Il testo scava in profondità, offrendo al lettore un percorso per comprendere in una luce nuova il valore della festa
Non è semplicemente un messaggio augurale. Quello del vescovo Gerardo, una consuetudine annuale nei giorni imminenti il Natale, va oltre, scava in profondità. Dai segni ai significati, le parole del Pastore diocesano delineano ed aprono al lettore e al credente un percorso per comprendere in una luce nuova, o per lo meno, decisamente diversa da quella diffusa, il valore della festa in cui i cattolici fanno memoria della nascita di Dio in terra. Una ricomprensione che Antonazzo auspica guardando alle «condizioni di umiltà nelle quali l’Onnipotente veniva tra noi».
L’occasione della ricorrenza otto volte centenaria dell’allestimento da parte di san Francesco del primo presepe a Greccio – celebrata con iniziative, non di rado, esposte a «logiche mondane di commercio e di pubblicità consumistica» – fornisce al Vescovo una provocazione, come la definisce egli stesso, da rivolgere a chi legge. «Immaginiamo il Presepe senza la statuetta del Bambino Gesù» – scrive Antonazzo – «La culla lasciamola vuota. Me lo ispira la ricorrenza degli 800 anni da quando il primo Presepe fu allestito da san Francesco a Greccio. Il Poverello d’Assisi quella notte, dopo aver fatto allestire l’ambiente povero per accogliere la venuta del Dio povero, non depose nella greppia la statuetta del Bambinello […]. Il Bambino lo cercò altrove. Infatti, desiderò ardentemente che accanto al Presepe fosse celebrata la Messa». E, raccontando gli eventi relativi al primo presepe della storia, ricorda gli effetti dall’omelia che, per l’occasione, san Francesco tenne sull’umiltà di Dio: «tutti compresero che il Figlio di Dio in quella notte si rese presente realmente nel sacramento del pane e del vino durante la celebrazione eucaristica. Presenza umile e silenziosa, discreta e rivoluzionaria. Tutti compresero che Gesù nacque veramente sull’altare, accanto al Presepe».
Di qui la conclusione ardita: “Se cerchi il Bambino, lo trovi a Messa”; una scritta – suggerisce Antonazzo – da apporre ai presepi. Dall’Eucaristia, «segno umile e povero, sacramento della venuta di Dio, nella semplicità del pane e del vino», Dio conduce l’uomo a farsi riconoscere «umiliato e disprezzato nelle situazioni umane più disperate, segnate da miseria, povertà, malattia, abbandono, solitudine, fame, guerra, atrocità di ogni genere, omicidi, femminicidi, oppressioni e degrado della dignità umana».
Andrea Pantone