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Il silenzio non è d’oro – Omelia all’Università di Cassino e del Lazio Meridionale

IL SILENZIO NON E’ D’ORO

Omelia
Università degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale
Cassino, 10 marzo 2022

 

Ringrazio con viva cordialità il Magnifico Rettore prof. Marco Dell’Isola per questa iniziativa di preghiera a favore della pace, condivisa con docenti e studenti, personale amministrativo, uomini e donne di buona volontà. Ringrazio il cappellano universitario don Benedetto Minchella. A tutti rivolgo il saluto con il quale il Signore risorto incontra gli apostoli rinchiusi nel Cenacolo per paura, dopo gli eventi drammatici della passione che hanno riguardato il loro Maestro: “Pace a voi” (Gv 20,19). Questa pace che Gesù dona è frutto del sacrificio della sua vita sulla Croce: una pace da Lui “pagata” a caro prezzo. La sua pace parla il linguaggio universale dell’amore, e genera in modo stabile e credibile una fraternità riconciliata e guarita. Se la pace è dono che viene dalla Croce, la pace è anche impegno operoso della nostra responsabilità. L’Università c’è sempre, c’è in modo particolare oggi, quale laboratorio e avamposto della cultura della pace.

Nel Vangelo oggi Gesù incoraggia, direi fino all’inverosimile e all’incredibile, la nostra preghiera di domanda: “Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto” (Mt 7,7-8). La fiducia nella pace si fa innanzitutto preghiera. Se però dovessimo affidare tutto alla sola preghiera rischieremmo di cadere nel fideismo. Invece la vera preghiera si traduce in impegno, e impegna innanzitutto la ragione umana nella sua capacità di elaborare le giuste ragioni per la pace, mai per la guerra. Non vogliamo tutti che l’eccesso di ingiustizia, di intolleranza, di sofferenza e di morte si dissolva? La guerra ci fa paura. Non basta dichiararsi pacifisti. E’ necessario diventare pacificatori! Di fronte ad ogni ingiustizia non possiamo restare indifferenti, diventandone conniventi o addirittura complici. Il silenzio non è d’oro. E non basta essere preoccupati, ma occuparci di tutto ciò che può favorire la pace. Ciascuno deve dare il proprio contributo, a cominciare dalle relazioni di ogni giorno. La pace è frutto di un sereno processo educativo. Il Presidente Mattarella inaugurando un Centro sportivo ha detto ai ragazzi: “Non perdete questi criteri, aiutatevi sempre fra di voi, abbiate fiducia reciproca. Rispettatevi sempre tutti fra di voi. Perché se questo si afferma nella società, poi si afferma sempre anche tra gli adulti, si afferma anche nelle relazioni nel mondo tra gli Stati. Il rispetto fra tutti e la collaborazione necessaria” (26 febbraio 2022). Ogni forma di violenza è espressione abominevole di non-cultura, è negazione dell’umano, degrado della dignità della persona. La guerra è sempre un processo di anti-genesi, anti-creazione. E’ un ritorno alla barbarie della clava!

Salvatore Quasimodo, in Uomo del mio tempo, scriveva:

Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
quando il fratello disse all’altro fratello:
«Andiamo ai campi». E quell’eco fredda, tenace,

è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
Salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.

La civiltà ha solo mutato le condizioni di guerra: dalla fionda si è passati ai carri armati, e agli aerei e ai missili che seminano la morte. L’uomo del nostro tempo sembra aver perduto ogni considerazione dei fratelli e ha dimenticato la solidarietà e la religione, ahimè! anche la religione, che lo trattengono dalla violenza. Di nuovo l’uomo del nostro tempo tradisce oggi il fratello. Caino e Abele sono fratelli, ma allo stesso tempo sono due mondi culturali completamente diversi. Questa diversità diventa un impedimento allo svolgimento di una vita fraterna invece di costituire una ricchezza, che fa crescere entrambi. In questo senso si può dire che la fraternità è una sfida, che richiede un’uscita da sé stessi per andare incontro all’altro con tutta la sua diversità culturale e religiosa. Se non si ha la forza di uscire da se stessi e dalle proprie certezze si cade nella tentazione di voler omologare l’altro a se stesso, per cui la presenza dell’altro, in quanto diverso, diventa inevitabilmente fonte di conflitto. «Allora il Signore disse a Caino: “Dov’è tuo fratello?” Egli rispose: “Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?”». L’interrogativo che Dio pone a Caino, non è di carattere informativo, ma esistenziale. Il chiedere conto del fratello significa spingere Caino a prendere coscienza che l’aver eliminato il fratello non gli ha facilitato la vita, anzi l’ha resa più incomprensibile. La domanda che Dio rivolge a Caino è, in effetti, una domanda che Dio pone ad ogni creatura umana, in quanto fratello o sorella. L’altro/a non è un estraneo, un nemico, una presenza fastidiosa, ma è un fratello o una sorella in umanità ed entrambi portano il nome di Abele, che in ebraico vuol dire semplicemente soffio, respiro. La vera grandezza di ogni persona umana consiste nel rendersi conto che il respiro dell’altro è affidato alla mia cura e responsabilità. Se ci si potesse rendere conto che in un mondo di fratelli e sorelle in umanità il respiro di ognuno è nelle mani degli altri e che sfuggire a questa responsabilità significa uccidere la vita sulla terra, allora la fratellanza universale non sarebbe più una pura utopia, ma un nuovo modo di fare storia.

La “regola d’oro” insegnata da Gesù nel Vangelo è fin troppo chiara: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro” (Mt 7,12). La ritroviamo in tutte le antiche culture.

Buddhismo: “Non offendere gli altri in un modo che troveresti tu stesso offensivo” (Udana-Varga 5,18; ca. 500 a.C.).

Confucianesimo: “Ciò che tu non desideri per te, non farlo agii altri” (Confucio; ca. 500 a.C.).

Ebraismo: “Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso” (Lv 19,18).

Giudaismo rabbinico: “Ciò che tu non vorresti che facessero a te, non infliggerlo agli altri. Questa è tutta la Torah, il resto è solo commentario. Ora, va’ e studia» (Talmud babilonese, trattato Shabbat 31a. Sentenza di rabbì HilIel).

Induismo: “Questa è la somma del dovere: non fare agli altri ciò che non vorresti che essi facessero a te” (Mahabharata 5,15,17; ca. 500 a.C.).

Islam: “Nessuno di voi crede veramente finché non ama per il suo fratello ciò che ama per se stesso” (Hadith 13 di al-Nawawi, Maometto [570-632]).

Taoismo: “Considera il guadagno del tuo vicino come il tuo proprio guadagno e la perdita del tuo vicino come la tua propria perdita” (Dao De Jing, c. 49; ca. 600 a.C.).

Zaroastrismo: “La natura è buona solo quando non fa agli altri una qualsiasi cosa che non è buona per se stessi” (Dadistan-i-Dinik 94,5; ca. 700 a.C.)

Non dovranno mai esistere ragioni che possano dare ragione all’uso delle armi contro gli altri. La guerra è sempre una follia. Solo la bontà della fraternità vince sempre, perché la forza disarmante dell’amore resta ineguagliabile. Cassino c’è, noi ci siamo, ci sono tanti uomini e donne di buona volontà capaci di far rinascere la speranza.

 

  + Gerardo Antonazzo

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