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Omelie Vescovo Gerardo Antonazzo

“Amore ineffabile” – Omelia per la Messa “In Coena Domini”

AMORE INEFFABILE 

Omelia per la Messa “In Coena Domini”
Pontecorvo-Chiesa Concattedrale, 28 marzo 2024

Il rito antico della Pasqua ebraica doveva costituire un momento di profonda e festosa memoria, di felice canto della storia della liberazione dalla schiavitù dell’Egitto. Era l’evento dell’anno nel quale ci si radunava festosamente in famiglia o tra amici, come accadeva nella cerchia delle scuole rabbiniche. Così come decide di fare Gesù con i suoi discepoli.

Desiderio desideravi

Il Maestro dichiara apertamente il suo legittimo desiderio: “Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi” (Lc 22,15). “Le parole di Gesù con le quali si apre il racconto dell’ultima Cena sono lo spiraglio attraverso il quale ci viene data la sorprendente possibilità di intuire la profondità dell’amore delle Persone della Santissima Trinità verso di noi. A quella Cena nessuno si è guadagnato un posto, tutti sono stati invitati, o, meglio, attratti dal desiderio ardente che Gesù ha di mangiare quella Pasqua con loro” (Francesco, Desiderio desideravi, 2.4). Ma il progetto del Maestro è insidiato da una presenza che potrebbe avvelenare in modo mortifero l’entusiasmo e la bellezza dell’amicizia con i suoi. Il Cenacolo non si rivela come un luogo sicuro, perché è proprio qui che il Diavolo scatena la sua azione perversa: Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo. Il Tentatore è arrivato prima di tutti perché aveva già messo in cuore: non gli resta che attendere Gesù e i suoi al varco della dura prova. Il messaggio del redattore è chiaro, per quanto implicito: nel momento in cui ti innamori del Cenacolo, devi sempre tener dell’arte diabolica del Male che può infettare e avvelenare il cuore di chiunque, disponendolo contro il Signore.

Non è l’unica volta

Non è la prima volta del Diavolo, e nemmeno l’ultima, né l’unica volta. Era già accaduto all’inizio della creazione: “Il serpente era il più astuto di tutti gli animali selvatici che Dio aveva fatto e disse alla donna…” (Gen 3,1). E’ sempre così: ti aspetta al dunque della tua libertà, regista perverso dell’agire umano. E’ un guastafeste, e ti aspetta al varco dei tuoi pensieri e dei tuoi desideri per gettarli prima nella confusione, e poi nell’inganno. E’ lì che ti attende, ma tu non lo sai. Ti sorprende nella maniera apparentemente più innocua per inoculare il suo veleno mortifero. Gesù convoca i suoi che erano nel mondo: erano in pericolo, esposti al Male. Nel quarto vangelo “mondo” non si riferisce al cosmo fisico, ma a quella parte di umanità ostile all’accoglienza del Verbo: “(Il Verbo) era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto” (Gv 1,10-11). Nel luogo più familiare e intimo quale doveva essere il Cenacolo, emerge e prevale la parte peggiore del cuore umano, quello di Giuda, ma non solo. Gesù lo sapeva bene, e invita i suoi a stare con Lui, dalla sua parte, per imparare a smascherare il male accovacciato, sempre in agguato: “Con il diavolo, cari fratelli e sorelle, non si dialoga. Mai! Non si deve discutere mai. Gesù mai ha dialogato con il diavolo; lo ha cacciato via. State attenti: il diavolo è un seduttore. Mai dialogare con lui, perché lui è più furbo di tutti noi e ce la farà pagare. State attenti. Con il diavolo non si dialoga e con la tentazione non dobbiamo intrattenerci, non si dialoga. Viene la tentazione: chiudiamo la porta, custodiamo il cuore” (Francesco, 27 dicembre 2023). Nel Cenacolo Gesù mette a nudo le fragilità di ognuno: di Giuda e della sua decisione di tradire il Maestro, ma anche di Pietro e del suo rifiuto di farsi lavare i piedi, e di tutti gli altri ai quali dirà: Non tutti siete puri. Insomma, uno peggio dell’altro! Che fare? Non resta che prendere catino e grembiule: Capite quello che ho fatto per voi? Scena muta, tutti ammutoliti. Avevano ben compreso, ma nessuno si azzardava ad avanzare domande, ma solo per evitare compromettente con quel gesto così imbarazzante e provocatorio.

Amore che se-duce, amore che si-dona

E Gesù lo spiega così: Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi. Nel Cenacolo Gesù annuncia una bellezza che sale ancora dai piedi, perché possano avere parte con Lui. Chinato sui bassifondi degli egoismi e delle miserie umane, le sue mani si intrecciano nell’abbraccio di ogni piede, asciugandolo per prosciugare ogni sporcizia del cuore. Mani di diaconia che sciolgono quelle di Caino, levate, invece, contro il corpo del fratello. Il gesto di Gesù apre all’amore più grande: dare la vita per gli amici (Gv 15,13). Lavando i piedi, Gesù ci spoglia dell’uomo vecchio per rivestirci del nuovo e accogliere il comandamento nuovo: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13.34). Con il suo esempio Gesù insegna a passare dall’amore che se-duce all’amore che si-dona. L’amore egoistico è amore di sé: porta l’altro a sé (se-duce), in una presa di possesso capace persino di dominare sulla vita dell’altro. L’amore puro il discepolo impara a donare se stesso (si-dona), fino a donare la vita per l’altro. Sul Calvario Gesù passa dalle parole ai fatti: nel dono di sé sul Golgota, dona la vita per gli amici, ma anche per i suoi nemici, per i crocifissori di tutti i tempi. Scrive sant’Agostino: “A questo fine quindi ci ha amati, perché anche noi ci amiamo a vicenda. Ci amava e perciò ha voluto ci trovassimo legati di reciproco amore, perché fossimo il Corpo del supremo Capo e membra strette da un così dolce vincolo” (Trattati su Giovanni, 65,1-3).

Anche s. Tommaso d’Aquino medita e spiega il comandamento dell’amore. Scrive: “Questo comandamento in particolare viene chiamato nuovo perché viene condizionato dalla maniera di osservarlo, che è l’amore reciproco: che vi amiate gli uni gli altri. Infatti è proprio dell’amicizia non restare ignorata; altrimenti non sarebbe amicizia, ma una certa benevolenza. Quindi per un’amicizia vera e duratura si richiede che gli amici si amino reciprocamente. Cristo ci ha amati in questi tre modi: Gratuitamente: perché cominciò lui ad amarci, senza aspettare che cominciassimo noi. Efficacemente: spinti dal suo esempio ad amarci reciprocamente in modo efficace e fruttuoso. Rettamente: dobbiamo cercare in coloro che amiamo non tanto di ricevere benefici, o benevolenza, ma dobbiamo amare in essi quello che è di Dio. E in tale amore del prossimo è incluso anche l’amore di Dio (cfr. Commento al vangelo di San Giovanni, capitolo XIII, lezione VII).

Memoria del duplice “fare”

L’eucarestia è memoria del ‘duplice fare’: “Fate questo in memoria di me”, e “…come io ho fatto a voi”. Fare memoria non significa ripetere un rito, ma rendere attuale l’evento. Gesù celebra la sua volontà di donarsi “oggi” nel sacramento del pane e dell’amore: memoriale del suo sacrificio e comandamento del suo amore si intrecciano, consegnati con la carica imperativale del “fare”. Dal dono si passa all’impegno: si fa memoria del mistero della Cena perché, custodendo il cuore nell’amore gratuito ricevuto, ognuno si eserciti eroicamente nella difficile arte dell’amore reciproco. Facendo memoria della Cena, a nessuno deve essere impedito di accedere alla bellezza del Cenacolo: il “fate questo” è un dovere della Chiesa, fino alla fine del mondo. Perpetuare oggi la volontà di Gesù è rendere possibile ad ogni creatura di ripartire dal Cenacolo portando con sé il cibo che trasforma la sua esistenza corruttibile: “Il suo infinito desiderio di ristabilire quella comunione con noi, che era e che rimane il progetto originario, non si potrà saziare finché ogni uomo, di ogni tribù, lingua, popolo e nazione (Ap 5,9) non avrà mangiato il suo Corpo e bevuto il suo Sangue: per questo quella stessa Cena sarà resa presente, fino al suo ritorno, nella celebrazione dell’Eucaristia” (Francesco, Desiderio desideravi, 4).

                                                                                     + Gerardo Antonazzo