anche ai sinodi diocesani, che sono invece istituzioni di antica origine.  Nella nostra diocesi e nelle nostre parrocchie esistono questi organismi? E, se sì, procedono stancamente, si radunano solo saltuariamente, ratificano decisioni già prese, o sono luogo di esercizio effettivo, benché a volte sofferto, di sinodalità ecclesiale?

Non si deve, del resto, dimenticare che i diritti dei battezzati sono fondati sulla loro partecipazione al triplice munus profetico, sacerdotale e regale di Cristo. A quest’ultimo riguardo (munus regale), anche se all’interno del Popolo di Dio il parere dei laici è normalmente consultivo, non si può sottovalutare l’importanza teologica e pastorale di tale consultazione, fondata sulla dottrina del sensus fidelium: è ascoltando la voce dei fedeli che i pastori giungono, attraverso un attento discernimento, alla decisione pastorale. In tal modo, nella Chiesa, solo i pastori possiedono la responsabilità della decisione (decision taking), ma tutto il Popolo di Dio (dunque i pastori mai senza i fedeli laici) concorre alla sua elaborazione (decision making).

L’autorità dei laici può e deve realizzarsi sia ad intra che ad extra: con la prima espressione, mi riferisco a quelle funzioni che i laici possono e debbono svolgere all’interno delle loro Chiese (catechesi e insegnamento, ministerialità liturgica, funzioni di leadership di varia natura), anche grazie ai ministeri laicali di antica e nuova istituzione; con la seconda faccio riferimento al ruolo che i laici possiedono in ordine all’evangelizzazione del mondo, di quel mondo che non è “ancora” cristiano o che, qui in Occidente, non è “più” cristiano. Una Chiesa sinodale è, insomma, una comunità in cui i battezzati e le battezzate si sentono non solo autorizzati, ma investiti di un incarico di testimonianza evangelica negli ambiti del lavoro, della scuola, della cultura, della politica, dell’economia. Una Chiesa più sinodale è una Chiesa più estroversa e non più introversa, più protesa verso il mondo perché più capace di valorizzare la vocazione specifica dei laici, che per loro natura sono le “avanguardie” della Chiesa all’interno della società.

La sinodalità autentica si attua, in ultima analisi, praticando l’arte del discernimento comunitario, cioè sforzandosi di interpretare “insieme” – pastori e laici – ciò che lo Spirito Santo dice oggi alla Chiesa (cfr. Ap 2,7). «L’esercizio del discernimento è al cuore dei processi e degli eventi sinodali. Così è sempre stato nella vita sinodale della Chiesa. […] Si tratta d’individuare e percorrere come Chiesa, mediante l’interpretazione teologale dei segni dei tempi sotto la guida dello Spirito Santo, il cammino da seguire a servizio del disegno di Dio escatologicamente realizzato in Cristo che vuole realizzarsi in ogni kairós della storia» (CTI, 113).

 

La sinodalità per la Chiesa del terzo millennio
Sappiamo tutti che i “numeri” della Chiesa cattolica, almeno in Occidente, vanno gradualmente assottigliandosi. Ci domandiamo: è mai possibile che la Chiesa, quella in cui siamo cresciuti e che ha avuto un ruolo determinante nelle grandi scelte della nostra vita, stia arretrando così vistosamente, mentre nelle parrocchie continuiamo a fare quello che si è sempre fatto (messe, catechismo, feste e processioni)? Abbiamo mai provato a proiettare la nostra diocesi o parrocchia fra 20, 30 o 50 anni, e a domandarci cosa accadrà quando i nostri figli e i nostri nipoti saranno adulti?

Non vi è dubbio che, in un frangente in cui le forze clericali arretrano in modo inesorabile per la crescente penuria vocazionale, si rende più urgente la corresponsabilizzazione del laicato. L’urgenza attuale offre l’occasione preziosa per riscoprire la soggettualità ecclesiale del laico, la sua vocazione propria e nativa alla testimonianza cristiana, fondata sulla grazia del battesimo, che abilita tutti – tutti! – alla missione ecclesiale.

Ecco allora l’attualità e l’urgenza della sinodalità: una Chiesa più sinodale è, semplicemente, una Chiesa della fraternità e della sororità, in cui tutti ci sentiamo investiti di diritti e doveri, di doni e responsabilità, sul modello della Chiesa apostolica, caratterizzata da una ricchezza di ministeri e carismi che circondano la figura chiave dell’apostolo, non per scavalcarlo ma per favorire, preparare e prolungare la sua opera di annuncio e di guida.

 

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