Diocesi Sora Cassino Aquino Pontecorvo
Omelie

“La voce del pane”, omelia del vescovo Gerardo Antonazzo per la solennità del Corpus Domini (18-19 giugno 2022)

 

LA VOCE DEL PANE

Omelia per la solennità del Corpus Domini
Cassino-Sora, 18-19 giugno 2022

 

 

Ascoltiamo il pane. Il linguaggio del pane è universale, lo comprende chiunque, in qualunque luogo, lingua, cultura. Il linguaggio del pane attraversa tutta la geografia dell’umano, ed è “sacramento” dei pensieri e dei progetti di Dio. Il ricco patrimonio simbolico del pane ci parla della complessità del cosmo, delle istanze sociali, e del faticoso cammino dell’unità.

Benedetto sei tu, Signore
Ascoltiamo il pane, perché in un solo frammento si concentra la voce unanime dell’intero cosmo: “La creazione di Dio, il dinamismo della natura, il lavoro di tanta gente: chi semina, coltiva e raccoglie, chi predispone i sistemi di irrigazione, chi estrae il sale, chi impasta e inforna, chi distribuisce. In quel frammento c’è la terra” (CEI, Messaggio per la Custodia del creato 2022). “Benedetto sei tu, Signore”: il pane “frutto della terra e del lavoro dell’uomo” racchiude in sé l’affanno, la fatica, la speranza dell’uomo. Celebrando la Messa, al momento della presentazione del pane e del vino benediciamo il Signore “Dio dell’universo”. Perché un’invocazione così solenne? “Perché nell’umile ci si rivela il sublime” (A. Schökel). Presentiamo il dono del pane che, nella sua esiguità, è compendio di molteplici, immensi doni. Ancora l’autore citato: “Abbiamo dato forma rotonda e colore bianco a questo pane, come per significare nella rotondità la totalità, la pienezza, la perfezione, e nel colore bianco la sintesi di tutti i colori”. In quanto “frutto della terra” esprime il grazie dell’uomo all’intero universo. “Benedetto sei tu, Signore”: nel pane è presente la terra, terra madre e feconda, che alimenta i suoi figli con la fertilità. Per milioni di anni il Creatore l’hai preparata perchè fosse dimora degna dei suoi figli, capace di sfamare ogni creatura. Il pane è frutto non solo della terra con le sue forze fisiche e chimiche, con la sua silenziosa attività nascosta, ma anche della pioggia e dell’aria, del cielo e del sole. Il pane è frutto della luce, catturata e concentrata all’interno del pane, mentre si riflette sulla sua superficie bianca. Per esso la terra deve ruotare, avvicinandosi e allontanandosi in giusta misura dal sole, lievemente inclinata nella sua orbita, per dare alternanza esatta e ritmica alle stagioni, “perché dia il seme al seminatore e il pane da mangiare” (Is 55,10).

 

Una finestra sul mondo
Ascoltiamo il pane, perché nel frammento del pane è racchiusa la voce, anzi il grido di speranza e di dolori del mondo. Il pane è un elemento naturale semplice e intrigante, capace di rivelare tutte le contraddizioni e contrapposizioni sociali. Pensiamo alle drammatiche conseguenze della “guerra del grano”, provocata dalla crisi Russia-Ucraina. Il pane diventa uno strumento di ricatto, fino a minacciare la sopravvivenza di milioni di persone. La negazione del pane è l’anti-genesi dell’umano; tradisce il dovere etico della solidarietà, della giustizia sociale, e della fraternità condivisa. Il linguaggio pane parla delle molte ingiustizie ed egoismi, getta luce sulle molte povertà, rimuove il velo dell’omertà e dei silenzi sulle miseria alla quale sono condannati milioni di persone. L’ingordigia di chi ha pane a sazietà, rende egoisti e chiude il cuore a chi vive la precarietà della giornata e resta in attesa del pane condiviso. Gesù lo ricorda anche a noi: “I poveri li avrete sempre con voi” (Mc 14,7), perché la nostra avidità e bramosia non smetterà mai di escludere i più deboli e di creare sempre nuove povertà. Condividere è dare ad un altro parte del mio. Ma vi sono accaparratori avidi che aggiungono “casa a casa e unite campo a campo, finché non vi sia più spazio, e così restate soli ad abitare nella terra” (Is 5,8). Con i frutti della terra è doveroso provvedere alle necessità delle categorie più fragili e ai più poveri. Ci aggrappiamo ai beni posseduti, anche a quelli spirituali, chiudendoci nelle nostre sicurezze: “Non accumulate per voi tesori sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassìnano e rubano; accumulate invece per voi tesori in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non scassìnano e non rubano. Perché, dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore” (Mt 6,19-21). Il segno del pane porta con sé l’istanza della gratitudine per ciò che si riceve in dono, e della gratuità per ciò che si condivide con gli altri. Il pane per sua natura è fatto per essere “spezzato”; il pane è dentro la parola “compagno”, cum-panis, perchè accomuna coloro che mangiano lo stesso pane. Coloro che lo fanno condividono anche l’esistenza con tutto quello che comporta: gioia, lavoro, lotta e anche sofferenze. Il pane merita di essere mangiato degnamente solo lo facciamo insieme agli altri.

 

Panis vere, signum unitatis
Ascoltiamo il pane, perché il suo linguaggio apre al mistero di Cristo “bone pastor, panis vere” (S. Tommaso). Tanto la metafora del pastore quando la realtà del pane riconducono al processo dell’aggregare, riunire, tenere insieme, restare uniti come un unico gregge, come un solo pane. L’Eucaristia è sacramento della comunione, cioè il segno efficace dell’unità dei credenti in Cristo, con Cristo stesso, e tra di loro. Così esclama s. Agostino: “O sacramentum pietatis! o signum unitatis! o vinculum caritatis!” (Trattato su Giovanni, 26, 13). Per cui dire Chiesa, Eucarestia e Sinodo significa riferirsi al medesimo principio di unità che deve caratterizzare la vita della comunità cristiana. Dobbiamo ricordare come S. Tommaso veda l’effetto proprio, la grazia dell’Eucaristia nell’ “unità del corpo mistico, senza la quale non vi può essere salvezza; a nessuno infatti è aperto l’ingresso della salvezza, fuori della Chiesa» (Summa TeologicaIII, 73, 3). Nella seconda lettura abbiamo riascoltato la traditio riferita dall’apostolo Paolo: in 1Cor 10-11 Paolo provoca un provvidenziale parallelismo attraverso la parola “corpo”: con esso intende il corpo storico di Gesù di Nazareth, morto e risorto (10,16); indica poi la pluralità dei battezzati che, partecipando all’unica mensa, diventa “un solo corpo” (10,17); nel cap. 11 Paolo chiarisce che questo pane è esattamente il corpo del Signore, dando coì continuità tra Gesù e il pane eucaristico. Nessuno e in alcun modo deve contraddire l’unità del corpo di Cristo con un comportamento divisivo nella Chiesa: “Quanti comunichiamo alla santa umanità del Cristo, veniamo a formare un sol corpo con lui… Se tutti tra di noi siamo membra dello stesso corpo in Cristo e non solo tra di noi, ma anche con lui che è in noi per mezzo della sua carne, è evidente che tutti siamo una cosa sola sia tra noi che in Cristo. Cristo infatti è vincolo di unità, essendo egli al tempo stesso Dio e uomo” (Cirillo d’Alessandria, Commento sul vangelo di Giovanni11, 11). Questa Chiesa che vive l’energia della comunione grazie alla partecipazione all’unico pane spezzato e all’unico Spirito d’amore, esprime la sua unità nella sinodalità del cammino con Gesù. Egli ci raduna in cammino, per incontrare uomini e donne di ogni tipo. E quando delusione e sfiducia sembrano prevalere sulla certezza della Pasqua, il Signore si rivela ancora una volta e sempre nella Parola che riscalda il cuore e nella frazione del pane che riapre gli occhi per ridare vigore e coraggio. Gesù scompare dai loro occhi, per lasciare posto alla testimonianza alla bellezza sperimentata. E’ proprio questa la ragione ultima del cammino sinodale: capire che è sempre tempo di missione.

                                                                           + Gerardo Antonazzo

Per leggere e scaricare l’omelia in Pdf, clicca qui.