Le parole del Vescovo Gerardo al funerale del poliziotto Marino Terrezza, morto in servizio mentre prestava aiuto
Enorme impressione e dolore sincero ha suscitato in tutto il cassinate la tragica scomparsa del poliziotto Marino Terrezza, di 36 anni, nativo di San Giorgio a Liri e in servizio da anni in Sardegna. Proprio lì, sulla strada Statale 131, in territorio di Posada, mentre si era fermato, con un suo collega, ad aiutare a cambiare una ruota di un’auto in panne, è stato travolto da una Golf che l’ha preso in pieno e trascinato sull’asfalto. Inutili i soccorsi, la sua vita si è fermata lì. Lascia la sua compagna e un bambino.
Le esequie sono state celebrate ad Orosei nella chiesa del Rimedio, poi, il 1° agosto, il feretro, scortato dagli agenti della Polizia di Stato, è stato riportato nel paese di Marino, San Giorgio a Liri, prima nella camera ardente allestita nel Comune, poi alle 15,30, nella chiesa di San Giorgio martire, dove sono stati celebrati solennemente i funerali. A presiedere la celebrazione è intervenuto il Vescovo diocesano Gerardo Antonazzo, e con lui sull’altare il parroco don Marcello Hoca e don Angelo Oddi, vicario nazionale dei cappellani della Polizia di Stato. Numerose le autorità presenti: il questore di Frosinone, il direttore interregionale della Polizia Stradale Umbria-Lazio, il tenente dei carabinieri di Pontecorvo, il maresciallo di San Giorgio ed il sindaco Francesco Lavalle. Tutto il paese si è stretto attorno ai familiari del giovane poliziotto morto in servizio, davvero come fosse il figlio di tutti e tutti fossero suoi familiari, distrutti e sconcertati dal dolore per una disgrazia così imprevedibile e grave. Toccanti le testimonianze di tutti, che parlavano unanimemente di un giovane buono, generoso e disponibile, “un bravo poliziotto, un compagno di vita e un papà affettuoso, un uomo di 36 anni, poco più che un ragazzo”, come ha detto il Sindaco.
Particolarmente intensa e colma di commozione e condivisione del dolore, l’omelia del vescovo Gerardo, che ha posto le domande che erano nel cuore di tutti: Che senso ha morire così? Perché, Signore? Ed ha aggiunto: “La giovane vita di Marino è stata spezzata nel momento in cui prestava aiuto lungo la strada ad una persona in difficoltà. Il sacrificio della sua vita rappresenta il significato, lo stile, il valore dell’intera esistenza di Marino, sempre pronto ad aiutare il prossimo… La “vita spezzata” di Marino è molto illuminata dal “pane spezzato” sull’altare. Il senso del “morire” trova luce nel valore di una vita donata, anche se fisicamente distrutta da un evento drammatico. Marino stesso si offriva come “pane” per gli altri nello svolgimento del suo dovere, pronto a farsi “pane” per le necessità altrui.
E poi: Come vivere il nostro dolore? Signore, aiutaci! Ogni dolore umano abbandonato a sé stesso diventa disperazione, cecità del cuore, assurdità della mente, ribellione e imprecazione contro l’assurdo. Nella celebrazione eucaristica noi celebriamo ogni nostra Pasqua di morte e di vita: uniamo il nostro dolore al suo, la nostra morte alla sua, la sua vita di risorto alla nostra speranza di risorgere con Lui. A noi, mendicanti di senso, di verità, di fiducia, di speranza affidabile, nel vangelo odierno Gesù si propone alla nostra vita con parole inequivocabili: “Io sono il pane della vita”. Il pane eucaristico è il pane che sostiene il nostro dolore e lo rende partecipe della sua Croce, perché nessuna lacrima, nessun lamento, nessun grido di dolore sia sprecato, ma piuttosto unito al grido di Cristo morente.
“La vita di Marino falciata dalla disgrazia, sacrificata nel dolore, è stata associata alla Croce di Cristo. Ora sia accolta dal Signore come pane buono cotto al fuoco della soave bontà d’animo, pane fragrante di intenso e gradevole profumo di generosità. Con la forza e l’audacia del suo esempio continua dal cielo a nutrire di valori alti, nobili, esemplari la vita di quanti lo hanno conosciuto e continuano a volergli bene”.
Adriana Letta