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Omelie Vescovo Gerardo Antonazzo

“Alla morte è tolta la vita” – Omelia per la solennità di Pasqua (Cattedrale e Concattedrali, 8 e 9 aprile 2023)

ALLA MORTE E’ TOLTA LA VITA

Omelia per la solennità di Pasqua
9 aprile 2023

 

 

Cari amici,

davanti all’evidenza dei fatti, alla morte non resta che togliersi la vita nel sepolcro, e lasciare spazio al trionfo definitivo del primo giorno della nuova creazione. Cristo è veramente risorto e la sua tomba resterà per sempre vuota. La morte non è più di casa, perché finalmente Qualcuno gli ha tolto la vita!

La pietra

Le donne intenzionate a visitare il sepolcro di Gesù sono agitate da una difficoltò che non sanno come risolvere: “Chi ci farà rotolare via la pietra dall’ingresso del sepolcro?” (Mc 16,3). Nel racconto di Giovanni Maria di Magdala scopre che inspiegabilmente la pietra era stata spostata e all’interno del sepolcro il corpo di Gesù non c’era più (Gv 20,1-2). Per descrivere entrambi i fatti, la pietra e il corpo, viene usato il verbo aireo, che significa ‘levare’, creando un immediato parallelismo tra un elemento materiale e l’avvenimento fondante della fede cristiana. Se la pietra era stata ‘levata’ dalla porta del sepolcro è perchè Cristo è stato “levato” dal sepolcro. Se l’ingresso liberato dalla pietra desta sospetti e pone domande, la stanza più interna chiude definitivamente i conti con la morte: “Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette” (Gv 20, 6-9). Scrive p. Hernández: «Ecco l’essenza dell’arte sacra cristiana: pietre che fanno intuire ciò che è successo a Cristo e che spingono alla Sua ricerca”.

La ricerca

Lo chiede senza ambiguità l’angelo presente nel sepolcro vuoto: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?” (Lc 24,5). La domanda che l’angelo pone alle donne, confuse e mortificate, solleva una questione sempre aperta, la tentazione di vivere senza speranza. “Questo dice Gesù, anche a noi. Togliete la pietra: il dolore, gli errori, anche i fallimenti, non nascondeteli dentro di voi, in una stanza buia e solitaria, chiusa. Togliete la pietra: tirate fuori tutto quello che c’è dentro. “Ah, mi dà vergogna”. Gettatelo in me con fiducia, dice il Signore, io non mi scandalizzo; gettatelo in me senza timore, perché io sono con voi, vi voglio bene e desidero che torniate a vivere” (Francesco, 26 marzo 2023). Siamo quasi abituati a vivere con la morte nel cuore. Quanta gente oggi ha smarrito la gioia di vivere? Per quanti dei nostri conoscenti la parola “speranza” sembra una bestemmia, di certo un insulto. E’ vero che “il pungiglione della morte è il peccato” (1Cor 15,56): ogni forma di peccato corrompe e corrode la coscienza umana. Gli idoli del benessere individuale e del potere trascinano l’uomo nell’orgoglio, accrescendo la deriva del cainismo: i rapporti diventano ‘fratricidi’, fino a rubare la speranza nel cuore di tanta gente in cerca di vita e di futuro. Cercare tra i morti significa piegare la testa sotto il peso delle ingiustizie, rassegnarsi alle malefatte dei superbi, offrire la schiena a chi ci vuole schiavi, assoggettati, dipendenti, fragili e manipolabili. Cercare tra i morti significa sapere di aver imboccato un vicolo cieco e non avere né forza né voglia di ritornare indietro, per rimediare e ricominciare. “Essi vanno dicendo: «Le nostre ossa sono inaridite, la nostra speranza è svanita, noi siamo perduti». Perciò profetizza e annuncia loro: «Così dice il Signore Dio: Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nella terra d’Israele. Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi farò uscire dai vostri sepolcri, o popolo mio. Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete” (Ez 37, 11-14). Passare la vita a rispondere a domande, a dare un senso alle proprie ossessioni significa farsi dominare dai mostri interiori, e non riuscire più a stare alla larga da questo conflitto e questa lotta con i demoni. Anche il pantano dei vizi e degli istinti tenta di “normalizzare” e di normare una vita sbagliata, e perdere ogni barlume di nostalgia del paradiso perduto. Se muore Dio, con lui muore anche la speranza. Gesù ormai è dovunque, eccetto che fra le cose morte. Si è svegliato, si è alzato, è vivo: è dentro i sogni di bellezza, è dentro ogni speranza umana. Dio non è il Dio dei morti, ma dei vivi (Lc 20,38): coraggio, non lasciarti cadere le braccia, rimboccati le maniche, rimetti in piedi i tuoi progetti, riprendi in mano la tua vita e cammina.

La fretta

Tra le molte parole che accomunano i racconti pasquali nei quattro vangeli, colpisce in particolare il verbo correre, rimarcato dall’avverbio in fretta. Che fretta c’era? I personaggi principali, gli apostoli e alcune donne che avevano seguito Gesù, sono protagonisti di un’ansia irrefrenabile. Il solo sospetto che sia potuto accadere qualcosa di strano provoca non solo un moto dell’anima, ma anche un movimento agile dei piedi. C’è da verificare qualcosa, forse, di straordinario. Come restare a guardare al passato, impietriti da ciò che è accaduto sul Calvario? La testimonianza gridata da alcuni, tra singhiozzi e lacrime di gioia, smuove anche i più dubbiosi e scettici: corrono le donne a portare gli aromi, corre Maria di Magdala, corrono anche Pietro e il discepolo amato, che Gesù morente aveva affidato a Maria. E lui, senza dubbio, non avendo mai lasciata sola la Madre del Signore, avrà accompagnato anche lei a vedere cosa era mai accaduto nel giardino del sepolcro nuovo. “Ma cosa spinge queste donne (perché sono loro le prime) a sfidare la notte? Non è tutto finito? Non ha ragione chi pensa che ormai non c’è più nulla da fare, che tanto un cadavere non scappa, e quindi non c’è fretta se si tratta solo di elaborare un lutto e una perdita definitiva?” (A Torresin). Il primo atto di fede è prendere confidenza con le domande di senso: prendere atto, e magari rischiare anche una perdita. Lo scetticismo non dà risposte. E’ preferibile sbagliare strada che restare fermi. Il nudo sepolcro non dimostra la risurrezione, ma la mostra. “Il monumento della tomba vuota è la catechesi della prima comunità cristiana affinché la nuda Parola del kerygma possa diventare visibile e toccabile”. Dinanzi a quel ‘monumento” vuoto, è possibile svelare un incontro con Gesù risorto. Ecco perché vale la pena correre: trovarsi dinanzi a “pietre che fanno intuire ciò che è successo a Cristo e che spingono alla Sua ricerca” (J.P. Hernandez). La corsa al sepolcro non porta alla risposta pronta, ma permette di ripartire nella ricerca: “L’assenza diventa la promessa per eccellenza di una in-immaginabile presenza. E questa promessa è la relazione che permette di guardare ogni vuoto della terra come segno del Vivente.

La paura                                        

Sono queste le parole dell’angelo alle donne. Non abbiate paura della sua assenza: “Voi cercate Gesù, il crocefisso. Non è qui, è risorto e vi attende in Galilea”. Forse sarebbe stato meglio trovare il corpo e farsene una ragione, mettendo fine ad una triste storia. Invece no: si ricomincia; e per di più in una maniera incredibilmente diversa: “E’ risorto!” Cosa vorrà dire? E poi: “Vi attende in Galilea”. Quindi, si ricomincia. Già, ricominciare, che fatica! Era dunque necessario accompagnare l’impatto con l’esortazione: Non abbiate paura. La Pasqua di Cristo ci incoraggia a non avere paura, del vuoto, dell’assenza, dell’incognito, dell’incerto, della sconfitta, della scomparsa. Le nostre paure non devono mai soffocare le novità, le sorprese inattese, l’imprevedibile Dio. Gli eventi che avevano lasciato immaginare la morte di ogni problema, ora si rivela come il problema della morte, di un uomo morto che non c’è più nel sepolcro. Gesù non è più prigioniero della morte: solo così si può credere che la Croce non sia stata la fine di tutto, ma il dono totale di un amore da cui tutta la vita e la vita di tutti ora può finalmente ripartire per sempre.

 

+ Gerardo Antonazzo

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