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A Montecassino le esequie di Dom Pietro Vittorelli

Si sono svolti ieri pomeriggio, martedì 17 ottobre, alle ore 16.00 i funerali di Dom Pietro Vittorelli, abate emerito di Montecassino

La Messa esequiale all’interno della Basilica Cattedrale è stata presieduta dall’Abate Luca e concelebrata da abati e monaci che hanno voluto essere vicini alla Comunità monastica di Montecassino e ai familiari di dom Pietro. Presenti anche diversi sacerdoti e molti fedeli.

Per espressa richiesta dell’Abate Luca Fallica, nel desiderio di garantire alle esequie quel carattere di sobrietà e di riservatezza che conviene al rito religioso, non c’è stata nessuna telecamera all’interno della Basilica in quello che è stato un momento di raccoglimento e preghiera corale. Una partecipazione silenziosa e composta all’ultimo saluto al 191°successore di san Benedetto. L’Abate emerito Pietro, infatti, era stato eletto 191° abate di Montecassino nel 2007 e aveva poi lasciato l’incarico per motivi di salute nel 2013. Nel 2009 aveva accolto Papa Benedetto XVI nella sua Visita Pastorale alla città di Cassino e alla comunità monastica in Abbazia. Riposerà nel cimitero monastico adiacente la Basilica Cattedrale.

A. L.

 

Riportiamo, di seguito, il testo dell’omelia pronunciata dall’Abate Luca:

«Dal profondo a te grido, Signore. Signore, ascolta la mia voce». Così abbiamo pregato nel salmo responsoriale, con le parole del Salmo 129. «Dal profondo», o meglio «dalle profondità», poiché i testi antichi – l’ebraico, il greco, il latino – hanno un plurale, come a ricordarci che sono tante le situazioni – e non solo la morte – nelle quali non possiamo fare altro che gridare al Signore, certi che la nostra voce potrà raggiungerlo. Pensiamo oggi anche al grido che sale da tante parti della terra e invoca pace, in questa giornata di preghiera e di digiuno per la Terra Santa, proposta dal Patriarca latino di Gerusalemme, mons. Pizzaballa.

Il Signore ascolta la voce del nostro grido. E nel salmo questo grido di angoscia si trasforma e diventa un grido di speranza. Abbiamo infatti pregato anche queste parole: «Io spero, Signore. Spera l’anima mia, attendo la sua parola». Nell’attesa, il grido si trasforma e diventa grido di speranza. Di questa attesa ci ha parlato anche la prima lettura, tratta dal Libro delle Lamentazioni, dove affiorano di nuovo, intrecciate insieme, l’attesa e la speranza. Torniamo ad ascoltare, e facciamo memoria di alcuni versetti di questo testo: «“Mia parte è il Signore – io esclamo, – per questo in lui spero”. Buono è il Signore con chi spera in lui, con colui che lo cerca. È bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore» (Lam 3,24-26). È dentro questa attesa, che matura la speranza autentica. Un’attesa vissuta in silenzio, perché a riempirla non devono esserci le nostre parole, neppure il nostro grido; a riempirla c’è e ci deve essere soprattutto la parola di Dio, la parola della sua promessa, la parola della sua misericordia e del suo perdono. La parola che è vita. La parola che è Gesù stesso, Signore di ogni vita. Infatti, sempre nel salmo, tra la prima strofa, nella quale risuona il grido dell’angoscia, e la terza strofa, nella quale nasce il grido della speranza, c’è la seconda strofa, nella quale il salmista vive in profondità l’esperienza di Dio, conosce davvero il suo volto più autentico e segreto, perché fa esperienza della sua misericordia e del suo perdono: «Se consideri le colpe, Signore, Signore, chi ti può resistere? Ma con te è il perdono: così avremo il tuo timore». Vale a dire: così ti conosceremo davvero, e sarà sincera, provata, la nostra fede in te. Due volte c’è in questo versetto il nome di Dio, che viene invocato: Signore, Signore. Due volte. Verrebbe da commentare questa ripetizione con le parole sapienti della tradizione ebraica che, a proposito di un altro testo in cui c’è la stessa ripetizione – “Signore, Signore” –, afferma che conosciamo Dio sempre così, due volte, in due tappe, perché lo conosciamo nell’esperienza della nostra giustizia, quando siamo giusti, ma lo conosciamo altrettanto, e anzi più profondamente, nell’esperienza delle nostre colpe e delle nostre ingiustizie. E questo vale per ogni persona, per d. Pietro, per me, per ognuno di noi.

Signore, Signore. Questo è il vero grido che deve esserci sempre nel nostro cuore e sulle nostre labbra. Il grido che ogni monaco custodisce nel segreto della sua vita monastica e della sua ricerca di Dio. Non solo il grido dell’angoscia, non solo il grido della speranza, ma il grido che pronuncia e invoca il nome del Signore. Un grido che risuona due volte anche per questo motivo: conosciamo il Signore quando ci chiama alla vita, nella nostra nascita, ma anche all’inizio della nostra vocazione; torniamo a conoscere più profondamente il Signore quando, alla fine della vita, lo incontriamo nella morte, e allora davvero lo vediamo faccia a faccia, ed è saziato il nostro desiderio, esaudita la nostra attesa, pacificato il nostro grido. Allora davvero c’è in noi il timore di Dio, come dice il salmo, cioè la vera conoscenza di lui, perché facciamo esperienza del suo amore misericordioso, che ci rende pienamente partecipi della Pasqua di suo Figlio, che è per tutti risurrezione e vita.

All’inizio della sua professione monastica, come ogni monaco e monaca, nel giorno della professione, dom Pietro ha cantato il Suscipe, e ha pronunciato in latino queste parole del Salmo 118/119 che ora cito in italiano: «Accoglimi – o sostienimi – secondo la tua promessa e avrò vita, non deludere la mia speranza». Suscipe significa accoglimi, ma è preceduto dalla preposizione sub, che allude a un’accoglienza che viene fatta da sotto. La mano di Dio ci accoglie e nello stesso tempo ci sostiene, è come se ci afferrasse da sotto, o da sotto ci rimettesse in piedi, ci sostenesse, ci tornasse a dare vita. E dice il salmo: sostienimi secondo la tua promessa. È la tua promessa che mi accoglie, è la tua promessa che mi sostiene, è la tua promessa che mi fa stare in piedi. È la tua promessa che mi consente di sperare, che mi dona pace, gioia, vita. «È bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore». È bene aspettare e ascoltare in silenzio la sua promessa, che è sempre promessa di salvezza.

Quando noi proviamo a immaginare il giorno in cui saremo a nostra volta davanti al Signore, faccia a faccia, nell’ultimo e definitivo incontro, penso che tutti saremmo tentati di dire tante parole. Le parole dei nostri meriti, delle cose buone e belle che abbiamo realizzato; oppure le parole di pentimento e di richiesta di perdono per i nostri peccati. Ma il Signore ci chiederà anzitutto di attendere in silenzio per ascoltare la parola della sua promessa e della sua salvezza. Quella parola che abbiamo ascoltato nel Vangelo di Giovanni, ma che è eco, sintesi, culmine di tutte le parole del Vangelo: «Questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6,39-40).

Accoglimi, sostienimi, Signore. Il Signore ci accoglie nelle sue mani, da sotto, e ci sostiene, in quelle sue mani che non perdono nulla, e ci tornano a dare vita, e vita eterna. Al termine di questa celebrazione torneremo a cantare il Suscipe per d. Pietro, per consegnare la sua vita e la sua speranza nelle mani misericordiose di Dio, che non perdono nulla e nessuno.

È bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore. Trovino silenzio le nostre parole, anche le parole dei nostri giudizi o delle nostre polemiche, e risuonino piuttosto le parole della promessa di Dio, e insieme ad esse le parole della nostra preghiera, che affida e consegna dom Pietro all’incontro con il Signore, Padre e custode di ogni vita.

E siano, le parole di Dio e le nostre parole umane, anche parole di consolazione e di conforto per il fratello Massimo e per tutti i suoi cari.

+Luca Fallica