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Omelie Vescovo Gerardo Antonazzo

“Il frutto maturo del Battesimo” – Omelia per la solennità di santa Restituto (Sora, 27 maggio 2023)

IL FRUTTO MATURO DEL BATTESIMO

Omelia per la solennità di santa Restituta
Sora, 27 maggio 2023

 

 

Oggi la Città guarda con ammirazione alla testimonianza sempre attuale della sua patrona, ma non senza il limite e il danno delle molte distrazioni che sviliscono l’attrazione spirituale della nostra martire, e le dissipazioni di ogni genere che sciupano le energie spirituali di tanti cristiani della comunità sorana. Nel centenario della nascita di don Lorenzo Milani ricordiamo un suo breve pensiero: “Se dicessi che credo in Dio direi troppo poco perché gli voglio bene. E capirai che voler bene a uno è qualcosa di più che credere nella sua esistenza” (Lettere). Quel “qualcosa di più” per s. Restituta è stato il martirio. In questa celebrazione liturgica lasciamoci illuminare e istruire dal discorso di Gesù in Gv 15,1-11 nel quale spiega e propone ai discepoli il significato, la qualità e lo stadio più maturo della relazione linfatica con Lui. Apprendiamo dal testo giovanneo tre prospettive.

Vivere in Cristo

Gesù utilizza l’allegoria della vite e dei tralci per spiegare che il cammino della fede non è accettazione di verità astratte, non è mettere in memoria i suoi insegnamenti, ma una relazione intensa che fa vivere “radicati e fondati nella carità … in grado di conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza, … ricolmi di tutta la pienezza di Dio” (cf. Ef 3, 17-19). Scrive Cirillo d’Alessandria: “Il Signore dice di se stesso di essere la vite, volendo mostrare la necessità che noi siamo radicati nel suo amore, e il vantaggio che a noi proviene dall’essere uniti a lui. Coloro che gli sono uniti, ed in certo qual modo incorporati e innestati, li paragona ai tralci. Questi sono resi partecipi della sua stessa natura, mediante la comunicazione dello Spirito Santo. Infatti lo Spirito Santo di Cristo ci unisce a lui” (Commento sul vangelo di Giovanni). Nella relazione del discepolo con il suo Signore germoglia, fiorisce, e si sviluppa un legame che nutre e promuove la crescita della vita cristiana, rendendola feconda e fruttuosa di una straordinaria e sorprendente condizione interiore: “Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (Gv 15, 11). L’innesto della vita umana nella vera vite che è Cristo avviene nel battesimo: inizialmente siamo tralci estranei, poi innestati con il sacramento dell’acqua e dello Spirito nel mistero pasquale di Gesù (cfr Rm 6,1-11). Da questa preziosa vite riceviamo la preziosa linfa della vita di Cristo. Secondo la teologia giovannea “rimanere” in Cristo significa rimanere uniti saldamente al suo amore, perché i tralci producano responsabilmente frutti d’amore. Nessun legame potrà mai essere più reale e profondo di questo. Solo Lui può rendere possibile e offrire un’amicizia così strettissima. L’innesto è la condizione necessaria che dà inizio alla relazione con Cristo: il rapporto dovrà crescere per arrivare a portare i frutti di una vita cristiana pienamente matura.

Maturità cristiana

L’allegoria della vite e dei tralci lascia emergere una seconda prospettiva: la maturazione dell’uva e la sua spremitura. E’ il vino delle nostre tavole, che nel Cenacolo Gesù consegna agli apostoli come suo sangue: “Molto giustamente il suo sangue viene indicato anche sotto il segno del vino. Lo disse egli stesso nel vangelo: «Io sono la vera vite». Il vino offerto nella Messa come sacramento della passione di Cristo è suo sangue. Egli inoltre che ha fatto dell’acqua vino, dal vino fa il suo sangue. Quello che ricevi è il corpo di colui che è pane celeste e il sangue di colui che è la sacra vite”! (Gaudenzio da Brescia, Trattati, 2). Quando un grappolo d’uva raggiunge il massimo della sua maturazione richiede la necessaria spremitura che la trasformi in vino. Diventare “altro” nella macerazione del torchio è la vera gioia di ogni grappolo: “Chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà” (Mt 16,25). Pretendere di restare grappolo significa abbandonarsi al degrado del marciume acido.

Santa Restituta insegna che la piena e perfetta maturazione della vita cristiana si compie nel martirio. La gioia del cristiano è imparare a “perdere” la propria vita per trasformarla nel vino buono dell’amore donato. E’ questione di gioia, è questione di martirio! Il vino resta sullo sfondo come immagine, il sangue rivela il frutto reale della propria vita spremuta nel torchio del martirio, per dissetare la sete di salvezza dell’umanità. Il martirio è la spremitura della vita cristiana che si fa sangue: segno della fedeltà e dell’amore a Cristo, testimonianza di coerenza per il bene e il sostegno dei deboli. Il martirio non è la fine o il fallimento del rapporto, ma il livello più perfetto e completo della piena conformazione e partecipazione all’amore di Cristo nel segno estremo del sacrificio cruento.

Il martirio, certezza e profezia

La terza prospettiva offerta dal vangelo la rileggo anche alla luce dell’intervista di qualche settimana fa alla scrittrice Michela Murgia, gravemente malata di tumore al quarto stadio, perciò con poca speranza di vita, mi ha colpito una sua espressione riguardo al morire: “La morte sarà un passaggio dal non ancora al già” (Corriere della sera, 8 maggio 2023). Nell’opera Cristo e il tempo, il teologo luterano Oscar Cullmann aveva sostenuto che la caratteristica fondamentale della speranza cristiana consiste nell’annuncio del Regno di Dio presente e al contempo futuro. Presente perché Gesù annuncia il Regno di Dio che si fa storia nei segni umili della sua condizione umana e da miracoli straordinari che Lui compirà come segni del regno di Dio: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo” (Mc 1,15). Il non verificarsi imminente dell’avvento del Regno di Dio ha fatto comprendere alla Chiesa primitiva che il «già» dell’inizio del Regno deve ricollegarsi necessariamente al «non ancora» del suo completo compimento lungo il cammino storico verso la piena manifestazione e realizzazione della salvezza già data dalla Pasqua di Gesù. Per questo, la Chiesa vive e cammina nella storia custodendo sulle labbra le invocazioni maranatha e venga il tuo regno, in attesa del ritorno del Signore che porterà a compimento la realizzazione del suo Regno.

A me piace interpretare la bellezza del martirio di santa Restituta alla luce e in linea con l’espressione pensata da Michela Murgia: “La morte sarà un passaggio dal non ancora al già”. Il martirio è prova del non ancora e profezia del già. La forza e la ragione del martirio sta proprio nel considerare il cammino della storia umana come un vivere nel non ancora di ciò che è imperfetto, con la certa speranza nel già nel quale tutto si compirà pienamente. Il non ancora del cammino ricorda a ognuno che abitiamo il provvisorio, la precarietà, l’incertezza, l’incompiuto. Viviamo come sotto una tenda, da “stranieri e pellegrini” sulla terra (1Pt 2,11). Il martirio di santa Restituta è profezia del già pienamente realizzato e definitivamente compiuto da Dio nel cielo. Il già del pieno e definitivo compimento della storia umana è solo nel futuro di Dio. La nostra esistenza cristiana vive la condizione del non ancora con la ferma speranza nel già che è l’incontro con il Signore della vita. Nel non ancora dell’umano vale la pena “giocarsi” l’esistenza, con la certezza di raggiungere il già della pienezza della vita in Cristo risorto. Nel non ancora della vita terrena santa Restituta ha camminato sotto la luce del Regno di Dio annunciato e appena iniziato; con il suo morire nel martirio ha creduto e sperato nel già dell’eternità della luce divina e dell’amore trinitario.

 

                                                                                               + Gerardo Antonazzo

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