Il profumo della tenerezza
Lunedì santo, 6 aprile 2020
L’intonazione biblica del profeta Isaia illumina la prospettiva cristologica della Settimana santa con la categoria del “servo”. Dio dice: Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio. Gesù è consapevole del suo destino preannunciato nei testi di Isaia dedicati al Servo sofferente: “Il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti. Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca. Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo” (Is 53, 6-8). Lo conferma la voce del Padre sulla persona di Gesù in due episodi: il Battesimo di Gesù (Lc 3,22: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”) e la Trasfigurazione (Mt 17,5: “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento”). Nel giovedì santo è il servo che lava i piedi ai discepoli; nel venerdì santo è presentato come il servo sofferente e vittorioso (cfr Is 52,13); Dio ci ha salvato servendoci. In genere pensiamo di essere noi a servire Dio. No, è Lui che ci ha serviti gratuitamente, perché ci ha amati per primo (cfr. Papa Francesco, 5 aprile 2020).
Gesù porterà a compimento la missione di Servo con l’evento della sua Pasqua. A questa infatti, e non a quella dei Giudei, fa riferimento il vangelo odierno: Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània. Gesù è consapevole del suo destino preannunciato nei testi di Isaia dedicati al Servo sofferente: “Il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti. Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca. Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo” (Is 53, 6-8). Deciso nell’andare liberamente incontro alla sua missione di Servo, prima della Pasqua Gesù si ferma per l’ultima volta a Betania, presso la casa dell’amicizia: Marta serviva e Làzzaro era uno dei commensali. Il riferimento alla presenza di Lazzaro (lett.: adagiato a mensa con lui) risuscitato dalla morte, anticipa uno spiraglio di luce nelle tenebre della tragedia della morte del Maestro. Di Maria si dice che prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo. Il gesto di Maria, la quale insieme con la sorella aveva impetrato da Gesù un intervento sulla morte del fratello, mostra la sua delicata riconoscenza per il dono della vita ridonata a Lazzaro; il prezzo del profumo è simbolo del suo amore senza misura. Se una schiava poteva ungere i piedi di un ospite prima di mangiare, il gesto di Maria non è soltanto di servizio, ma molto più di omaggio. Giovanni descrive la scena utilizzando il frasario del Cantico dei Cantici, mostrando che Maria assume il ruolo di sposa rispetto a Gesù. Così Cantico dei Cantici 1,12: “Mentre il re (lo sposo) è sul suo divano, il mio nardo effonde il suo profumo”. Quello di Maria è paragonabile ad un amore nuziale. La casa intera si riempie della fragranza di questo amore puro, della gratitudine, della tenerezza. Il fetore della morte del fratello Lazzaro si è trasformato nel profumo della vita ridonata da Gesù, nel buon odore dell’amicizia, dell’accoglienza cordiale, dell’affetto, della riconoscenza. L’omaggio di Maria è anche quello della comunità, è l’offerta di un amore autentico, fedele, soprattutto nel tempo delle tribolazioni, come quello che stiamo vivendo con il contagio dell’epidemia. Nella prova, il discepolo non rinnega il suo coraggio che trova vigore nella fiducia totale nella presenza di Gesù datore di vita nuova. L’uso dell’olio profumato al posto dell’acqua per ungere i piedi identifica il servizio con il profumo dell’amore. Il valore del profumo appartiene al registro dell’eccesso, e dimostra il valore straordinario attribuito da Maria alla persona di Gesù. Il medesimo eccesso di olio profumato dovrebbe espandersi nella “casa” delle amicizie, delle relazioni sociali, familiari, professionali, istituzionali. Come in questo periodo si è abbondantemente diffuso nella “casa” degli ospedali attraverso la cura delle gravi condizioni di salute di tantissimi malati colpiti dal contagio dell’epidemia. Quanta fragranza di generosità, di sacrificio, di perseveranza nell’impegno profuso verso persone tutto sommato sconosciute, non legame da nessun vincoli se non da quello della solidarietà.
Il gesto sorprendente di Maria viene interpretato in due diversi modi, da parte di Giuda e da parte di Gesù. Anzitutto il giudizio di Giuda: egli svaluta l’iniziativa di Maria come un inutile spreco. La vendita di quel nardo avrebbe potuto fruttare secondo Giuda una bella somma a favore dei poveri. Il narratore rifiuta la validità dell’obiezione di Giuda smascherando la sua cupidigia. I trecento grammi di profumo, i trecento denari corrispondenti al valore di questo, ricordano le trenta monete d’argento, prezzo fissato per Gesù, che i sommi sacerdoti pagarono a Giuda (cfr. Mt 26,15; 27,3.9). Il vero problema di Giuda è pensare che nessuno, neanche Gesù stesso, meriti un amore totale. Quindi ciò che ha detto riguardo ai poveri è smentito da ciò che realmente pensa. Giuda dunque è menzognero, in realtà non gli importa nulla dei poveri. Vuole solo trarre vantaggio dalla vendita del profumo. L’amore dimostrato a Gesù lo molesta perché impedisce il suo profitto personale. L’unica ragione del suo riferimento ai poveri è il disperato tentativo di appropriazione indebita. Non solo ruba, ma con il pretesto di aiutare ii poveri pretende di rubare ancora di più. È terribile: fare finta di agire verso i poveri per secondi fini personali, per potersi arricchire a danno dei poveri. Speriamo che quanto a volte è avvenuto per l’accoglienza dei migranti non si ripeta anche nell’emergenza del coronavirus.
L’intervento di Gesù invece offre un’interpretazione positiva del gesto di Maria verso di lui. Le sue parole fanno fallire definitivamente il tentativo di Giuda di contrapporre Gesù ai poveri. Il servizio a Gesù non esclude i poveri, ma anzi impegna di più a servirli con il profumo di Cristo, impegna a spalmare sui loro bisogni il profumo della carità per amore di Lui e secondo il suo stile di totale dedizione. In definitiva nessuno può escludere Gesù per il servizio dei poveri, e nemmeno si devono escludere i poveri per il servizio a Gesù. L’unico modo per giungere ai poveri è identificarsi con Gesù e identificarli con Gesù. Identificarsi con Gesù: amare con il suo cuore. Identificarli con Gesù: riconoscere Lui nel povero, da servire nel suo Nome (Mt 25: “lo avrete fatto a me…non lo avrete fatto a me”). La carità sparge anche sui poveri l’olio profumato del servizio: “Si tocca con mano la carne di Cristo. Se vogliamo incontrare realmente Cristo, è necessario che ne tocchiamo il corpo in quello piagato dei poveri, come riscontro della comunione sacramentale ricevuta nell’Eucaristia. Il Corpo di Cristo, spezzato nella sacra liturgia, si lascia ritrovare dalla carità condivisa nei volti e nelle persone dei fratelli e delle sorelle più deboli” (Papa Francesco, 19 novembre 2017).
+ Gerardo Antonazzo