Diocesi Sora Cassino Aquino Pontecorvo

BREVI CENNI STORICI [i]

Santuario diocesano, centro d’irradiazione mariana

Tra le calde e vive tonalità di una natura ancora selvaggia e pura, nel cuore del Parco Nazionale d’Abruzzo-Lazio-Molise, si trova il Santuario Diocesano della Madonna di Canneto. Una chiostra di monti e di faggete, dominate sullo sfondo dal gruppo montuoso della Camosciara, fa da splendida cornice all’antico e nuovo tempio a cui si accede da Settefrati attraverso una strada panoramica che, salendo fino a quota 1147 del passo della Rocca, ridiscende sino all’ampio piazzale del Santuario, in un fantastico scenario di vertiginose vette e di selve, che si rinnova ad ogni svolta. Per la salubrità dell’aria, l’amenità del luogo e per la presenza di limpidissime polle d’acqua e di abbondantissime fragole, è diventata meta preferita di gite turistiche, sede di campeggi estivi e campo base di escursioni alle vette vicine. “Canneto è e rimarrà nel tempo centro d’irradiazione mariana” (Carlo Minchiatti, vescovo diocesano). L’Alta Valle del Melfa viene raggiunta per tutto l’anno da comitive di devoti che vi si recano per venerare l’antico simulacro della Madonna e per rinnovare, in un fervore inalterato nel tempo, antiche e suggestive tradizioni di fede. Vengono dall’Abruzzo e dal Molise, dal Lazio e dalla Campania, cantando inni al suono di zampogne e fisarmoniche, sgranati in lunghe teorie salmodianti e con gli zaini alle spalle, in attesa del commovente incontro con la Madonna; trascorrono la notte sotto il portico, ai margini delle faggete, lungo il greto del fiume oppure intorno ai falò che si accendono ovunque creando uno spettacolo affascinante ed al tempo stesso fiabesco

La Valle di Canneto può dirsi sacra fin dal IV secolo a.C.

Una tradizione secolare e costante ha indicato la Valle di Canneto come sede di culto pagano. Solo nell’estate del 1958, in occasione dei lavori d’imbrigliamento delle acque del fiume Melfa, in località Capodacqua, a circa 12 metri di profondità, fu ritrovato, coperto da detriti alluvionali, un tempio dedicato ad una divinità: la dea Mefiti, dea delle acque e delle fresche sorgenti, legata al culto della rinascita e della fertilità. Il luogo stesso dove viene ubicata quest’area sacra, situato ai margini settentrionali del territorio sannitico, quasi ai confini del territorio dei Volsci e dei Peligni, sottolinea ancora una volta il ruolo di mediatrice di “colei che sta nel mezzo”.

Purtroppo, però, molti dei reperti venuti alla luce durante i lavori d’imbrigliamento furono trafugati; tutti gli altri, frammenti embrici e di vasellame vario, statuette fittili femminili e monetine bronzee del IV° – III° e I° secolo a.C. sono gelosamente custoditi dalla Direzione del Santuario. Del tempio, tutt’oggi sepolto alle sorgenti del Melfa, è pervenuta solo una ricostruzione grafica, ma il reperto più importante è costituito da un cippo votivo, una semicolonna su cui forse prendeva posto una statuina di bronzo, ed oggi visibile nella sala conferenze del Santuario. Il cippo presenta in latino la seguente iscrizione: “Numerio Satrio Stabilio, liberto di Numerio, e Publio Pomponio Salvio, liberto di Pomponio, fecero dono alla dea Mefiti”. La statuina sorretta dal cippo votivo era il dono offerto alla dea dai due schiavi per la grazia ricevuta. Furono i monaci benedettini di San Vincenzo al Volturno ad evangelizzare il culto pagano in un culto mariano a tal punto che i primi documenti che fanno esplicita menzione di una chiesa dedicata a Maria SS.ma di Canneto risalgono agli anni 715, 775 e 1104 e si rinvengono nel Chronicon del Monastero di S. Vincenzo al Volturno, la grande città monastica che fiorì agli inizi del sec. VIII alle sorgenti del Volturno nella pianura di Rocchetta (IS).

 

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[i]   D. ANTONELLI, Il Santuario di Canneto- Settefrati (FR). Dalle origini all’attuale ricostruzione generale (1978-1987), Sora 2011, pag. 1-38.

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Fu sotto l’episcopato sorano di Pietro Gerra che nella valle di Canneto, in territorio di Settefrati, è rintracciabile per la prima volta, con certezza storica, la chiesa di Santa Maria, uno dei templi più noti per la fede, per storia e per antichità del Lazio meridionale. Il 13 dicembre 1288 infatti mons. Pietro Gerra, già vescovo di Sora, trasferito dapprima alla sede episcopale di Rieti ed in quell’epoca arcivescovo di Monreale in Sicilia, in accoglimento di una sua supplica rivolta alla S. Sede negli anni del suo episcopato sorano, riguardante un collegio di chierici, dimoranti presso la chiesa alpestre di S. Maria di Canneto in diocesi di Sora, ricevette da papa Niccolò IV   un rescritto indirizzato ai religiosi di detta chiesa del seguente tenore. Traducendo “ad litteram” dal testo latino:

“All’Abate e al Convento del monastero di S. Maria di Canneto, dell’ordine di S. Benedetto nella diocesi di Sora. La vostra richiesta presentata a noi diceva che siccome una volta  non eravate tenuti ad alcuna osservanza regolare, il nostro venerabile fratello Pietro, Arcivescovo di Monreale, allora vescovo di Sora, con la sua ordinaria autorità, vi concesse la regola e l’ordine di S. Benedetto da osservare per sempre in detto Monastero e nondimeno con la medesima autorità, avutone il consenso del Capitolo della Chiesa Sorana, stabilì che si doveva giustamente assegnare a voi  e al vostro monastero la porzione delle decime, spettante a Lui e ai suoi successori sui beni che detto Monastero possedeva allora e che avrebbe acquistati nei modi prescritti in futuro, secondo quanto più esattamente si dice contenuto nello strumento pubblico redatto in merito, che è munito dei sigilli dei predetti Vescovo e Capitolo…Noi pertanto sensibili alle Vostre preghiere, ritenendo valido ed irrevocabile quello che piamente e provvidamente hanno stabilito sulla questione i medesimi Vescovo e Capitolo, lo conferiamo con l’Autorità Apostolica … a nessuno dunque sia consentito violare quanto scritto. Dato in Roma presso S. Maria Maggiore il 13 dicembre. Anno primo”

 

Il prezioso documento conservato presso l’Archivio Segreto Vaticano rimane ancora la prima ed autentica testimonianza dell’esistenza della chiesa di S, Maria di Canneto in territorio di Settefrati ed il 13 dicembre 1288 è risultato il “terminus a quo” insuperato della sua storia. Con i Benedettini a Canneto la Chiesa di Santa Maria divenne un centro primario di spiritualità e d’irradiazione mariana che vide intensificarsi il pellegrinaggio dei fedeli. Ma a Canneto c’era fin da quell’epoca un elemento coagulante straordinario, che concorreva in modo determinante a tener saldamente unita quella Comunità e che nel contempo era la ragione principale, se non l’unica, dell’esistenza di un insediamento monastico in quelle remote altitudini: la presenza della Madonna, raffigurata nel suo simulacro tratto di recente dal ceppo arboreo di quelle foreste e diventato subito centro di culto e polo di attrazione del popolo cristiano

Nasce in questo periodo anche il Beneficio dell’Abbazia di S. Maria di Canneto e la vera entità di questo patrimonio fondiario emerge dalle decime papali triennali del 1308-1310, dove tra le tante chiese della diocesi di Sora figura anche “il monastero di S. Maria di Canneto situato nel castello di Settefrati”, che in quegli anni versò alla Camera Apostolica la somma di un’oncia e sei tareni. Una contribuzione molto alta e nettamente superiore a quella delle altre chiese che lascia pensare all’enorme devozione del popolo nei riguardi della Vergine Santa. Nel 1388 e più esattamente il 9 ottobre, quando è datato il decreto con il quale il vescovo di Sora mons. Corsario autorizzava i religiosi di Canneto a vendere un orto di proprietà del Santuario, tutta la comunità monastica non abitava più sui monti, dove era situato il suo cenobio originario, ma nei pressi del castello o borgo murato di Settefrati in una contrada chiamata “Casa Canale”. Il monastero, definitivamente abbandonato, non sarà più ricostruito.

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[1]   D. ANTONELLI, Il Santuario di Canneto- Settefrati (FR). Dalle origini all’attuale ricostruzione generale (1978-1987), Sora 2011, pag. 81-106.

Il Santuario della Madonna di Canneto

BREVI CENNI STORICI

Terza parte

Dopo il 28 settembre 1392, giorno dell’asta pubblica per la vendita dell’orto posto a “Pede della Castellana”, non sappiamo per quanti anni ancora i benedettini cassinesi nella residenza di Settefrati, rimasero ad officiare e a servire la Chiesa di S. Maria di Canneto, perchè da quella data e per gran parte del sec. XV sul nostro santuario mariano si stende il buio più fitto e il silenzio più completo. Ma dopo alcuni decenni di totale silenzio, la Chiesa di S. Maria di Canneto torna a far sentire la sua voce. La prima notizia riappare nel 1471 e riguarda la pensione annua, che essa versava alla camera dell’Abbazia di Montecassino, che assommava a quattro ducati. Poi quattro anni dopo, il 25 novembre 1475, con la lettera “collettiva” di due cardinali di S. Romana Chiesa, che concedevano al santuario un’indulgenza di 100 giorni da lucrarsi in alcune ricorrenze liturgiche, sulla Chiesa di Canneto e sulla sua valle risplendeva di nuovo il pieno meriggio. La richiesta di tale grazia alla S. Sede era stata fatta da Francesco de Vulpinis, preposito commendatario della Chiesa. I due porporati erano Bartolomeo Roverella e Giuliano della Rovere che nel 1503 sarà elevato al soglio di Pietro col nome di Giulio II. Da notare che anche per questa Chiesa alpestre, per mancanza di religiosi, era toccata in sorte il regime commendatario. L’uso della “commenda”, cioè quello di affidare (dal lat. Commendare) chiese, monasteri e benefici a persone di provata onestà e anche di prestigio, ma estranee a tali istituzioni e a volte anche lontane da esse, era diventata una prassi consolidate nella Chiesa. Ma proprio perchè queste persone erano estranee o lontane dalla vita della Chiesa, l’istituto ben presto degenerò. Ma la commenda di Francesco de Vulpinis, pur se fu di breve durata, ebbe dei lati positivi. Egli, con il beneficio dell’indulgenza che si poteva acquistare nelle cinque ricorrenze (Assunzione, la sua Ottava; la Natività della Vergine; la Natività di S. Giovanni Battista e la Dedicazione della Chiesa) mobilitò intorno all’immagine della Vergine Bruna di Canneto tutto il popolo devote, per risollevare le sorti materiali e spirituali del santuario. E vi dovette riuscirvi, perchè negli anni immediatamente susseguenti non si parlò più del restauro della Chiesa. Il suo incarico a Canneto ebbe breve durata perchè nel giro di due anni, l’abate commendatario di Montecassino, Giovanni D’Aragona, nominava due susseguenti abati o preposti del santuario: d. Giacomo di Veroli e il chierico Inico de Mamayona. Negli anni 1530-1533 appare il nome di D. Federico De Mamlion di origine spagnola, il quale avendo posseduto per molti anni quel beneficio, riparò la Chiesa, l’abitazione e realizzò molte stanze affinchè il popolo non perdesse la devozione verso la Vergine santa e verso il suo santuario. Le stanzette situate tutte al piano superiore della Chiesa ed annesse alla medesima, dovevano essere all’incirca undici e, fatto davvero sorprendente, esse sono sopravvissute per oltre quattro secoli fino ai nostri giorni, vale a dire fino al settembre 1978, quando iniziarono i lavori di demolizione e di ristrutturazione generale del santuario.

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D. ANTONELLI, Il Santuario di Canneto- Settefrati (FR). Dalle origini all’attuale ricostruzione generale (1978-1987), Sora 2011, pag. 107-124.

Il Santuario della Madonna di Canneto
BREVI CENNI STORICI

Quarta parte

Anima e cuore di tutto il rinnovamento dell’opera, che in considerazione delle difficoltà del luogo e dei tempi può dirsi veramente grande, fu l’Abate–Preposito  dell’epoca d. Federico de Mamlion, il  quale grazie al suo lungo abbaziato di Canneto, durato oltre trent’anni, se non proprio quaranta, poté attuare a più riprese  e secondo le disponibilità finanziarie del santuario, il suo coraggioso progetto di dotare la chiesa delle Vergine bruna  di servizi essenziali e di prolungare il tempio con un nuovo corpo di fabbrica. Nel 1533 il pio ed anziano sacerdote rimetteva con atto notarile il suo mandato nelle mani dell’Abate di Montecassino a favore di d. Pompilio Naro. Il 30 Novembre 1568, la prepositura di S. Maria di Canneto veniva conferita a un sacerdote di Val Comino, del clero atinate: d. Pietro de Tutinellis, persona insigne per somma pietà il quale prima della presa di possesso doveva prestare giuramento, promettendo fedeltà ed obbedienza all’abbazia cassinese versando per la festa di S. Benedetto il 21 Marzo l’annua pensione di due ducati.  Ma pochi giorni dopo la sua nomina rimetteva liberamente nella mani dell’abate di Montecassino il suo mandato ed il 5 dicembre veniva designato direttamente dalla S. Sede d. Marco Antonio De Florentis di Perugia, membro della famiglia pontificia. Essendo d. Marco Antonio De Florentis persona vicina al pontefice e da lui assai stimata, per rimeritarlo di tanti servigi resi alla S. Sede, il papa gli assegnava senza obbligo di residenza non solo i benefici di Canneto, ma anche quelli di Arpino, dell’Abbazia di S. Fortunato della diocesi di Benevento e la recettizia di S. Antonio di Suio di Gaeta e Fondi, con una rendita annua complessiva di circa 300 ducati d’oro. Con tutte queste assegnazioni di chiese e di beni ad un solo titolare, senza l’obbligo di residenza, ci troviamo ancor una volta di fronte ad una commenda ecclesiastica e a una “cumulatio beneficiorum”; due mali che il Concilio di Trento aveva cercato di guarire. Con l’investitura di d. Marco Antonio De Florentis quindi anche la Chiesa di Canneto con tutti i suoi benefici andarono incontro a un periodo di decadenza materiale e spirituale. Ed allora fu saggia e provvidenziale la decisone dl Vescovo di Sora Mons. Tommaso Gigli, il quale in ottemperanza ai deliberata del Concilio di Trento, che concedeva ampia libertà per sostenere economicamente i nuovi istituti per la formazione dei giovani al sacerdozio, da esso voluti, con decreto dell’8 Giugno 1569 univa la Chiesa di S. Maria di Canneto di Settefrati con tutti i suoi benefici ad un’opera più nobile e benemerita: il seminario diocesano di Sora. Con questo atto del Vescovo di Sora si sanciva non solo il passaggio ed il ritorno dell’antico tempio mariano da un’istituzione monastica alle dirette dipendenze dei vescovi di Sora, ma anche la sua cura materiale e spirituale da parte del clero diocesano e locale. Il rettore del seminario divenne da questa data anche il rettore del santuario. I due incarichi rimasero uniti fino al 24 giugno 1972, quando mons. Minchiatti per dare nuovo impulso e vigore all’opera del santuario, decise di separarli.

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D. ANTONELLI, Il Santuario di Canneto- Settefrati (FR). Dalle origini all’attuale ricostruzione generale (1978-1987), Sora 2011, pag. 124-155.

Il Santuario della Madonna di Canneto

BREVI CENNI STORICI

Quinta parte

 

La decisone di Mons. Tommaso Gigli di ricollocare il Santuario di Canneto alle dipendenze della Diocesi di Sora, vide ben presto i suoi effetti benefici. Attraverso le varie Visite Pastorali che nel tempo sono state svolte, ultima della quale quella dell’attuale Vescovo Mons. Gerardo Antonazzo, possiamo riscostruire con esattezza la vita dell’atavico tempio fino ai giorni nostri. Il 1 Luglio 1639, è la data che da inizio a questa “vita diocesana”. Il vescovo di Sora Mons. Felice Tamburelli pervenne in questo giorno a Settefrati in sacra Visita Pastorale. Ma per la chiesa di S. Maria di Canneto, situata in alta montagna ed accessibile solo a piedi o a dorso di mulo, diede mandato speciale all’arciprete di Settefrati D. Michele Cardelli, di riferirgli in merito con una dettagliata relazione scritta. Il bravo sacerdote vi si recò non appena possibile e fece tutto quanto era prescritto dalle norme della sacra visita. La suddetta relazione venne trascritta “ad verbum” nel decreto di sacra visita, dove è rimasta fino ad oggi. Tra le diverse notizie che vi apprendiamo vi è la data della festa in onore della Madonna e cioè il 22 Agosto, Ottava dell’Assunzione, ed un pellegrinaggio che avveniva ogni anno il giorno dell’Annunciazione, il 25 marzo, quando l’arciprete di Settefrati celebrava una santa messa nella Cappella dell’Annunziata. Quest’ultima era collocata nei pressi del santuario e precisamente dove oggi sono collocate le fontanelle per attingere l’acqua. Questa piccola chiesa di modeste dimensioni serviva per la distribuzione dei “panicelli” ai pellegrini che, giungendo a piedi dai paesi vicini, ottenevano un primo ristoro.
Nel 1660 i sindaci di Picinisco versavano alla Collegiata di S. Lorenzo la somma di 20 carlini sia per una processione penitenziale e per far celebrare una S. Messa in onore di S. Anna. Le processioni penitenziali che si facevano con una certa frequenza, si svolgevano per invocare la pioggia o in occasione di pubbliche necessità, come carestie, epidemie e terremoti. Questa messa in onore di S. Anna da celebrarsi nella chiesa di Canneto, indica che fin da quell’epoca nella dimora alpestre di Maria esisteva anche una devozione alla sua mirabile Madre.
Nel 1693 Cristoforo Bartolomucci cittadino di Picinisco per grazia ricevuta faceva costruire una nicchia artistica di pietra colorata ed intarsiata alla Vergine di Canneto, posta al centro della parete di fondo della chiesa con in alto il nome ed il cognome del donatore e l’anno. Quest’opera andò dispersa nel 1951, quando la chiesa di Canneto fu dotata di abside, secondo il progetto dell’ing. Umberto Terenzio di Settefrati.
Nel 1707 e precisamente il 22 agosto, durante la Sacra Visita pastorale del vescovo di Sora, Mons. Gagliano, il convisitatore nella sua relazione, fa esplicita menzione all’antica statua “ Antiquum simulacrum” della Madonna. E’ questo il primo accenno che si rinviene alla preziosa scultura lignea di Canneto, nonostante che il simulacro fosse già antico. La scultura di Canneto, di colore bruno, in legno di tiglio per la Vergine ed in legno di noce per il Bambino, è databile tra il XIII-XIV sec
Ma anima e cuore di tutto il rinnovamento dell’opera, che in considerazione delle diffcoltà del luogo e dei tempi può dirsi veramente grande, fu l’abate –preposito dell’epoca d. Federico de Mamlion, il quale grazie al suo lungo abbaziato di Canneto, durato oltre trent’anni, se non proprio quaranta, poté attuare a più riprese e secondo le disponibilità finanziarie del santuario, il suo coraggioso progetto di dotare la chiesa delle Vergine bruna di servizi essenziali e di prolungare il tempio con un nuovo corpo di fabbrica. Nel 1533 il pio ed anziano sacerdote rimetteva con atto notarile il suo mandato nelle mani dell’Abate di Montecassino a favore di d. Pompilio Naro. Il 30 Novembre 1568, la prepositura di S. Maria di Canneto veniva conferita a un sacerdote di Val Comino, del clero atinate: d. Pietro de Tutinellis, persona insigne per somma pietà il quale prima della presa di possesso doveva prestare giuramento, promettendo fedeltà ed obbedienza all’abbazia cassinese versando per la festa di S. Benedetto il 21 Marzo l’annua pensione di due ducati. Ma pochi giorni dopo la sua nomina rimetteva liberamente nella mani dell’abate di Montecassino il suo mandato ed il 5 dicembre veniva designato direttamente dalla S. Sede d. Marco Antonio De Florentis di Perugia, membro della famiglia pontificia. Essendo d. Marco Antonio De Florentis persona vicina al pontefice e da lui assai stimata, per rimeritarlo di tanti servigi resi alla S. Sede, il papa gli assegnava senza obbligo di residenza non solo i benefici di Canneto, ma anche quelli di Arpino, dell’Abbazia di S. Fortunato della diocesi di Benevento e la recettizia di S. Antonio di Suio di Gaeta e Fondi, con una rendita annua complessiva di circa 300 ducati d’oro. Con tutte queste assegnazioni di chiese e di beni ad un solo titolare, senza l’obbligo di residenza, ci troviamo ancor una volta di fronte ad una commenda ecclesiastica e a una “cumulatio beneficiorum”; due mali che il Concilio di Trento aveva cercato di guarire. Con l’investitura di d. Marco Antonio De Florentis quindi anche la Chiesa di Canneto con tutti i suoi benefici andarono incontro a un periodo di decadenza materiale e spirituale. Ed allora fu saggia e provvidenziale la decisone dl Vescovo di Sora Mons. Tommaso Gigli, il quale in ottemperanza ai deliberata del Concilio di Trento, che concedeva ampia libertà per sostenere economicamente i nuovi istituti per la formazione dei giovani al sacerdozio, da esso voluti, con decreto dell’8 Giugno 1569 univa la Chiesa di S. Maria di Canneto di Settefrati con tutti i suoi benefici ad un’opera più nobile e benemerita: il seminario diocesano di Sora. Con questo atto del Vescovo di Sora si sanciva non solo il passaggio ed il ritorno dell’antico tempio mariano da un’istituzione monastica alle dirette dipendenze dei vescovi di Sora, ma anche la sua cura materiale e spirituale da parte del clero diocesano e locale. Il rettore del seminario divenne da questa data anche il rettore del santuario. I due incarichi rimasero uniti fino al 24 giugno 1972, quando mons. Minchiatti per dare nuovo impulso e vigore all’opera del santuario, decise di separarli.

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[1] D. ANTONELLI, Il Santuario di Canneto- Settefrati (FR). Dalle origini all’attuale ricostruzione generale (1978-1987), Sora 2011, pag. 124-155.

IL Video a cura di Simone Buzzeo