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Isola Liri

Laudatio academica del prof. Mons. Dante Gemmiti nel 60° Anniversario della sua ordinazione sacerdotale

Il discorso è stato tenuto dal prof. Filippo Carcione nella Chiesa di S. Carlo Borromeo, ad Isola del Liri, all’indomani della solenne concelebrazione eucaristica presieduta dal Vescovo, mons. Gerardo Antonazzo, il 29 giugno 2023

 

Buonasera a tutti.

Un noto detto evangelico recita: “Nemo propheta in patria”, nessun profeta in patria. E ciò vale pienamente anche per mons. Dante Gemmiti, più precisamente il prof. Dante Gemmiti, perché è dello studioso che ora vogliamo parlare, non del prete che, diversamente, è ben conosciuto e apprezzato in tutta la Diocesi per quanto ha fatto in 60 anni di sacerdozio, così come ha ben riassunto, prima di me, il Vicario di zona, don Giuseppe Basile.

Ebbene, come valente studioso don Dante è stimato negli Atenei più prestigiosi grazie al suo impegno didattico nelle aule universitarie, alle sue pubblicazioni su collane e riviste di spessore, alle sue partecipazioni a Convegni di respiro internazionale ,come quello che si tenne ad Ancona, nel 1992, sul tema «L’Albania e i suoi rapporti con la sponda italiana», allorché egli, in un consesso di levatura europea, tenne una suggestiva relazione (I Gesuiti italiani a Scutari a la lingua albanese),evidenziando il ruolo plurisecolare della Compagnia fondata da S. Ignazio di Loyola per la promozione umana e culturale, con un’azione scevra da tentazioni etnocentriche, nell’area nord-occidentale della nazione situata sul Levante dell’Adriatico a confine con il Montenegro, prima che l’avvento del regime comunista (1946), destinato a protrarsi fino al giro di boa tra gli Anni Ottanta e Novanta, ponesse violentemente fine a quella proficua esperienza, di cui solo adesso si stava osservando il primo progetto di una ripresa.

Blasonate istituzioni culturali, d’altro canto, si sono onorate di cooptare don Dante tra i soci emeriti: così la rinomata «Accademia Angelica Costantiniana», al cui interno egli è tuttora gradito collaboratore della rivista «Studi sull’Oriente Cristiano», diretta dal prof. Gaetano Passarelli, storica colonna del Pontificio Istituto Orientale, a lungo incaricato tra gli Atenei di Chieti e Roma Tre. Su quella rivista nata nel 1997 e stimata oggi in tutto il mondo, don Dante ha pubblicato interessanti indagini concentrate su alcuni esponenti dell’antica Scuola Alessandrina e sul loro contributo dottrinale al progresso dell’antropologia cristiana e della teologia dogmatica tramite un sapiente utilizzo del metodo allegorico nell’esegesi della Sacra Scrittura (Il femminile in Clemente Alessandrino – 1997; Spunti di polemica antiariana nel Commento al salmo XX di Didimo il Cieco – 2003).  Soprattutto, egli vi ha scritto un magistrale saggio sulla “categoria dell’eroe”, dove mette a punto, attraverso i passaggi letterari dagli exempla mitici del mondo greco-romano al sacrificio storico-salvifico del Redentore, la continuità filologica tra i testi classici e alcuni tratti neo-testamentari, ma al tempo stesso la loro forte discontinuità ideale per l’assoluta novità del messaggio recato in terra dal Verbo incarnato, così come ben marcato dalla proto-patristica, della quale Giustino è alfiere d’eccellenza (Dall’eroe pagano all’eroismo del Cristo nei Vangeli – 2008).

Ancora don Dante è stato poi chiamato dalle massime autorità accademiche a dare il suo contributo per nobilitare momenti particolari come quello tradottosi negli «Scritti in memoria di Roberto Pretagostini», collega universitario celeberrimo per i suoi studi di metrica classica, docente di Letteratura greca a Tor Vergata, prematuramente scomparso. Nella circostanza, don Dante, all’interno di una corposa miscellanea curata da nomi significativi come quelli dei proff. Cecilia Braidotti, Emanuele Dettori ed Eugenio Lanzillotta, propose un articolo di largo respiro su Gregorio di Nissa (La libertà e i fondamenti metafisici nell’antropologia di Gregorio Nisseno – 2009), esponendo, con il conforto dei suoi scritti (in particolare il De opificio hominis), i tratti nodali dell’apologetica cristiana sull’assoluto e libero protagonismo di Dio nell’opera della Creazione contro le spinte dualiste della lezione manichea, che, ritenendo la materialità negativa, attribuiva la genesi del mondo visibile ad un demiurgo malvagio, responsabile peraltro del dramma umano, laddovele anime, scintille del divino finite accidentalmente nei singoli corpi, soccomberebbero ineluttabilmente ai laccicarnali finendo nelle maglie della dannazione, salvo un benevolo disegno predestinazionista secondo rigida e imperscrutabile selezione trascendente, in cui è escluso ogni merito nell’agire della stirpe adamitica ottenebrata di per sé perdutamente dalla voluttà dei sensi.

Ma cominciamo daccapo. Il circuito accademico, in cui don Dante cresce e s’afferma, si concentra soprattutto su quattro poli universitari. Si laurea in Lettere e Filosofia alla Federico II di Napoli; prende il dottorato in Teologia Dogmatica alla Lateranense; e poi, dopo un breve insegnamento alle scuole secondarie, s’impianta nel mondo accademico dal 1974, entrando nei ruoli romani, prima come assistentestabile di Storia della Filosofia a La Sapienza, poi come professore associato a Tor-Vergata, dove concluderà la sua brillante carriera nel 2009 come titolare di Storia religiosa dell’Oriente Cristiano. Numi tutelari, che ne compresero subito l’attitudine alla ricerca incoraggiandolo nell’ascesa universitaria, furono menti di indubbio valore planetario, primo fra tutti, mons. Vincenzo Fagiolo(celeberrimo professore di Diritto Canonico, transitato dalla cattedra universitaria alla cattedra arcivescovile di Chieti, prima di giungere alla porpora cardinalizia),cui fecero ottima sponda i grandi docenti gesuiti P. Henry Crouzel(titolare di Patrologia negli Atenei francesi ma spesso presente a Roma per lezioni alla Gregoriana) e P. Carmelo Capizzi (ordinario di Storia Bizantina a La Sapienza, con incarichi temporanei all’Università di Colonia), il quale sarà il vero mentore di don Dante nel passaggio dal settore filosofico al settore storico-religioso, con interesse marcato sull’Oriente Cristiano. Eppure, nonostante le credenziali della comunità scientifica, don Dante non ha mai avuto adeguata corrispondenza nel nostro territorio, che rare volte ha sfruttato la sua esperienza di studioso eccellente.

Per quanto ricordo di persona, pochi sono i casi in cui è stato davvero coinvolto in tal senso. Ricordo che nel 1995 lo coinvolse mio zio, don Libero Carcione per un Convegno a Piedimonte San Germano, in onore del Santo Patrono cittadino, sul tema «Il Cristianesimo al tempo di S. Amasio(IV secolo)», ove convennero per l’occasione relatori d’alto rango, tra cui don Renzo Gerardi, allora decano della Facoltà di Teologia alla Lateranense, mons. Francesco Lambiasi, diventato più tardi vescovo di Rimini, e don Faustino Avagliano, compianto archivista di Montecassino. Accanto a loro, don Dante tenne, senza sfigurare, un bell’intervento (Il monachesimo: vita, spiritualità e attività culturale), tracciandogli sviluppi istituzionali del mondo ascetico dopo la svolta religiosa seguita al cosiddetto Editto di Milano (313).

Ricordo ancora che lo coinvolse don Antonio Molle, sollecitando gli nel 2008la stesura di uno splendido articolo(La santità di Maria in S. Giovanni Crisostomo: spunti di esegesi antiochena del Nuovo Testamento),che apparve sul numero 4 dei «Quaderni del Santuario di Canneto”» andati in stampa tra il 2005 e il 2014, avvalendosi nel tempo di prestigiosi saggisti, di cui mi limito a citare, tra i tanti, il prof. Alberto Camplani, uno dei pochi esperti al mondo dell’antica lingua copta, mons. Gianni Checchinato, oggi arcivescovo metropolita di Cosenza-Bisignano, il prof. Annibale Pizzi, indimenticabile presidente del Corso di Laurea in Scienze dell’Educazione all’Università di Cassino e del Lazio Meridionale, e mons. Domenico Pompili, oggi vescovo di Verona. Vale la pena di richiamare che molta parte nel buon esito della fortunata iniziativa editoriale promossa dal Rettore dell’alpestre Santuario mariano ebbe suo fratello, il compianto prof. Angelo Molle, che dagli Anni Novanta insegnava proprio qui, all’ITIS di Isola del Liri, quando fu colto da una fulminea quanto letale malattia. Qualcuno dei presenti sa bene come don Dante, a costui molto legato, visse affranto quel periodo, chiamando a raccolta subito dopo il Natale del 2015, d’intesa con don Mario Zeverini, allora Direttore dell’Ufficio Scuola, tutti i docenti della Diocesi per una toccante celebrazione in questa stessa Chiesa di S. Carlo Borromeo, al fine di implorare la grazia celeste per l’amico in gravissima difficoltà. Ma il Signore aveva altri disegni…

Ricordo, infine, il coinvolgimento di don Dante in un evento d’alta qualità organizzato nel 2016, a Civitella Roveto, dal suo confratello prediletto, mons. Franco Geremia, ovvero una «Tavola Rotonda sull’esortazione apostolica “Amoris Laetitia”». Nell’occasione egli si confrontò abilmente con vari ospiti, tra cui il prof. Francisco Mele, psicoterapeuta di fama mondiale, direttore di Tirocini in vari Atenei civili e religiosi, già docente di Psicologia a Buenos Aires presso il famoso Collegio Universitario del Salvador, laddove a suo tempo aveva insegnato niente di meno che il futuro papa Francesco.

Ciò detto, posso anche testimoniare direttamente le lodi ascoltate di continuo all’indirizzo di don Dante nelle varie realtà della nostra Chiesa locale – questo sì – ma solo e soltanto come un sacerdote brillante nell’eloquio omiletico, di forte tempra spirituale, attento al decoro delle chiese, scrupoloso nella cura della liturgia, capacissimo sul piano della pastorale, attento ai giovani, sensibile alle povertà umane e sociali. E ciò è l’essenziale, per carità! Super omnia Deus. Prima che alle Università, don Dante ha offerto la vita al Signore ed egli ha sempre condiviso e onorato la scala dei valori presbiterali. Ma dobbiamo pur dire che il Signore gli ha dato dei talenti: per cui, la vita di Parrocchia, benché lodevole e prioritaria, non esaurisce il potenziale carismatico d’un personaggio, che avrebbe potuto donare con la sua mole intellettuale un più ricco servizio al territorio. Allora mi domando: perché il suo paradossale oblio accademico nel nostro territorio, quando più ampie e blasonate platee lo applaudivano? Certo, lo stile umile e discreto di don Dante ha fatto sì che egli restasse volutamente in disparte, quando aveva tutti i titoli per farsi avanti. Ma saggezza vuole che “non si va a nozze se non si è invitati”. Perciò, altri dovevano invitarlo e godere delle sue capacità culturali, ma non è stato fatto. E qualche mea culpa andrebbe recitato.

Personalmente ho sofferto molto a vedere “una lampada sotto il moggio”, una lampada che avevo già sperimentato da ragazzo come trascinante educatore nei campi scuola diocesani, ma che ebbi modo di conoscere sempre meglio negli anni della mia formazione universitaria a Roma per mezzo del prof. Francesco Pericoli Ridolfini, al quale io, come figlio accademico, debbo tutta la mia fortuna professionale. Ebbene, tramite costui, che fu tra i fondatori della II Università di Roma (= Tor Vergata), la mia frequentazione con don Dante, prima sporadica, divenne assidua all’interno di quel circolo culturale, di cui lo stesso prof. Pericoli Ridolfini era riferimento generale e che aveva come strumento di convivio intellettuale la rivista «Studi e ricerche sull’Oriente Cristiano» andata in stampa tra il 1978 e il 1997.Qui don Dante, tra gli Anni Ottanta e Novanta, ebbe l’opportunità di pubblicare notevoli articoli per veri addetti ai lavori, partendo dall’approfondimento di due icone della letteratura bizantina medievale, Michele Psello e Barlaam Calabro, sui quali avrebbe scritto un paio di contributi divenuti classici per ogni studio successivo sull’argomento.

Michele Psello fu uno dei migliori scrittori dell’XI secolo, benanalizzato dalla comunità scientifica sotto molti aspetti, ma non dal punto di vista mariologico. Don Dante, penetrandone più a fondo la lezione teologica (Aspetti del pensiero religioso di Michele Psello – 1983), colma questa lacuna: commentando nei temi di predicazione, focalizza il grande apporto didattico-esegetico di Michele Psello sulla Madre di Dio e sulla centralità dei fiat nella storia della salvezza (Un’espressione dell’atteggiamento cristiano di Michele Psello: la sua Omelia sull’Annunciazione – 1984), sferzando de facto il disinteresse tradizionale degli studiosi in merito. Stesso discorso vale per Barlaam Calabro, riverito autore italo-bizantino, che insegnò greco a Petrarca e Boccaccio, contribuendo alla genesi del Preumanesimo nella nostra penisola. Ma Barlaam Calabro era stato fin lì non troppo considerato sotto il profilo più prettamente ecclesiastico se non per la sua polemica con Gregorio Palamas e gli esicasti, laddove invece don Dante (senza dimenticare il fecondo ponte che costui rappresentò per l’incontro culturale tra mondi lontani e l’inalienabile diga che lo stesso interpretò per contenere le derive esicastico-palamite nell’ascesi greca), non ne trascura il merito di aver avuto, nel XIV secolo, anche una grande sensibilità ecumenica impegnata a ridurre, con missioni non proprio facili nel tormentato periodo del papato avignonese, le distanze teologiche e canoniche tra Oriente e Occidente (Barlaam Calabro tra cultura bizantina e preumanesimo italiano – 1989), quand’ormai, purtroppo, Roma e Costantinopoli versavano nel grande scisma causato tre secoli prima dallo scontro del patriarca bizantino Michele Cerulario con il legato pontificio Umberto da Selvacandida.

Quanto al suddetto scisma, don Dante riserva la sua attenzione particolare in un altro lavoro(Ideologia e personalismi nello “scisma” del 1054 – 1986),dove con grande equilibrio, a bilancio delle colpe reciproche, mette tanto l’ideologia intransigente di Michele Cerulario (che, al di là di aspetti più seri come il Filioqueo il primato romano, criticava i costumi latini attaccandosi finanche a banalità come la tonsura o la sospensione dell’alleluia in Quaresima) quanto il personalismo esasperato di Umberto da Selva Candida(riottoso ad ogni dialogo ecclesiale nel nome del principio assoluto “Roma locuta causa finita”, ovvero Roma ha parlato e non c’è più niente da discutere con nessuno, bensì tutti devono solo recepire, punto e basta). E così non si poteva andare lontano, tanto che il discorso sarebbe approdato alle scomuniche vicendevoli della Chiesa cattolica e della Chiesa greco-ortodossa rientrate, senza comunque mai sanare l’atavica divisione, solo con lo storico abbraccio del papa Paolo VI e del patriarca Atenagora I, alla fine del Concilio Vaticano II (1965).

Nell’alveo delle ricerche guidate al tempo dal prof. Pericoli Ridolfini, c’è infine ancora un articolo di don Dante che merita di essere richiamato (Echi dell’Oriente Cristiano nel primo carme latino interamente mariano– 1991).Si tratta di un vero omaggio filiale alla devozione ecumenica della Santa Vergine, laddove egli sottolinea le radici orientali di quella che può essere considerata la prima espressione poetica dedicata tutta a Lei, ovvero un componimento del VI secolo in 24 versi scritti da Andreas Orator. Nel corso della riflessione vengono mostrate soprattutto le affinità teologiche di questi versi con l’antico inno Sub tuum Praesidium, che è di origine greca e che è vivo tutt’oggi nella nostra fede, quando preghiamo dicendo: “Sotto la tua protezione troviamo rifugio Santa Madre di Dio…”.

Metodologia, appartato critico e, soprattutto, chiarezza espositiva connotavano le fatiche di don Dante, attraendo i lettori. E così egli divenne anche per me un modello che non persi mai di vista, seguendo, imitando e sfruttando nel tempo la sua copiosa produzione letteraria, circa cinquanta titoli da ricondurre a due periodi investigativi:

  • il periodo dell’impegno come storico della filosofia, che caratterizza gli inizi della sua attività di ricerca;
  • il periodo dell’impegno come storico del cristianesimo(soprattutto orientale), che caratterizza gli anni della sua maturità accademica, accompagnandolo ininterrottamente per l’avvenire.

Nel primo periodo don Dante dimostra ampia padronanza del pensiero filosofico con saggi, che scorrono a tutto campo, dall’epoca classica all’età contemporanea. Le sue pubblicazioni partono dal mondo greco, iniziando dallo studio dei logografi, di cui Lisia è campione (Orazione per la figlia di Antifone e altri frammenti nel papiro Rainer 1,13 – 1977; Contro Ippoterse– 1977),per transitare nel mondo latino, dove l’indagine si concentra sui versi di Cicerone (L’attività poetica di Cicerone – 1978).Dall’Antica Roma, ben presto, lo sguardo di don Dante si sposta con pari competenza sui secoli cruciali del Medioevo, quelli della Grande Scolastica: l’interesse, in tal caso, flette tra Abelardo (L’antropologia cristiana nello “Scito te ipsum” di Pietro Abelardo – 1979)e S. Tommaso, cui egli dedica ben due volumi contigui sul tema cosmologico (Il problema della Creazione in S. Tommaso d’Aquino – 1976; Riflessioni critiche sulla Creazione in S. Tommaso d’Aquino – 1976). L’amore per il glorioso Patrono della nostra Diocesi lo spinge, poi, ad allargare gli studi allo sviluppo dell’eredità intellettuale che costui lascia alla Chiesa universale, soprattutto ma non solo, tramite il suo Ordine Domenicano: e questo tracciato, al di là di una puntata comparativa con lo spiritualismo di Henry Bergson (Morale e religione nel pensiero di Bergson – 1980),egli porta avanti nella sua esplorazione fino alla nascita del neo-tomismo contemporaneo (Désiré Mercier e la rinascita del tomismo – 1981), di cui è pietra angolare il futuro cardinale Désiré Mercier, che, tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, dalla cattedra di Lovanio, metterà a frutto, sul piano culturale, il sollecito dato da Papa Leone XIII, nel 1879,con l’Aeterni Patris, l’enciclica che poneva perentoriamente il Dottore Angelico come baluardo filosofico propedeutico agli studi teologici, onde assicurare una formazione del clero all’altezza dei tempi correnti. Su questa tabella di marcia lo stesso Pontefice promuoveva la nascita di nuovi Seminari, tra cui il Pontificio Collegio Leoniano di Anagni, fondato nel 1897.Qui si formerà fino ad oggi la maggior parte dei nostri preti diocesani, dando luogo ad una lunga lista di nomi, di cui il vice-parroco di questa Chiesa che ci ospita, don Florin D’Amata, è solo uno degli ultimi. Lo stesso don Dante, tra l’altro, sul finire degli Anni Cinquanta, era stato a sua volta alunno temporaneo del Leoniano nel biennio a cavallo tra la maturità classica e il corso preparatorio agli studi teologici.

Con l’incedere degli Anni Ottanta, inizia per il prof. Gemmiti il secondo periodo della sua vita accademica. È certamente il più prolifico ed è quello su cui indugeremo maggiormente. Un censimento, per quanto sommario, non può non partire dalla sua preziosa ricerca critico-bibliografica (La realtà storica del Cristianesimo – 1983)pubblicata sul numero 3 dei «Quaderni dell’Istituto di Scienze storiche dell’Università La Sapienza». È una rassegna di circa 10.000 volumi selezionati autore per autore e suddivisi in tre parti: strumenti di consultazione, fonti letterarie e studi moderni. Per anni questo lavoro certosino di don Dante avrebbe agevolato la stesura di tesi a molti laureandi delle università italiane, sgravandoli da un duro approccio che avrebbe richiesto loro tempo e fatica, prima di familiarizzare, specialmente nell’ambito laico e statale meno versato in materia, con un qualsiasi tema scientifico riguardante la Chiesa e il Cristianesimo. Per il resto, in linea di massima, possiamo ricapitolare le opere storico-religiose di Don Dante in alcune piste di ricerca, dove la prospettiva dell’Oriente Cristiano, se non è proprio l’unica in assoluto, è comunque, come s’è capito, la preponderante. Al di là dei lavori già citati, possiamo raccogliere le sue pubblicazioni in quattro tematiche:1) Il pensiero teologico antico; 2) Il diritto canonico: 3) Il fenomeno monastico; 4) Il ruolo delle donne.

  1. IL PENSIERO TEOLOGICO ANTICO

Nella lezione di Don Dante, le cui pubblicazioni in merito nulla hanno di estemporaneo ma cuciono sapientemente con una coerente catena storico-teologicale fondamenta del Magistero cattolico, il nucleo originario del pensiero cristiano è raccolto nel volume «Escatologia della Riconciliazione» (2006),che rappresenta per qualche verso la linea guida dell’intera tematica. Leggendolo, si coglie bene l’identità di un fermento primitivo che si raduna intorno alla speranza dell’imminente parusia, cioè “il ritorno finale di Cristo”, che sta per giungere da un momento all’altro, segnando lo scioglimento della storia nell’eternità. Stanno per schiudersi “cieli nuovi e terra nuova”: questo mondo sta per passare e siamo già proiettati spiritualmente nell’éscaton, cioè nell’aldi là. Occorre prepararsi bene finché siamo ancora in tempo; e ce ne resta poco. Il peccato di Adamo ha spezzato la comunione genesiaca tra il Creatore e la sua creatura prediletta, ma Cristo, nuovo Adamo, ha schiuso la strada della “riconciliazione” tra Dio e l’uomo, nell’attesa fiduciosa di una salvezza elargita ad omnes gentes.

Da qui, purtroppo, emerge anche qualche idea malsana, come l’apocatastasi, cioè la dottrina che vi sarà un condono universale, tanto che alla fine l’amore di Dio, data l’intrinseca e per certi versi incolpevole debolezza del corpo umano secondo copione neo-platonico, ci comprenderà tutti; e tutti, al di là di pene transitorie, saremo preservati dalla perpetua dannazione. È una dottrina che risolve il quesito unde Malum?,esasperandone ab origine la determinazione autonoma e autosufficiente soverchiante in qualche modo il consenso umano, ma escludendone postremo, proprio per effetto di una responsabilità antropologica depauperata e dunque assolta dal peccato, la prospettiva eterna e, per ciò stesso, l’esistenza dell’Inferno come luogo di pena incessante in balìa del diavolo. A farne la fortuna, fu in particolare il De principiis di Origene, cui don Dante ha dedicato una specifica monografia (Origene. Il problema del Male – 2013), evidenziandone i limiti teologici. Di fatto, la dottrina dell’apocatastasi verrà bocciata dal Credo niceno-costantinopolitano, laddove si recita che il Cristo “il terzo giorno resuscitò da morte, salì al Cielo e siede alla destra del Padre. Di nuovo verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti e il suo Regno non avrà fine”: il che significa che nel Giudizio universale Egli darà a ciascuno secondo i meriti il premio o la pena eterna. E dunque, l’Inferno c’è, eccome. Pertanto, bisogna esorcizzarlo appunto con una “riconciliazione” teandrica che, però, non è mera adesione a una teoria sia pur la migliore possibile, ma ha come banco di provagli atteggiamenti concreti nei confronti del prossimo. Occorre dunque agire, testimoniare, vivere la carità, perché – come dice la Lettera di S. Giacomo (2,26) – “la fede senza le opere è morta”.

Tuttavia, è anche vera un’altra cosa: da soli non ce la faremo mai. Perciò, bisogna “camminare insieme” – diremmo oggi essere una “comunità sinodale”–cioè stare in una Chiesa ben organizzata nelle sue relazioni e disposta a lasciarsi guidare dal Verbo incarnato, per garantire, sulla base del Vangelo, la vera comunione e la forza missionaria dei credenti, orientandoli con un simbolo di fede immune da errori. E, a conforto di tali assunti, interviene un altro volume di don Dante(L’ideale della Chiesa nascente – 1998),dove vengono setacciati i testi cristiani attribuiti ai cosiddetti “Padri Apostolici” perché scritti, secondo tradizione, da autori che ebbero contatti diretti con i Dodici e composero le loro opere subito a ridosso del Nuovo Testamento: su questi testi spicca il primo completo documento pontificio noto alla storia, cioè la Lettera di Clemente Romano ai Corinti, vera e propria pedagogia profetica della Chiesa “una, santa, cattolica, e apostolica”.

Seguono quindi, nel tempo, le altre pubblicazioni di don Dante riguardante la lezione teologica più matura dei Padri della Chiesa, soprattutto orientali, che animarono i primi Concili Ecumenici, chiarendo i dogmi principali da professare necessariamente per avviare, al momento dell’impegno battesimale, un processo di “riconciliazione”, aperto all’offerta salvifica di Dio, attraverso un pellegrinaggio terreno capace di tradurre coerentemente la fede creduta nella vita quotidiana. Anzitutto, questi Padri, come mostra una sapiente collezione di don Dante (Il Natale nei Padri greci – 2011), insegnano la fede nell’Unità e Trinità di Dio, combattendo l’eresia ariana che considerava il Figlio inferiore al Padre e negava per ciò stesso la perfetta uguaglianza delle Persone divine, e dunque l’unica Natura di Dio, che attraverso il Verbo, per opera dello Spirito Santo, è entrato nella storia, nascendo dalla Vergine Maria.

Contestualmente, gli stessi Padri delucidano il realismo dell’Incarnazione, e cioè che Dio, per recare al mondo la luce vera, s’è fatto effettivamente in tutto e per tutto, fuorché il peccato, uno di noi, onde per cui Cristo è vero di Dio e vero uomo, che dopo l’evento pasquale è asceso al Cielo, portando con sé alla destra del Padre la natura assunta nel Natale: e qui si colloca l’indagine di don Dante(Teologia della Luce – 2010),ove egli prende a campione le Omelie pasquali e un Sermone sull’Ascensione tramandatici a nome di Gregorio di Nissa, corifeo della lotta all’eresia apollinarista, che negava la piena umanità di Cristo, così vanificando il mistero dell’Incarnazione, ivi compreso il peso della Passione, il dramma della Morte e il senso della Resurrezione.

Infine, i suddetti Padri concludono il magistero cattolico, ribadendo la fede nel Verbo incarnato che, anche dopo l’Ascensione, resta davvero vivo e presente nella sua Chiesa, e dunque accanto noi per sostenerci “fino alla fine dei tempi” attraverso la sua presenza reale nel sacramento dell’Eucarestia, così come ricava don Dante in un’attenta ricerca (Pseudo-Dionigi l’Areopagita. La Santa Messa – 2013), che s’incentra emblematicamente sullo Pseudo-Dionigi l’Areopagita e sul vigore speciale, con cui questi contempla il miracolo reiterato ogni volta nella celebrazione liturgica, quando pane e vino, per il memoriale dell’Ultima Cena consegnato ai Vescovi e ai partecipi del loro sacerdozio nell’ordine presbiterale, si trasformano in Corpo, Sangue, Anima e Divinità di Nostro Signore Gesù Cristo, attualizzandone il sacrificio pasquale.

  • IL DIRITTO CANONICO

In quest’ambito, il volume di don Dante, che è la linea guida dell’intero discorso, è sicuramente quello dal titolo «La Chiesa nell’Impero bizantino» (2009), che ripassa tutta la giurisprudenza che ha normato la vita ecclesiastica dopo l’editto di Tessalonica (380), quando con l’imperatore Teodosio I il cristianesimo, già promosso a semplice religio licita al tempo della pax Constantini (313), diventa religione di Stato, e dunque veicolo di una comunità trionfante nel nome di Dio fatto uomo.

Nasce un connubio per realizzare la societas christiana perfecta, che si traduce, appunto, in un corpo legislativo, a cui don Dante dedica una monografia(La Chiesa privilegiata nel Codice Teodosiano – 1991),donde emerge come le disposizioni imperiali finiscano man mano per assegnare ai vescovi un ruolo sempre più pesante anche nell’amministrazione civile dei loro territori diocesani.

I vescovi diventano centrali nelle dinamiche della società: la Chiesa deve allora vigilare concrescente scrupolosità sulla scelta delle persone degne di ricoprire un incarico chiamato a coniugare, con ineccepibile equilibrio, missione pastorale ed esigenze politiche. Da qui, l’interesse di don Dante ad osservare puntualmente l’andamento storico della situazione attraverso un altro lavoro specifico(Il Processo per la nomina dei vescovi – 1989), ove egli spinge la visuale diacronica fino al XVII secolo.

Quanto al rapporto Stato-Chiesa, esso non è sempre idilliaco, laddove gli imperatori bizantini troppo spesso hanno atteggiamenti cesaropapisti, cioè ingerenze interne nella vita della Chiesa: così, ad esempio, si comporta il più famoso di loro, Giustiniano, il quale non poteva certo sottrarsi alla curiosità intellettuale di don Dante che gli dedica una ricerca a se stante (Il concubinato nel diritto romano e giustinianeo – 1993).Spulciando il diritto bizantino, don Dante dimostra che, tuttavia, nonostante episodi vessatori per la Chiesa, il sovrano, che nel VI secolo avrebbe alimentato per un attimo il sogno della riunione tra la Roma d’Oriente e la Roma d’Occidente finita nel 476 sotto la vergogna barbara, produsse pure leggi essenziali per la vita cristiana, come la rigorosa disciplina del rapporto matrimoniale, laddove il diritto romano classico sorvolavasulla pratica del “concubinato” molto diffusa.

3) IL FENOMENO MONASTICO

Forse questa tematica è quella che affascina maggiormente don Dante. La passione speciale può spiegarsi per il fatto che la scelta monastica rappresenta l’ideale della perfezione cristiana, come egli reitera a tutto campo nel suo lavoro principale in materia (Primo monachesimo orientale – 2009). Il monaco, con i suoi voti di paupertas, virginitas ac oboedientia, anticipa già, nell’oggi della storia, tutto ciò che saremo domani in Paradiso: poveri ma ricchi della gioia immensa che solo Dio saprà darci; casti ma felici per la comunione che ci legherà a Dio e ai fratelli in un vincolo d’amore infinito; obbedienti ma liberi dalla schiavitù dei vizi perché ormai stabilmente nelle braccia di Dio e al riparo perpetuo dalle tentazioni di Satana.

In proposito, le molteplici pubblicazioni di don Dante partono dalle origini giudaiche del monachesimo, per celebrare strada facendo le grandi figure cristiane, a partire dai grandi maestri egiziani del IV secolo, S. Antonio abate, stella polare del genere anacoretico, per arrivare a S. Pacomio, primo esponente noto di quel genere cenobitico, che in Occidente avrà più tardi larga fortuna con S. Benedetto (VI secolo). L’approfondimento di don Dante, come è sua specialità, torna però costante mente ai fulgidi modelli orientali, soprattutto S. Teodoro Studita, su cui ha scritto una monografia che resta tutt’oggi impareggiabile (Teodoro Studita e la questione moicheiana – 1993), ove emerge la statura eccelsa di un asceta che, tra VII e VIII secolo, ingaggia senza timore un’aspra battaglia contro la corte corrotta di Costantinopoli per la moralizzazione dei costumi bizantini e per la difesa delle immagini contro la nuova ondata iconoclasta scatenata dal potere imperiale a dispetto di quanto deciso dal Niceno II (787) .

4) IL RUOLO DELLE DONNE

Questa tematica, il cui volume di don Dante più rappresentativo possiamo ritenere quello dall’eloquente titolo «La donna nella Chiesa antica» (2004), in realtà è trasversale, perché in qualche modo s’intreccia abbastanza con le altre tre tematiche già esposte. Egli parte dalla considerazione della donna nel cristianesimo primitivo, attratto soprattutto dalle argomentazioni della Scuola Alessandrina (La donna in Origene – 1996).Ne emerge naturalmente una concezione subalterna secondo la cultura dell’epoca, ma al tempo stesso si evince, sin dagli albori, la coscienza della comunità che non può fare a meno dei carismi femminili, che si esercitano nel servizio caritativo, nel decoro delle chiese, nel catecumenato alle fanciulle e, soprattutto, nell’essere baluardo dell’unità della famiglia e dell’educazione dei figli. Fondamentali per l’immagine di una Chiesa tutta proiettata a Dio sono poi le donne che scelgono la verginità monastica e si ritirano nella quiete assoluta per la contemplazione permanente, onde chiedere a Dio di non far venir mai meno il sussidio alla sua Chiesa. Anche le vedove possono fare la loro parte testimoniale, vivendo il lutto non come dolore e pianto ma come seconda possibilità che il Signore offre per compiere quella casta opzione che è anticipo della beatitudine escatologica. La saggezza eroica delle ascete paleocristiane, di cui Sincletica, Teodora e Sarra sono solo alcuni esempi, è raccolta attraverso i loro dicta in una specifica monografia curata da don Dante (Spiritualità delle Madri del deserto – 2009), che, così facendo, sdogana la donna da una minorità storiografica, che è conseguenza non lodevole di canoni mentali spesso impregnati solo di categorie al maschile. Si profilano da subito modelli femminili remissivi al comando di Dio, docili al magistero della Chiesa, ma con lo scorrere del tempo anche abili nella buona amministrazione di un territorio, come mostra don Dante, in un altro suo bel volume (Donne col pastorale – 2000), forse il più sorprendente di tutti. Qui egli ci fa vedere come, andando avanti dal Medioevo all’età moderna, alcuni monasteri femminili ricevevano sempre più donazioni legate a grossi latifondi: ecco allora l’emergere di formidabili Badesse, di cui sono esempio eclatante, per restare semplicemente in Italia, le Mitrate di S. Benedetto a Conversano, destinate a rimanere in scena, a far tempo da Demeta Paleologo, tra la seconda metà del XIII secolo e l’inizio del XIX, con il diritto all’insegna del pastorale, che però ne indicava solo la giurisdizione temporale nei loro possessi terrieri. Queste badesse, naturalmente, non ebbero mai funzioni ministeriali legate al sacramento dell’Ordine sacro, ovvero non ebbero mai nessun grado sacerdotale, ma ebbero comunque in mano potentati economici e sociali da dover gestire con oculata fermezza. E in molte lo fecero, e lo fecero bene.

Concludo qui, sperando di aver contribuito questa sera a far conoscere meglio, sul piano accademico, il prof. Gemmiti nel contesto locale, con l’augurio che in futuro si possa recuperare il tempo perso, servendoci sempre più del suo competente apporto intellettuale per la promozione culturale del nostro territorio. Fa sì 60 anni di sacerdozio, ma può darci ancora tantissimo con il suo spirito giovanile che sembra non arrendersi alla data anagrafica. Io sto già facendo la mia parte. Ad Aquino mia città, si va aprendo un triennio di celebrazioni in onore di S. Tommaso per varie circostanze storiche che lo riguardano. Mi sono permesso di suggerire al vice-parroco, don Andrea Pantone, di organizzare un convegno con don Dante sul tema “La Creazione nella lezione filosofico-teologica del Dottore Angelico”, su cui egli ha scritto molto e, dunque, può dirci meglio lui che tanti altri cercati chissà dove. Confido che possa venire. Intanto, caro don Dante, ti ringraziamo per quanto hai fatto, fai e farai. Ad majora!

Filippo Carcione

 

In allegato anche la presentazione PowerPoint prodotta dal vicario zonale don Giuseppe Basile