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Omelia per Ammissione agli ordini di Piergiorgio Aversano

Stemma di Mons. Gerardo Antonazzo

IL SIGNORE È UNO

Omelia per Ammissione agli ordini di Piergiorgio Aversano

Basilica-Santuario di Canneto, 20 agosto 2021

 

 

Caro Piergiorgio, cari presbiteri, diaconi e seminaristi, amici tutti,

nell’impianto della liturgia odierna la Parola di Dio delinea alcuni importanti tratti della morfologia spirituale della sequela di Cristo, e in particolare delle dinamiche vocazionali. Il piccolo libro biblico di Rut sprigiona meraviglia e commozione. Il brano della Prima lettura, alle delicate tonalità letterarie fa corrispondere evidenti tracciati di “appartenenza” carichi di straordinario affetto: “Non insistere con me che ti abbandoni e torni indietro senza di te, perché dove andrai tu, andrò anch’io, e dove ti fermerai, mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio. Dove morirai tu, morirò anch’io e lì sarò sepolta. Il Signore mi faccia questo male e altro ancora, se altra cosa, che non sia la morte, mi separerà da te” (Rut 1,16-17). Rut vuol seguire Noemi, sua suocera, e non ascolta il consiglio di andare ormai per la propria strada dopo la morte del marito. Rut trasgredisce alle parole della suocera, e ottiene di restare con Noemi.

Ogni vocazione è trasgressione

Nella scena biblica di Noemi e Rut ritroviamo il paradigma essenziale della vocazione e della sequela cristiana. Infatti, nella decisione autentica fatta “con tutto il cuore” con cui Rut chiede di seguire Noemi c’è un processo di buona trasgressione. Rut trasgredisce all’invito di Noemi che la vuole allontanare da sé, e lasciarla libera di cambiare condizione di vita. Ma Rut non vuole allontanarsi mai più da lei. La trasgressione di Rut attesta la gratuità del suo amore per sempre nei confronti di Noemi. Il segno dell’affetto sincero sta proprio nella forza di trasgredire ad ogni spinta contraria, desiderando piuttosto restare fermi nel proposito di non tornare indietro rispetto alla scelta fatta, fedeli all’alleanza di un’amicizia stipulata nel per sempre nei confronti di qualcun altro. In questo senso, ogni vocazione ha il sapore di una trasgressione. Dalle parole di Rut riceviamo la grammatica elementare della vocazione-per-sempre. Rut in Noemi sogna il futuro, il proprio destino, il suo posto al mondo, sente pronunciare il proprio nome. Solo nelle vocazioni c’è un per sempre. Ecco perché questa pagina di Rut la si legge nella liturgia nuziale, ma la si potrebbe leggere anche in quella delle vocazioni religiose, persino nelle vocazioni non religiose. “Rut è icona della più grande gratuità perché icona della più grande libertà. E in nome di questa libertà decide di seguire per sempre Rut. Nella scelta di amare fiorisce sempre una sequela. Si resta fedeli alla vocazione finché non si smette di camminare dietro a qualcuno. Le vocazioni sono sequele di persone. Perché le sequele non sono mai astratte – se c’è un luogo dove la realtà è più grande dell’idea è nelle vocazioni” (L. Bruni).

Il Signore è Uno

Gesù nel vangelo esplicita e consegna le condizioni inderogabili del sì per sempre. Lo richiede per chi da Lui è chiamato per un per sempre dell’amore vissuto con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente.  Gesù fa riferimento allo Shemà, la preghiera che ogni israelita recita più volte al giorno, in particolare al mattino e alla sera (Dt 6, 4-9). La preghiera restituisce all’orante la viva memoria dell’amore integro e totale dovuto a Dio, come unico Signore. Tutti sperimentiamo l’amore in ogni sua espressione (filìa, eros, agàpe) come un bisogno primario, primordiale, universale, insopprimibile, da sempre scritto nel patrimonio psico-affettivo della natura umana. Se già il Primo Testamento indica l’amore di Dio tra i “comandi” da osservare, e Gesù conferma esplicitamente tale prospettiva, non è perché l’amore è costrizione, obbligo esteriore, comando o imperativo. Benedetto XVI si chiedeva: “L’amore si può comandare?” (Deus caritas est, 16). Sì, ma in che senso? Il contenuto centrale custodito gelosamente nel grande comandamento non sta prima di tutto nell’amore, ma nella giusta ed esclusiva relazione con il solo Dio-Uno: “Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore” (Dt 6,4). Il grande comandamento rimanda al Decalogo di Mosè: “Io sono il Signore, tuo Dio … Non avrai altri dèi di fronte a me” (cfr Es 20, 2-3). Se Dio è Uno-Unico, allora tutto l’amore della creatura deve essere orientato esclusivamente a Lui. Stupendo! Il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore! L’amore deve orientarci al Dio-Uno; deve raggiungere il suo fine vero, e non lasciarsi ingannare da tutto ciò che non è Dio-Uno, rischiando –ahimè- di cadere rovinosamente nel peccato di idolatria. Il fatto che il peccato abbia disgregato la forza dell’amore, fa sì che l’uomo tenda purtroppo a riposarsi nei fini intermedi, e a non investire il suo amore su Dio-Uno quale Assoluto della propria esistenza. L’idolatria è il “grande peccato” (Sal 19,14) da cui il Signore vuole sempre preservare Israele, ogni creatura, proponendo l’osservanza del “grande comandamento”. Dalla relazione esclusiva con l’Unico Signore prende energia e vita un amore vissuto con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente! L’amore non idolatrico deve favorire la sempre più stretta comunanza tra la mia volontà e la volontà di Dio: “Idem velle atque idem nolle” (Sallustio). Volere la stessa cosa e rifiutare la stessa cosa, è quanto gli antichi hanno riconosciuto come autentico contenuto dell’amore: il diventare l’uno simile all’altro, che conduce alla comunanza del volere e del pensare. “L’amore non è soltanto un sentimento. I sentimenti vanno e vengono. Il sentimento può essere una meravigliosa scintilla iniziale, ma non è la totalità dell’amore [ ].  Si rivela così possibile l’amore del prossimo nel senso enunciato dalla Bibbia, da Gesù. Esso consiste appunto nel fatto che io amo, in Dio e con Dio, anche la persona che non gradisco o neanche conosco” (Deus caritas est, 17-18). Se l’amore resta solo sentimento può prendere una brutta piega, può persino tradire sé stesso snaturando l’amore in sudditanza agli idoli “opera delle mani dell’uomo” (Sal 115.4).

Amerai!

Carissimo Piergiorgio,

alla domanda posta dal dottore della Legge Gesù risponde con il verbo amare al futuro: Amerai! Questo ti rammenta che ad amare si impara, perché si tratta di un cammino, di una progressione continua, permanente. Il Rito che tra poco confermerà il tuo discernimento vocazionale ti ammetterà tra i “candidati” all’ordine sacro: ti ammette tra coloro che sono chiamati ad accrescere un amore “candido”, ad entrare con tutta la propria esistenza in alleanza candida con il Signore secondo il grande comandamento dell’amore unico per il Dio Unico, il Dio geloso. La totalità del tuo amore dovrà diventare profezia dell’Unicità del Dio vivente, l’Assoluto. S. Bernardo, di cui oggi ricorre la memoria liturgica, espone i quattro gra­di dell’amore: l’amore carnale (l’amore di sé per sé), l’amo­re servile (l’amore di Dio per sé), l’amore filiale (l’amore di Dio per Dio), l’amore mistico (l’amore di sé per Dio). Bernardo, in linea con la vetusta tradizione della teolo­gia patristica, vede nell’uomo l’immagine e la somiglianza di Dio. Aderendo totalmente all’amore di Dio l’uomo può non soltanto purificarsi dal peccato, ma raggiungere l’unione mistica con Dio. La continua meditazione sul Verbo incarnato, l’amore verso l’umanità di Cristo e il Crocifisso, la dol­cissima devozione verso Maria Santissima sono momenti basilari nella vita di Bernardo e nel suo insegnamento. Un amore totale è un ideale verso il quale bisogna tendere. Sempre! Ignorare la forza della nostra natura e pretendere di vivere già dall’inizio una vita angelica, proccura delle amare sorprese. Nel rispondere al comandamento ogni chiamato acquista una capacità sempre più grande di amare, e senza mai smettere di essere creatura supera il modo di agire proprio dell’uomo. S. Tommaso insegna che lo Spirito Santo, attraverso i suoi doni, porta l’anima ad agire abitualmente “ultra humanum modum” (Commento alle Sentenze di Pietro Lombardo, Libro 3. Dist. 34, q.1, a.1). Il candore del cuore, dell’anima e della mente di Maria, la Vergine Bruna di Canneto, renda sempre più limpido il tuo cuore, capace di volgersi verso Dio, l’Assoluto, al quale offrire il Sì verginale di una donazione autentica al servizio del suo Regno.

+ Gerardo Antonazzo