L’intervista
Venerdì 8 novembre, il vescovo Gerardo ha officiato la santa messa di ringraziamento per i 100 anni di don Lino Ciccolini. La celebrazione si è svolta presso la Chiesa dell’Annunziata in Pescosolido, paese in cui il presbitero ha operato per quasi sei decenni. Attualmente, don Lino è il decano dei sacerdoti della Diocesi di Sora, Cassino, Aquino e Pontecorvo, forte dei settantaquattro anni di servizio al Signore. La messa di ringraziamento ha rappresentato un momento di commozione e condivisione. Don Lino, che ha testimoniato con umiltà e dedizione la sua fede, ha ricevuto l’affetto e il riconoscimento dei fedeli, che hanno partecipato numerosi per celebrare questo traguardo significativo.
Don Lino Ciccolini ha aperto la stanza dell’RSA dove è ospite ed ha condiviso i suoi cento anni di vita e il ministero sacerdotale vissuti fra due secoli. Ecco cosa ha raccontato.
Quali momenti ha vissuto con sofferenza e quali con piacere?
La mia vita è stata bella, perché accettata secondo la volontà di Dio. Ordinato il 25 marzo 1950, sono stato parroco di Pescosolido dal 1° luglio di quell’anno al 2008. Le più brutte esperienze me le ha consegnate la guerra. Nel febbraio del 1944 assistetti all’abbattimento a bassa quota di uno degli aerei che facevano la spola fra Frosinone e le nostre montagne. Lo sprigionarsi del fumo mi mise in fuga e mi fece scampare miracolosamente ai colpi della mitraglia. Un altro giorno difficile fu il 30 maggio 1944, quando il cielo di Pescosolido, che era in piena linea Gustav, si infittì di proiettili; poi un boato e la corsa al nascondiglio: una bomba esplodeva nelle vicinanze lasciandomi ancora una volta miracolosamente illeso. Grandi gioie invece sono stati gli incontri con tre santi, fra cui Padre Pio. Sapendo che non vedeva di buon occhio i preti lettori di giornali, lo omaggiai con sotto il braccio una copia de “Il Tempo”, preferita maliziosamente ad “Avvenire”. Ma la sua reazione affettuosa fu sorprendente. Conobbi san Paolo VI e san Giovanni Paolo II. Pio XI, quando avevo sette mesi, mi benedisse fra le braccia di mia madre, a Roma per l’Anno Santo del 1925, ed esclamò: “possa crescere santo”.
Con che spirito ha affrontato il suo ministero?
Ho vissuto tutto con semplicità, senza chiedere nulla di quello che non avessi. Questa apertura mi ha evitato molte amarezze. Il servizio nell’Ufficio tecnico della Diocesi è stato un’esperienza bellissima: il mio posto è stato per quarant’anni sui cantieri, a lavoro in prima persona.
Che direbbe ad un giovane indeciso per il sacerdozio?
Se nella sua famiglia si alimentasse la spiritualità, orienterei al discernimento, sconsigliando sempre il Seminario minore. Ad ogni modo, incoraggerei solo chi mostrasse sufficiente maturità umana.
Cosa non può mancare nella vita di un prete?
Viaggiare. Ho conosciuto tanto nei viaggi in macchina con gli amici di sempre, don Dionigi Antonelli, don Antonio Vano, don Pierino Caporuscio: insieme andammo a Fatima e in Olanda. Ho visitato anche Bucarest per un sopralluogo all’edificio per la comunità delle suore benedettine. In viaggio si cambia.
Andrea Pantone