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Omelia del vescovo Gerardo Antonazzo per l’Epifania del Signore

PRENDERSI GIOCO DI ERODE

Omelia per l’Epifania del Signore
Pontecorvo-Chiesa Concattedrale, 6 gennaio 2022

 

“Àlzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce” (Is 60,1). L’invito del profeta è perentorio, richiede uno scatto repentino, senza ritardi, per accogliere “in piedi” la luce che irrompe. E’ l’annuncio che riscalda il cuore e rigenera la speranza di quanti sono provati dalla tristezza della vita e dalle ristrettezze di un cuore deluso, angosciato, smarrito. Come quello di Giobbe, caduto nel baratro dello sconforto più amaro a causa delle contrarietà inaspettate e insospettate. Giobbe è un credente duramente provato dalle terribili sofferenze cui è immeritatamente sottoposto. Giobbe, drammaticamente provato dal dolore, è tentato di cambiare idea riguardo all’Onnipotente in cui ha sempre creduto. Ha ormai paura di trovarsi davanti ad un nemico del suo bene, un Dio geloso e crudele, il peggiore degli avversari. Le indicibili prove e le difficili esperienze di solitudine, sconforto e disperazione, da non augurare nemmeno al peggiore dei propri nemici, gettano Giobbe in una condizione di totale cecità dell’animo, della mente e del cuore. Ma Dio gli resta vicino, vuole fare luce sulla disperazione dell’uomo, e guidare il “contestatore” della fedeltà di Dio verso il recupero della speranza. Ai tanti “Giobbe” di ogni tempo, ai molti mendicanti di luce, il Signore insegna la strada dove abita la luce” (Gb 38, 9.24). La liturgia dell’Epifania fa irrompere in ogni dramma umano la certezza della luce di Cristo: “Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv 1,9).

In buona compagnia
L’ardua impresa dei Magi invita ad unirci alla carovana dei camminatori, dei “cercatori” di luce. Associamoci senza indugio al loro cammino: “Ogni uomo, nel profondo del suo cuore, è chiamato a cercare Dio: tutti noi, abbiamo quella inquietudine e il nostro lavoro è non spegnere quella inquietudine, ma lasciarla crescere perché è l’inquietudine di cercare Dio; e, con la sua stessa grazia, può trovarlo” (Papa Francesco, 22 dicembre 2021). I Magi insegnano a riconoscere i segni del “cielo”, i buoni consigli da ascoltare, le giuste persone da frequentare, gli errori e gli inganni da smascherare. La fatica vale l’impresa: il cammino apre gli occhi e ci cambia la vita. E’ un cammino da percorrere insieme: infatti l’Epifania è la manifestazione del “cammino sinodale” della Chiesa. Quello della fede resta prima di tutto un cammino personale, ma non solitario. I Magi camminano “al plurale”, lo stile del cammino è quello della comunione, della fraternità, della condivisione, della comune mendicanza di verità e di luce. Solo la logica della comunione, del camminare insieme con “un cuor solo ed un’anima sola” può renderci partecipi della carovana di Betlemme, dove incontrare e adorare Dio, consegnato alla mangiatoia vuota di “tutti coloro che non hanno un’inquietudine religiosa, che non si pongono il problema di Dio, o addirittura combattono la religione, tutti quelli che impropriamente sono denominati atei” (Papa Francesco, 22 dicembre 2021). Il cammino dei Magi è il cammino di un popolo, del popolo di Dio capace di fare strada seguendo solo la stella amica, attento a non perdere di vista la meta, sollecito nel risalire verso la vera sorgente della luce intramontabile, prostrati dinanzi al Bambino “luce da luce”.

 

Prendersi gioco di Erode
Come quello dei Magi, anche il cammino della Chiesa è insidiato da rischi e pericoli, esterni ed interni. Lo era già per i primi credenti in un mondo pagano, per cui l’Apostolo esorta a “camminare secondo lo Spirito” (cfr Gal 5, 16.25). “Lasciarsi guidare” coinvolge in un dinamismo la cui potenza è “forza che viene dall’alto” (Pastore di Erma, 43, 21). “Percorrendo questo cammino, il cristiano acquista una visione positiva della vita. Ciò non significa che il male presente nel mondo sia come sparito, o che vengano meno gli impulsi negativi dell’egoismo e dell’orgoglio; vuol dire piuttosto credere che Dio è sempre più forte delle nostre resistenze e più grande dei nostri peccati” (Papa Francesco, 3 novembre 2021). Spesso le insidie si camuffano dietro volti falsamente benevoli, come quello di Erode, maliziosamente ingannevoli. Lungo la strada incrociano anche le persone sbagliate. La figura di Erode, dietro espressioni lusinghiere, cova l’odio omicida contro il Bambino di Betlemme. Il Dio in fasce, tremante nella culla di Betlemme, fa tremare i potenti nella culla dei loro ambizioni, incute timore in quanti si cullano felici nei loro poteri. Vale anche per la Chiesa, nella quale fanno pressione a volte i poteri del clericalismo dei preti e dei laici, della cerchia di amici, delle cordate, dei sotterfugi, dei compromessi, delle congreghe, dei recinti. I Magi sono davvero bravi a fare discernimento, smascherando le avverse intenzioni di Erode. E hanno il coraggio, non scontato, di cambiare strada, “prendendosi gioco” di Erode: “Erode si accorse che i Magi si erano presi gioco di lui” (Mt 2,16). La strada del cammino della Chiesa risulta sempre accidentata, insidiata e ingannata da ciò che potrebbe “uccidere” la vita delle comunità, come le tristi rassegnazioni, il disfattismo, i protagonismi, i pregiudizi, il formalismo, l’ipocrisia, la mondanità, l’immobilismo. Senza il discernimento secondo lo Spirito il cammino sinodale di comunione rischia la deriva del fallimento, con ricadute rovinose sui mancati ripensamenti delle nostre strategie e tattiche pastorali.

I verbi della fede
“Non bisogna fare un’altra Chiesa, bisogna fare una Chiesa diversa” (Vera e falsa riforma nella Chiesa, Milano 1994, 193). Oggi la Chiesa appare disorientata e confusa. La situazione ecclesiale che stiamo vivendo è difficile, a tratti drammatica. Il cammino sinodale della Chiesa può rispondere a questa crisi solo tornando semplicemente al Vangelo, siglando una nuova configurazione plurale delle nostre relazioni, seguendo l’esempio di Gesù che rinunciò a tutti i suoi privilegi e invitò gli apostoli a non rivendicare posti d’onore e a concepire la gerarchia non come posizione di potere ma come servizio, sul modello della lavanda dei piedi. S. P. Arnold che vive in Perù dal 1974 ed è uno dei fondatori della teologia andina, scrive: “Aggrappandoci alle nostre scale e ai nostri privilegi, chiudiamo la breccia attraverso la quale potrebbe penetrare lo Spirito. Il luogo del servizio, dove Gesù si è messo e dove vuole vederci, non ammette tuttavia alcuna eccezione. Non si tratta di un’ideologia astratta e facoltativa, ma piuttosto di un’anti-gerarchia vincolante per tutti e per tutte” (Dio è nudo. Inno alla divina fragilità). Tra le macerie di una Chiesa peccatrice, può tornare a risplendere la bellezza della luce di Cristo. A Lui la Chiesa, come i Magi, deve consegnare il proprio cuore e il proprio destino: “Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni” (Mt 2, 11). Sono questi i verbi della fede che descrivono il movimento spirituale del vero e autentico incontro con Cristo. Sono i verbi che comunicano la fondatezza dell’esperienza cristiana: entrare, vedere, prostrarsi, adorare, aprire, offrire lo scrigno del cuore e consegnarlo a Lui. Il termine ultimo del cammino sinodale deve riportare Cristo al centro della vita della Chiesa, rompere ogni indugio e consegnarsi all’attrazione della sua Luce. Tutto il resto lo lasciamo a Erode.

 

+ Gerardo Antonazzo