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Il meglio deve ancora venire – Omelia per la solennità di Maria Assunta in cielo (Sora-Cassino, 15 agosto 2022)

IL MEGLIO DEVE ANCORA VENIRE

Omelia per la solennità di Maria Assunta in cielo
Sora-Cassino, 15 agosto 2022

 

Papa Francesco durante l’udienza generale del 10 agosto 2022 ha dichiarato: “La nostra esistenza sulla terra è il tempo dell’iniziazione alla vita: è vita, ma che ti porta avanti a una vita più piena, l’iniziazione di quella più piena; una vita che solo in Dio trova il compimento”. E concludeva: “E il meglio deve ancora venire”. L’incipit della Parola di Dio gli dà pienamente ragione: “Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle” (Ap 12,1). Quali, invece, i segni che vediamo sulla terra? Guerre, devastazioni ambientali, siccità, ingiustizie razziali, crisi delle democrazie… ci regalano la percezione che l’umanità vada verso un’inarrestabile catastrofe. Possiamo protestare sui social, o parlarne con chi ci sta vicino, ma finisce lì. E di questo siamo frustrati. Secondo Martin Heidegger coinciderebbe con il senso di nullità dell’esistenza. Verissimo. Anche i nostri ragazzi, e non pochi adulti, pare puntino alla sopravvivenza, alla soddisfazione dell’oggi, del carpe diem. Tutto qui e solo ora. Triste. La domanda è: che cosa succederà? Contrariamen­te a quanto dichiarato dagli ‘accelerazionisti’, cioè da coloro che sostengono un’evoluzione tecnologica sfruttando la tec­nologia digitale e l’intelligenza artificiale al fine di ottenere un miglioramento del futuro, abbiamo molti segnali di gran­de sofferenza dell’umanità (cf. T. Cantelmi, Transizioni profetiche 2022, p. 74).

Soffriamo di una disperata sete di salvezza, di redenzione, di positività. Mentre dilaga la paura e rischia di assopirsi la fiducia, spesso risucchiata dallo scoramento dell’anima, nella liturgia dell’Assunzione di Maria si respira un clima spirituale di esultanza pasquale: l’inno alla gioia, il canto dell’amore divino, il trionfo della vita che non muore, melodia inedita composta sul pentagramma delle cinque piaghe dell’uomo Risorto. Irrompe e sorprende l’annuncio dell’apostolo Paolo: “Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti … Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita” (cfr. 1Cor 15,20-22). L’apostolo esorta i credenti a orientarsi in modo inequivocabile, senza deviazioni, in un’unica sicura direzione: “Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra” (Col 3,1-2). Le “cose” non sono oggetti da cercare, ma ricchezze vere da raggiungere per entrane in possesso della piena felicità: “Accumulate per voi tesori in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non scassìnano e non rubano. Perché, dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore (Mt 6,19-21). San Giovanni Maria Vianney, che di cielo e di tesoro se ne intendeva davvero, insegnava: “Il tesoro del cristiano non è sulla terra, ma in cielo. Il nostro pensiero perciò deve volgersi dov’è il nostro tesoro. Questo è il bel compito dell’uomo: pregare ed amare. Se voi pregate ed amate, ecco, questa è la felicità dell’uomo sulla terra. La preghiera nient’altro è che l’unione con Dio”.

Cosa significa, dunque, cercare le cose di lassù se non riscattare, oltre ogni delusione e frustrazione, le vere ragioni del vivere e del morire, nutriti di una speranza affidabile? Abbiamo bisogno della Pasqua di Cristo, l’unica forza divina che può assicurare un destino di “assunzione”, di “superamento” di un esistere così precario, limitato. L’’Assunzione di Maria segna il riscatto, la risposta felice e definitiva all’angoscia della morte, che pure deve essere considerata, discussa, trattata e in qualche modo alleviata. Già prima della pandemia, l’Or­ganizzazione mondiale della sanità aveva dichiarato la depressione come la principale causa di invalidità al mon­do, e la salute mentale come una vera e propria emergenza che avrebbe caratterizzato il decennio attuale.

L’Assunzione di Maria ci fa scoprire un nuovo umanesimo, perfettamente riuscito. Opera solo di Dio! E’ lui il compimento di ogni aspirazione umana. E questo si chiama speranza. La speranza della rivoluzione cristiana che ha cambiato la storia del mondo. Papa Pio XII dichiara il dogma dell’Assunzione immediatamente dopo la conclusione della tragedia bellica della seconda guerra mondiale. In un periodo di grandi tragedie e di ferite drammatiche, serpeggiava la sfiducia. Quasi nessuna speranza trascendente sosteneva gran parte dell’umanità prostrata e umiliata dalla guerra. La speranza si era quasi del tutto assopita. In questo humus di depressione iniziava a trovare agio e terreno fertile ogni forma di nichilismo: “Sugli uomini della presente generazione, così travagliata e dolorante, smarrita e delusa, ma anche salutarmente inquieta nella ricerca di un gran bene perduto, si apre un lembo luminoso di cielo, sfavillante di candore, di speranza, di vita beata, ove siede Regina e Madre, accanto al Sole della giustizia, Maria” (Pio XII, 1° novembre 19150). Filosofi e letterati parlavano in modo rassegnato del tedio e della nausea della vita, del suo non senso. In questo contesto, l’intervento magisteriale di papa Pacelli non fu soltanto un atto religioso, ma è da considerarsi un atto squisitamente “politico”, convinto che la definizione dogmatica dell’Assunzione di Maria sarebbe stata di “grande vantaggio all’umanità intera” (Pio XII, Munificentissimus Deus).

Non avremmo mai immaginato che ci saremmo ritrovati ancora una volta in una situazione storica, culturale e sociale molto prossima al dopo-guerra: pandemia, crisi economica, depressione sociale, femminicidi, guerriglie urbane tra bande rivali di baby gang, una drammatica guerra in Europa provocata dall’aggressione russa in Ucraina, il caro-vita inarrestabile che tante difficoltà sta causando nella vita reale della gran parte delle famiglie, la carestia per milioni di persone a causa del blocco dei cereali nei porti ucraini, l’inarrestabile flusso di migranti in Europa in fuga da altre guerre, fame e povertà di ogni genere. Lasciatemi dire: abbiamo più che mai bisogno di celebrare il grande mistero di Maria Assunta in cielo. Sempre, ma in particolare oggi, lasciamoci ridire dalla liturgia l’invito: “In alto i nostri cuori”. E noi a gran voce: “Sono rivolti al Signore”. Nella lode a Maria Assunta il cuore di ognuno è come risvegliato dal torpore stantio di una vita subita, ripiegata sulle proprie delusioni o trascinata in un pantano di amarezze senza via d’uscita, senza alcuna speranza di una vita diversa, ancora meno di una vita altra. Il salmista invita a pregare così: “A te alzo i miei occhi, a te che siedi nei cieli” (Sal 123,1).

La rivoluzione digitale sembrava aver cancellato il tema della spi­ritualità: la parola ‘conversione’ si applica più raramente alla conversione spirituale e più diffusamente alla conversio­ne di un file, il termine ‘giustificazione’ piuttosto che in­dicare il sacrificio di Cristo si ricollega più frequentemente al riassetto dei paragrafi di un testo digitale e ancora la pa­rola ‘salvezza’ non è più applicata all’opera redentrice di Cristo, ma al salvataggio di un elaborato digitale. I termini ‘conversione’, ‘giustificazione’, ‘salvezza’ e altri ancora assumono nuovi significati. L’onnipotenza tecnologica ha tra­sformato l’uomo in un concorrente di Dio (T. Cantelmi). Invece l’Assunzione di Maria orienta i nostri cuori alla salvezza “ultraterrena, per un nuovo possibile umanesimo pienamente compiuto in Dio. Se l’apostolo invita a cercare le cose di lassù è per imparare a vivere evangelicamente quelle della terra con il coraggio della speranza e la pazienza dell’attesa operosa. Se questa festa riveste il colore del cielo è per imparare a vivere meglio il nostro presente sulla terra; se parla di “assunzione” è perché parla di futuro.

L’uomo di ogni tempo ha bisogno di comprendere il vero “orientamento” della propria esistenza: a chi, o a che cosa consegnarla? verso dove? La liturgia dell’Assunzione mette in cammino il popolo di Dio, non da solitari, non senza gli altri, né nonostante gli altri, ma grazie agli altri. La speranza ha bisogno anche della carità fraterna, della comunione, della “cordata” dei fragili in cammino verso la meta comune. La vera devozione mariana è un esercizio di sinodalità, di un cammino vissuto insieme, condiviso nelle gioie e nelle prove, in salita e quindi faticoso, ma sempre consolato dalla speranza nel Dio di Gesù Cristo risorto. Ne è prova sicura l’assunzione di Maria al cielo. E Lei ci ricorda che il meglio deve ancora venire.

 

                                                                                              + Gerardo Antonazzo

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