L’AURORA DI ETERNA SPERANZA
Omelia per l’Apertura dell’Anno Giubilare
25 dicembre 2024
“Dio ci ha fatto speranza” (C. Peguy). E la speranza vien di notte, la sua missione è attraversare ogni notte, perché ogni notte è di Dio. Dio preferisce la notte quando è impegnato in decisioni importanti, come nell’atto creatore nella notte del Nulla, nella notte di Adamo dal cui fianco sottrae la costola per Eva, nella notte della liberazione dall’Egitto, nella notte nascita del suo Figlio, nella notte Risurrezione di Gesù. Nella rivelazione biblica le grandi opere di Dio si sono compiute nel tempo dell’inoperosità umana, nella condizione supina dell’inattesa, di notte appunto. Dio agisce sempre a insaputa dell’uomo, opera mentre l’uomo ‘dorme’. La notte dell’uomo spesso è una veglia nella sofferenza e nel tormento, nella disperazione di una via senza uscita: “A me sono toccati mesi d’illusione e notti di affanno mi sono state assegnate. Se mi corico dico: Quando mi alzerò? La notte si fa lunga e sono stanco di rigirarmi fino all’alba” (Gb 7,3-4). Di notte, l’uomo soffre o sogna, Dio crea “cieli nuovi e terra nuova”, è la condizione di ogni “in principio”.
Pellegrini senza speranza?
Tutti cerchiamo felicità, pienezza, appagamento, serenità e pace. La speranza cristiana deve rispondere al perché aspettiamo, che cosa, o chi aspettiamo. Le contraddizioni della storia, segnata da inquietudini, sogni e delusioni, Dio le trasfigura in aurora di nuova luce, nell’alba di una speranza eterna, perciò affidabile. Dio si rivela nell’impossibile delle speranze umane, come nella sterilità di Elisabetta e nella verginità di Maria, nei fallimenti della storia, nel letame delle coscienze corrotte, nell’idolatria di una violenza genocida, nell’illusione di un ordine del mondo imposto dalla minaccia da armi letali, nel terrorismo delle stragi e della paura. Ci sentiamo smarriti e anche un po’ scoraggiati, perché ci troviamo impotenti e ci sembra che questo buio non debba mai finire. Ma non bisogna lasciare che la speranza ci abbandoni, perché Dio con il suo amore cammina con noi. Forse viviamo in un mondo di pellegrini senza speranza? Il salmista prega anche per noi, ed invoca: “Spero nella tua parola…non deludermi nella mia speranza” (Sal 118, 114-116). “La speranza non delude. L’ottimismo delude, la speranza no! Ne abbiamo tanto bisogno, in questi tempi che appaiono oscuri, in cui a volte ci sentiamo smarriti davanti al male e alla violenza che ci circondano, davanti al dolore di tanti nostri fratelli” (Francesco, 7 dicembre 2016). Ci vuole la speranza cristiana, fondata sul Bambino di Betlemme, morto e risorto! La falsa profezia di una redenzione orizzontale, terrena, basata sulle nostre forze o calcoli dettati da interessi di parte, si rivela sempre falsa e fallimentare. In questo drammatico frangente la speranza umana vacilla, si rivela in tutta la sua fragilità. La pace dei “compromessi” e delle reciproche menzogne e ipocrisie, appare smentita dal nuovo corso della storia – con il ritorno addirittura della guerra, una tragedia che ci eravamo illusi di aver riposto per sempre nella soffitta della storia. Ma tutto questo non può mai spegnere completamente l’anelito umano ad una qualche forma di salvezza, alla speranza di qualcosa di nuovo. Nell’epoca del viandante, di chi viaggia spesso senza mèta, la speranza è correre verso il traguardo. Una lettura pessimista della nostra storia spinge alla tentazione della disperazione, dell’Inferno: “Lasciate ogni speranza voi che entrate!” (Inferno, Canto III v. 9). Ecco: l’Inferno è il regno dell’assenza d’ogni speranza di salvezza. Senza dubbio, nel cuore dell’uomo di ogni tempo non manca l’aspirazione al bene, attesa di felicità e di salvezza stabili, ricerca di senso e di speranza. L’inganno che ritmicamente si ripresenta nel fluire della storia è pensare che ogni ricerca di speranza possa, anzi debba fare a meno di Dio: “Believe in Good over in God”.
I primi della prima luce
“Non siate mai uomini e donne tristi: un cristiano non può mai esserlo! Non lasciatevi prendere mai dallo scoraggiamento! La nostra non è una gioia che nasce dal possedere tante cose, ma nasce dall’aver incontrato una Persona: Gesù, che è in mezzo a noi; nasce dal sapere che con Lui non siamo mai soli, anche nei momenti difficili, anche quando il cammino della vita si scontra con problemi e ostacoli che sembrano insormontabili, e ce ne sono tanti! E, per favore, non lasciatevi rubare la speranza! Non lasciate rubare la speranza! Quella che ci dà Gesù” (Francesco, Omelia 24 marzo 2013). Un piccolo segno può realizzare un grande sogno: di notte, Dio si rivela a gente disgraziata, pastori prezzolati: “Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”. I pastori sono la controfigura di chi non ha voce, dei sottomessi, di coloro che vivono “di giornata” o vivono “alla giornata”, nella precarietà, nella mendicanza dell’essenziale per sopravvivere, anche a costo della rinuncia alla propria dignità. Eppure, vegliando nella notte, sono i primi a scrutare i segni dell’aurora, i pastori sono “i primi della prima luce”, le sentinelle del nuovo giorno. Questa attesa, scritta nelle nostre vite da sempre, raccontata dalle aspirazioni di popoli e profeti, di poeti e filosofi, ha avuto una risposta: il Bambino di Betlemme, il figlio di Maria, Gesù di Nazaret, il crocifisso e risorto, una vera alternativa a come e dove si erano attardate le attese della gente. Georges Bernanos scriveva: “Quando lo spirito d’infanzia si indebolisce nel mondo, è lo spirito di vecchiaia ad affermarsi” (Aforisma). In un mondo in cui l’umanità sembra aver smarrito lo “spirito d’infanzia”, che cerca di uccidere affogandolo nel peccato, nelle ideologie, nel politicamente corretto, nei falsi diritti delle leggi antiumane, Dio si fa Bambino per affermare la potenza dell’Innocente e dell’innocenza. Quando l’Infinito si fa carne, tutto può cambiare. Perché non è più l’uomo che cerca Dio, ma Dio che cerca l’uomo, si fa Padre, figlio, amico, compagno di viaggio, maestro. Dio in Gesù è sorriso, sguardo, abbraccio, parola, ascolto, strada, pane di vita. Gesù è bellezza, è speranza, è amore. Charles Péguy scriveva: “Per sperare bisogna essere molto felici, bisogna aver ricevuto una grande grazia”. E ancora: “La speranza è quella bambina che porta per mano le due sorelle maggiori: la fede e la carità”.
Questa notte non è più notte
“La comunità cristiana non può essere seconda a nessuno nel sostenere la necessità di un’alleanza sociale per la speranza… l’essere umano, creato a immagine e somiglianza di Dio, non può accontentarsi di sopravvivere o vivacchiare, di adeguarsi al presente lasciandosi soddisfare da realtà soltanto materiali. Ciò rinchiude nell’individualismo e corrode la speranza, generando una tristezza che si annida nel cuore, rendendo acidi e insofferenti” (Francesco, Spes non confundit, 9). Vivere la vita cristiana è allenarsi ad aspettare il nuovo, non scandalizzarsi del cambiamento, della novità, dell’imprevedibile. La speranza non riceve conforto da calcoli sicuri, da algoritmi affidabili. Umane, troppo umane: le speranza umane sono a corto respiro, a corto raggio d’azione, non raggiungono l’obiettivo della piena felicità. Le speranze umane accarezzano le soddisfazioni, plagiano la mente, ingannano il cuore, addormentano progetti intelligenti e narcotizzano slanci generosi. Nella Donna “piena di grazia” è apparsa per l’umanità disperata la grazia di Dio. Cristo è la nostra grazia: “È apparsa infatti la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini … nell’attesa della beata speranza” (Tt 2,11-13). E’ la grazia che inonda la casa della “piena di grazia”. E’ la grazia apparsa ai pastori, è la grazia della luce della stella, è la grazia che avvolge e doma la furia persecutrice di Saulo, è la grazia del Tabor che fa andare “nel pallone” Pietro, è la grazia del mattino di Pasqua che già risplende nella notte di Natale.
+ Gerardo Antonazzo
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