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Omelie Vescovo Gerardo Antonazzo

“Lavare i piedi, non tagliare le gambe” – Omelia per la Messa in Coena Domini (Pontecorvo – Concattedrale, 6 aprile 2023)

LAVARE I PIEDI, NON TAGLIARE LA GAMBE

Omelia per la Messa In Coena Domini

 

Il Cenacolo del giovedì santo è l’icona più espressiva della Chiesa, immagine onnicomprensiva della sua identità evangelica di serva umile e umiliata. Nel brano del vangelo, l’apostolo Giovanni racconta le ultime ore del Cenacolo attraverso una duplice azione simbolica: le vesti e la lavanda. Due gesti altamente significativi e immediatamente correlati. L’utilizzo di un’azione simbolica era ricorrente nella cultura biblica dell’Antico Testamento, finalizzata ad un messaggio provocatorio nei confronti dei destinatari e suscitare in loro una reazione immediata. Per queste ragioni, l’azione simbolica ha un rapporto molto forte e concreto con la realtà che esprime: essa non la «significa» soltanto, ma in qualche modo la anticipa. “La stranezza di alcune azioni può servire ad attirare l’attenzione, o per sottolineare il carattere non autonomo e allegorico dell’azione stessa; in qualche caso, possono anche suggerire la stranezza dell’agire divino” (L.A. Schökel). La “stranezza” dell’agire divino la ritroviamo nell’evento della Cena, di cui oggi facciamo memoria nel rito liturgico.

 

La stranezza dei gesti

Rileggiamo attentamente il testo, per affidarlo al discernimento del cuore e meditarlo con sapienza spirituale: “Gesù si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli …. Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo” (Gv 13, 4-5.12). Nei gesti e nelle parole di Gesù, tutto portava da un’altra parte rispetto alle aspettative dei discepoli. Gesù Signore depone le vesti e riprende le vesti: tra i due momenti si incunea la lavanda dei piedi. Risulta chiaro come il gesto della lavanda è centrale rispetto all’uso delle vesti, ma allo stesso tempo non si potrebbe spiegare e comprendere la lavanda dei piedi senza il gesto di deporre e riprendere le vesti, azione profetica che anticipa e chiude ciò che accade nel frammezzo. Questi tre momenti costituiscono insieme un unico messaggio profetico destinato agli apostoli: lo scopo dell’intera esistenza del Maestro sarà quello di deporre-offrire la sua vita nel dono totale e sacrificale di sé sulla croce, per poi riprenderla in pienezza e per sempre con l’evento splendido della sua vittoria sulla morte. L’insegnamento per la Chiesa è alto e arduo. Le due azioni compiute da Gesù nel Cenacolo si fanno comandamento-insegnamento dell’amore sul Calvario, mandato preciso e imprescindibile al quale ogni discepolo è chiamato a rispondere: amare è servire, e servire non è fare o dare qualcosa, ma ‘sacrificare’ la propria vita per gli altri: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici (Gv 15,13). Tutto il resto è solo egoismo che uccide.

 

La reciprocità del gesto

Il signore dopo aver compiuto la lavanda dei piedi, consegna a tutti la reciprocità del gesto: deve essere fatto tra di noi, gli uni lavando i piedi degli altri. Quello che manca nel rito che tra poco faremo è proprio il segno della reciprocità, perché sarò solo io a lavare i piedi di ciascuno. Purificare i piedi è aiutare a cambiare il cuore di tutti e piegarlo verso stili sinodali e abbracci fraterni. Resta necessario essere disposti a lavare gli uni i piedi degli altri per sostenere la conversione alla reciprocità fraterna. Gesù non evita Giuda, non perde la pazienza con Pietro, non guarda in faccia nessuno degli altri, ma prende tra le mani i piedi di tutti, senza esclusioni o pregiudizi: “Ce n’è abbastanza perché la ripetizione rituale della lavanda dei piedi che, tra la commozione generale, celebreremo la sera del giovedì santo, ci metta nell’animo una voglia struggente di servizio, di accoglienza, e di pace. Verso tutti. A partire dai più vicini. E ci mandi in crisi, più che mandarci in estasi. Perché, visto che siamo così lenti a convertirci, quella brocca è esposta al sacrilegio non meno della stessa eucarestia” (T. Bello, Gli uni i piedi degli altri). Tutto parte dal Cenacolo: è all’interno di esso che si impara la lezione impartita dal Maestro. Non si può immaginare di compiere fuori il gesto della reciprocità con il mondo contemporaneo, se non siamo disposti a compiere il servizio dell’ascolto fraterno tra di noi: “Perché, se il marito smania di lavare i piedi ai tossici, la moglie si vanta di servire gli anziani, e la figlia maggiore fa ferro e fuoco per andare nel terzo mondo come volontaria, ma poi tutti e tre non si guardano in faccia quando stanno in casa, la loro è soltanto una contro testimonianza penosa. Che danneggia perfino i destinatari di un servizio apparentemente così generoso” (ivi).

Disposti a tutto

Deposte le vesti, significa essere disposti a tutto: “Anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi”. La nostra reazione è chiara, quanto quella di Pietro. La posiamo immaginare così: “Cosa mi chiedi, Signore? Piegarsi, umiliarsi, farsi servo, toccare i piedi e lavarli…che schifo! Non pensavo che per essere tuo discepolo dovessi ridurmi a un lavapiedi”. Deporre le vesti per i cristiani di ogni tempo significa per sempre deporre le nostre sicurezze, ogni perbenismo, un cristianesimo borghese di comodo e di facciata, svestirsi di ogni pregiudizio, liberare il cuore dalle squame fastidiose del fanatismo e delle preclusioni. Gesù scompiglia le nostre mire di grandezza, di primato, di successo mondano, di bella figura, di ipocrisia; “A questo siamo chiamati: all’unità, alla comunione, alla fraternità che nasce dal sentirci abbracciati dall’unico amore di Dio. Tutti, senza distinzioni” (Francesco, 9 ottobre 2021). Stringere i piedi è afferrare con amorevolezza le debolezze, le cadute, le piaghe, ogni forma di sporcizia per prenderle su di sé e condividere con tenerezza. Dobbiamo piegarci a lavare i piedi, piuttosto che a tagliare le gambe nella gara del carrierismo e del successo. Credo che il problema non stia soltanto nel lavare i piedi degli altri; potrebbe incoraggiarci a farlo la magra consolazione di sbattere i faccia i loro errori, e far passare come generosità il nostro umiliante buonismo nei loro confronti. La peggiore crisi potrebbe invece esplodere davanti alla logica della reciprocità: lasciare che gli altri lavino i nostri piedi, perché questo significa ammettere anche la nostra sporcizia e riconoscere il bisogno della loro comprensione. Invece di deporre le vesti siamo meglio disposti a indossare una corazza. A questo punto il Cenacolo diventa asfissiante, l’aria che si respira insopportabile, il clima della cena ormai avvelenato. E’ meglio uscire, salvare la pelle e illudersi di vivere da discepoli come se in quel luogo non ci fossimo mai entrati. Appellandoci solo ai nostri diritti individuali, alla nostra dignità umana, a un minimo di rispetto nei nostri confronti, non facciamo altro che creare gli alibi del non-servizio, dell’anti-fraternità, dell’inaccettabile diversità, della chiusura del Cenacolo per fallimento. Facciamo sempre fatica immane accettare che la vera fraternità germoglia quando abbiamo il coraggio di condividere le nostre fragilità.

 

Cari amici,

il Cenacolo insegna il ‘politicamente scorretto’, e ci educa al rifiuto della “normalità” mondana. Non c’è rivelazione senza ‘carne’, non esiste Vangelo senza storia. Il Cenacolo non ci salva senza piedi da lavare, senza scambiare le vesti con un grembiule.

+ Gerardo Antonazzo

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