UNA DONNA DI POTERE
Giovanna I d’Angiò nel portale della chiesa di Santa Restituta
Alessandra Tanzilli
Nella facciata della moderna chiesa patronale intitolata alla martire Restituta, venerata sin dal IX secolo in un edificio sacro più volte ricostruito nel centro urbano di Sora dopo i terremoti del 1349, del 1654 e del 1915, si apre un antico portale impreziosito da quattro mensole antropomorfe (fig. 1). La cura osservata nella ricollocazione del portale nelle varie riedificazioni della chiesa dimostra la costante percezione della sua importanza storica e artistica, accresciuta dalla ricercata bellezza dei fregi vegetali scolpiti nelle ghiere dell’archivolto e soprattutto dalle raffigurazioni con cui l’ignoto scultore del tempo intendeva rappresentare con verosimiglianza personaggi allora più che famosi. La loro riconoscibilità è possibile attraverso la datazione del portale, in origine provvisto di un’ampia cornice cuspidata (fig. 2) che, per forma e apparato decorativo, è confrontabile con molti fornici della contigua area abruzzese, in particolare del duomo di Ortona, di Lucera e di Atri, delle chiese di Santa Maria di Paganica, di San Pietro a Coppito e di San Francesco a Lucera, tutti risalenti alla metà del Trecento.
Le due testine del registro superiore sono calcaree e appena abbozzate; la figura a sinistra è sicuramente maschile per l’annotazione di barba e baffi (fig. 3), la testina di destra, dai lineamenti più dolci e con un’acconciatura raccolta dietro le orecchie, rappresenta senza dubbio una donna (fig. 4); il diadema delineato sul capo di entrambi indica l’autorità regale. Le teste del registro inferiore, poste su due capitelli a crochets, sono invece marmoree e scolpite a tutto tondo con attenta cura ai dettagli fisiognomici; lo stile di esecuzione rimanda al gotico francese, anche se declinato in forma meno rigida e schematica grazie alla ricercata originalità decorativa e alla citazione dell’antico, ricorrente nell’arte trecentesca dell’Italia meridionale. La testa muliebre è coronata dal diadema gigliato che poggia su capelli ondulati e disposti in due bande lasciando scoperti i lobi guarniti dalle sobrie e raffinate cerchiedde di gran moda a Napoli a metà del ’300; il volto è ovale, l’arcata sopraccigliare ampia e ben definita, gli occhi grandi e allungati verso le tempie, gli zigomi alti, i solchi naso labiali accentuati, le labbra carnose, la postura del collo obliqua (figg. 5-6). La testa virile non è coronata e appartiene a un giovane robusto, dal collo taurino, con occhi grandi e sporgenti, lineamenti marcati e capigliatura mossa dal taglio carré e corta frangia (fig. 7). Si noti che le teste maschili sono simmetricamente disposte nel lato di sinistra del portale, le femminili a destra, secondo un protocollo osservato in molte raffigurazioni di stirpi regnanti.
I confronti stilistici con i portali abruzzesi sopra ricordati collocano l’esecuzione del portale nel XIV secolo, ma la presenza dell’effigie nel registro inferiore di una regina adorna della corona gigliata circoscrive la datazione del fornice e rimanda immediatamente alla stirpe angioina, che concesse a Sora lo status demaniale nel 1292 e l’arricchì di importanti opere urbanistiche, difensive, industriali, caritative e artistiche. Infatti, l’unica donna che abbia rivestito l’autorità regale nel Regno di Napoli a metà del XIV secolo è Giovanna I d’Angiò, sovrana dal 1343 al 1380 per disposizione testamentaria del nonno, Roberto d’Angiò.
L’ipotesi dell’identificazione di Giovanna I è confermata dalla copiosa ritrattistica della regina, certamente dovuta all’eccezionalità del conferimento del potere ad una donna e alla volontà propagandistica di legittimare la sua successione al trono. La sovrana compare più volte nella Bibbia di Lovanio, illuminata da Cristoforo Orimina tra il 1340 e il 1343 su commissione di Roberto d’Angiò. Nel fol. 1r di un altro codice, contenente gli Statuts de l’Ordre de St. Esprit, miniato nel 1354 sempre da Cristoforo Orimina, Giovanna è ritratta ai piedi della Trinità e di Cristo crocefisso in gloria insieme con il secondo marito, Luigi di Taranto. Giovanna appare anche nel Libro d’ore, un breviario miniato dopo il 1367. Una certa compatibilità con l’effigie sorana affiora dal raffronto con due ritratti negli affreschi di Roberto d’Oderisio nella chiesa napoletana dell’Incoronata, databili tra il 1352 e il 1354, dove la regina, secondo una tradizione priva di riscontro, sarebbe raffigurata nelle due scene delle nozze con il secondo marito, Luigi di Taranto, e del sacramento della cresima.
La sua immagine ricorre nell’affresco del Redentore in trono, opera di Lello da Orvieto del 1342, visibile nell’oratorio delle Clarisse annesso alla chiesa di Cristo Redentore e San Ludovico d’Angiò a Napoli. Stringenti somiglianze s’individuano nella giovane donna rappresentata a destra di Sancia nel monumento funebre di Roberto d’Angiò in Santa Chiara a Napoli, scolpito fra il 1343 e il 1345 da Pacio e Giovanni Bertini e documentato da immagini antecedenti al barbaro bombardamento alleato che colpì l’edificio il 4 agosto 1943. Nella fronte del sarcofago di Maria di Valois, realizzato da Tino di Camaino e aiuti tra il 1333 e il 1338 e conservato sempre in Santa Chiara, Giovanna è similmente ritratta con le insegne regali nell’arcatella immediatamente a sinistra della defunta, posta al centro della teoria. La sovrana compare in atto di preghiera e con la corona gigliata posata in terra in segno di umiltà nel pannello ad opera di Pacio Bertini e bottega, originariamente inserito nel pulpito di Santa Chiara e appartenente al ciclo delle Storie della Passione di Cristo e dei Santi, di cui restano solo riproduzioni fotografiche. La diffusione dell’immagine della regina supera anche i confini del Regno: a Saint-Maximin-la-Sainte-Baume in Provenza, nel rilievo sulla chiave di volta quadrilobata dell’ottava campata – realizzata fra il 1330 e il 1345 – della basilica gotica intitolata a Santa Maria Maddalena e iniziata nel 1295 da Carlo II d’Angiò, ella è assisa in trono con le insegne del potere. Ed ancora, Giovanna è identificabile per i gigli d’oro angioini che tempestano la lunga veste azzurra in un affresco di seguace napoletano del pittore fiorentino Niccolò di Tommaso nella certosa di San Giacomo a Capri, edificata tra il 1371 e il 1374.
Certamente la realizzazione del portale è posteriore alla salita al trono di Giovanna, avvenuta nel 1343, e anteriore alla deposizione nel 1380, ma è possibile restringere l’arco temporale identificando il giovane imberbe raffigurato all’altro lato, presumibilmente uno dei quattro mariti collezionati dalla sovrana. Se la testa maschile rappresenta il primo marito, Andrea d’Ungheria, sposato infante e ucciso nel 1345 ad Aversa in una congiura di palazzo, l’arco di Santa Restituta risalirebbe agli anni compresi fra il 1343 e il 1345; qualora fosse il ritratto di Luigi di Taranto, sposo di Giovanna dal 1347 al 1362, la data di costruzione del portale si sposterebbe di alcuni anni, ma l’ipotesi non convince per l’assenza della corona che Luigi invece avrebbe legittimamente indossato in forza della sua investitura formale, mentre non è escluso che si tratti dell’avvenente e giovane terzo marito, Giacomo di Maiorca, con cui il vincolo matrimoniale durò di fatto dal 1363 al 1365: in tal caso, la realizzazione del portale sarebbe circoscrivibile agli anni sessanta del Trecento, il periodo più ricco di fondazioni sacre commissionate dalla sovrana. L’attribuzione al quarto consorte, Ottone di Brunswich- Grubenhaque, è fuori discussione in quanto egli fu in carica negli anni dell’indebolimento del potere e della tragica fine di Giovanna. L’attribuzione della testa virile a Giacomo di Maiorca rende verosimile l’ipotesi che l’opera di rifondazione della chiesa e di dotazione del portale sia stata eseguita dopo il 1360 in seguito ai danni causati dal sisma del 9 settembre 1349; un lascito testamentario del 1363 a favore della chiesa di Santa Restituta testimonia il concorso finanziario dell’Universitas, necessario in un momento di difficoltà delle finanze angioine, prosciugate dalla generosa partecipazione della Corona al soccorso della popolazione nei tristi frangenti della peste e degli assalti militari. Il decennio compreso fra il 1360 e il 1370 è un periodo favorevole per la sovrana, finalmente affrancata da ogni tutela e ingerenza e dalle pretese dinastiche dei primi due consorti e libera di occuparsi della costruzione o dell’abbellimento di edifici pubblici e sacri, tra cui la chiesa sorana, di cui fece monumento propagandistico per eccellenza dell’autorità regale e della sua legittimità in finitima parte Regni sui. Se le testine semplificate e arcaizzanti del registro superiore fossero attribuibili con certezza ai capostipiti Carlo I d’Angiò e a sua moglie, Beatrice di Provenza, il portale sorano rappresenterebbe la genealogia angioina con una chiara finalità politica ed encomiastica. Probabilmente era stato proprio Carlo I a patrocinare la ricostruzione della chiesa patronale di Sora distrutta dalle milizie federiciane nel 1229; in tal caso, le testine del registro superiore, più antiche, risalirebbero agli anni intorno al 1270 e a un precedente impianto dell’edificio di cui, un secolo dopo, la pronipote Giovanna, dopo aver già restaurato altre fondazioni del trisnonno, avrebbe voluto la ricostruzione. A testimonianza del suo impegno e dell’importanza di Sora, città di frontiera ricca e autonoma, la regina commissionò un portale adorno delle effigi antiche e moderne al fine di glorificare e tramandare la memoria di una progenie fedele al Papato, celebrare la legittimità della sua successione, ottenere il consenso popolare e assicurare la presenza equilibratrice della propria autorità dopo il lungo e travagliato periodo delle invasioni del Regno di Napoli nel 1347 e nel 1350. La dotazione del portale risale dunque al decennio compreso fra il 1360 e il 1370, senza dubbio il più felice prima degli anni turbolenti, segnati da complotti, assassinii e rivolte che condussero allo scisma d’Occidente nel 1378 e al declino politico della sovrana. Tra l’altro, è lo stesso scorcio temporale del soggiorno a Napoli di santa Brigida, colei che aveva esortato Giovanna a cambiare radicalmente i suoi costumi e quelli della corte; senza dubbio l’opera di restauro della chiesa sorana dedicata ad una martire paleocristiana fu un’ottima opportunità politica, religiosa e propagandistica per una grande regina1.
1 L’articolo è sintesi del saggio della stessa Autrice, pubblicato con il titolo La regina Giovanna I d’Angiò nel portale maggiore della chiesa di Santa Restituta a Sora, in “Quaderni Coldragonesi”, n°11, a cura di A. Nicosia, Colfelice 2020, pp. 29-50.