CONVERTIRE LA SPERANZA, GUARIRE LE DELUSIONI
Omelia per la liturgia delle Ceneri
Sora-Chiesa Cattedrale, 5 marzo 2025
Cari amici,
nel cuore dell’Anno giubilare e del Cammino sinodale, e all’inizio del Cammino quaresimale, celebriamo segni antichi e parole sempre nuove di speranza. L’incrocio dei tre Cammini ecclesiali, se presi come atteggiamenti interiori da assumere, non sono forse un riscatto anche da parole, sentimenti, e pensieri esausti? Se siamo sinceri, almeno oggi, noi presbiteri, diaconi, consacrati e fedeli laici, siamo i primi a sentirne il bisogno. La domanda è: come mi dispongo alla grazia di questo tempo così profondamente segnato dalla presenza di Dio nella mia vita personale e comunitaria?
Convertire le nostre speranze
La Quaresima è tempo di discernimento: qual è l’affidabilità delle nostre speranze? “Gli uomini sono tutti terra e cenere” (Sir 17, 32). Nella vita di Giobbe, uomo giusto, che sperimenta l’abbandono da parte di Dio, ritroviamo la proteste che si levano dalle ceneri delle nostre speranze fallite e tradite: “Satana si ritirò dalla presenza del Signore e colpì Giobbe con una piaga maligna, dalla pianta dei piedi alla cima del capo. Giobbe prese un coccio per grattarsi e stava seduto in mezzo alla cenere” (Gb 2,7-8). Le Ceneri: segno che evoca e rimanda alla frantumazione della fiducia, alla polverizzazione degli ideali, anche i più nobili, di fronte alla durezza granitica delle frustrazioni, sofferenza, dolore, malattia interminabile o malattie terminali. Nei racconti di tanta gente prevalgono più i “tempi forti” della prova e della tentazione, che i “tempi forti” della liturgia. Le molte tentazioni che uccidono la speranza gridano a Dio le nostre prove contra spem. Tutto sembra remarci contro, vittime di una congiura di eventi sfavorevoli: “Tra le tante domande, ce n’è una che rimane sospesa, come un grido incessante. Una domanda, che noi la ripetiamo tante volte: “Fino a quando, Signore? Fino a quando?”. Ogni dolore reclama una liberazione, ogni lacrima invoca una consolazione, ogni ferita attende una guarigione, ogni calunnia una sentenza di assoluzione. “Fino a quando, Signore, dovrò soffrire questo? Ascoltami, Signore!”: basta Signore! La preghiera dei salmi è la testimonianza di questo grido: un grido molteplice, perché nella vita il dolore assume mille forme, e prende il nome di malattia, odio, guerra, persecuzione, sfiducia… L’orante dei salmi chiede a Dio di intervenire laddove tutti gli sforzi umani sono vani” (Francesco, 14 ottobre 2020).
Con le ossa rotte, e ridotti in cenere
Il segno delle Ceneri ricorda la nostra origine: Sei polvere, e in polvere tornerai. Veniamo dalla polvere, restiamo fatti di terra: “La mano del Signore fu sopra di me e il Signore mi portò fuori in spirito e mi depose nella pianura che era piena di ossa; mi fece passare accanto a esse da ogni parte. Vidi che erano in grandissima quantità nella distesa della valle e tutte inaridite. Mi disse: “Figlio dell’uomo, potranno queste ossa rivivere?”. Io risposi: “Signore Dio, tu lo sai” (Ez 37,1-2). Questa visione biblica parla di un popolo, quello di Israele in esilio, come morto e abbandonato alla putrefazione della sua storia. Un popolo sconfitto, senza speranza, smarrito e rassegnato alla propria dissoluzione. Un popolo disgregato, come le ossa aride separate le une dalle altre. Quindi un popolo disarticolato, ormai sconnesso e disordinato, senza legami, senza alcuna connessione tra le sue articolazioni. E’ disfatta totale! Nel lamento dei deportati in esilio a Babilonia, le ossa inaridite sono la metafora della disperazione che corrode le radici dell’esistenza. C’è ancora cittadinanza per la speranza? Certo, con le ossa rotte, e ridotti in cenere, siamo messi proprio male! Rischiamo di vivere come erranti della disperazione invece che pellegrini di speranza. Ma la promessa di Dio rigenera la speranza: “Voi lo vedrete e gioirà il vostro cuore, le vostre ossa saranno rigogliose come erba fresca” (Is 66,4). Rincuorano anche le parole di un grande artista: “Io credo che noi non possiamo fare altro che sperare, in questo mondo che ci pone di fronte a delle problematiche così violente e totalizzanti. La speranza non è da stupidi, ma è intelligenza…Poter trasformare quasi in maniera alchemica, col tempo e con pazienza, il piombo in oro, il dolore, la violenza, la parte in ombra del mondo esteriore e interiore in qualcosa di bello. Questa è la nostra speranza” (Simone Cristicchi).
Sperare è da Dio
La speranza è virtù teologale: è dono di Dio a favore delle attese umane perché siano bene orientate a Lui, compimento e termine ultimo di ogni speranza. Ce lo ricorda anche il segno della croce con il quale il sacerdote accompagna l’imposizione delle Ceneri sul capo dei fedeli. Infatti, la speranza è certezza dell’amore di Cristo per noi: nel suo morire, Lui si fa sorgente zampillante del suo Spirito d’amore. Lo Spirito fa rivivere le ossa aride della visione di Ezechiele, e ridà vita alle ceneri aride. Lo Spirito è il Suo respiro vitale, quanto l’alito di Dio sull’uomo plasmato dalla polvere della terra: “Chinato il capo, rese lo Spirito” (Gv 19,30). E’ il “soffio” della nuova creazione dell’Uomo nuovo, è l’effusione del nuovo alito di vita perché l’uomo ritorni essere ‘vivente’. Lo Spirito che Gesù effonde nell’atto di morire getta nuova luce sull’aridità delle ossa e delle ceneri. In una quotidianità prosciugata da ogni alito di vita possiamo nuovamente cantare la speranza: “Ave Crux spes nostra!”: Ti salutiamo, Croce santa, nostra unica speranza. L’amore della Croce di Cristo sostiene la speranza in ogni segno di Croce. “Se qualcuno ti chiede: “Come nasce la speranza”? “Dalla croce. Custodisci la croce, custodisci la Croce di Cristo e da lì arriverai alla speranza che non passerà mai più, che durerà fino alla fine dell’eternità.” E questa speranza è propria della forza dell’amore” (Papa Francesco, 12 aprile 2017). E’ lo Spirito dell’amore, alitato dal cuore trafitto di Cristo: “La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5,5). Le ossa aride della visione di Ezechiele rivivono grazie al dono dello Spirito: “Così dice il Signore Dio: Spirito, vieni dai quattro venti e soffia su questi morti, perché rivivano”. Io profetizzai come mi aveva comandato e lo spirito entrò in essi e ritornarono in vita e si alzarono in piedi; erano un esercito grande, sterminato (Ez 37,9-10). “Nuovo” è lo Spirito che anima il cuore, “nuovo” diventa il cuore che riceve lo Spirito: “Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi” (Ez 36,26-27). Il cuore, intossicato dal veleno mortifero dell’egoismo che uccide l’amore, è rianimato dallo Spirito di Cristo: “Solo lo Spirito Santo può aprire dinanzi a noi questa pienezza dell’uomo interiore, che si trova nel Cuore di Cristo. Solo Lui può far sì che da questa pienezza attingano forza, gradatamente, anche i nostri cuori umani” (San Giovanni Paolo II, 8 giugno 1986).
Cari amici,
“il Signore si compiace di chi lo teme, di chi spera nella sua grazia” (Sal 147,11). Il mio augurio è che il percorso della Quaresima-Pasqua sia vissuto in modo esodale, come passaggio dalle molte ragioni contra spem all’audacia cristiana della spes contra spem.
+ Gerardo Antonazzo
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