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OMELIA DIACONALE – DA NAZARET QUALCOSA DI UNICO

DA NAZARET QUALCOSA DI UNICO

Ordinazione diaconale
di Luca Consales e Andrea Pantone
Cassino-Chiesa Concattedrale, 7 dicembre 2019

 

“Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?”

Il quarto vangelo descrive l’apparire di Gesù sulla scena pubblica con una fitta trama di incontri: Giovanni Battista indirizza verso il Messia due dei suoi discepoli, dei quali uno è Andrea, fratello di Simon Pietro. Il giorno dopo Gesù incontra Filippo, di Betsaida, lo stesso villaggio di Andrea e Pietro. Filippo annuncia al suo amico Natanaele di aver “trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nàzaret. Natanaele reagisce con sarcasmo: “Da Nàzaret può venire qualcosa di buono? Filippo gli rispose: Vieni e vedi” (Gv 1, 46-47). La resistenza di Natanaele è comprensibile. Nazareth è proprio insignificante: è una delle rare località della Palestina a non essere menzionata in alcun versetto dell’Antico Testamento. Ai tempi di Gesù Nazareth era una marginale periferia dell’impero romano. Nazareth è un villaggio dimenticato forse dagli uomini, ma non da Dio! Proprio lì accadeva qualcosa di incredibile: quella ragazza conosciuta dai più, tutta ‘casa e chiesa’, era incinta. Apriti cielo! Il cielo si era aperto da sempre nella vita di quella ragazza, dal momento che Dio aveva modificato il codice spirituale di quella creatura preparata dal suo concepimento come “una degna dimora” (Colletta) per il Verbum della Creazione, la Parola “abbreviata” e circoscritta in un grumo fetale formatosi nel grembo verginale di questa giovane.

 

Gli indirizzi di Dio

Da Nàzaret può venire qualcosa di buono? Finalmente possiamo rispondere di sì; anzi da Nazareth viene qualcosa di grande, viene Maria, la Tutta Santa. Possiamo dire anche di Maria come del suo Figlio, che “ha condiviso in tutto, eccetto il peccato, la nostra condizione umana”. In quella periferia sconosciuta e deprezzata è fiorita la parte migliore dell’umanità. Non a caso il significato letterale di Nazareth, in ebraico, è proprio quello di ‘fiorita’, come già ricordava san Girolamo, nome particolarmente bello e delicato. È soprattutto Maria di Nazareth il fiore della Galilea. La giovinezza di Maria fiorisce nell’ ascolto. Lo ha imparato da piccola nella sinagoga di Nazareth; perciò vive come una porosità spirituale: si lascia impregnare della Parola. L’angelo può visitarla solo perchè trova un cuore disarmato. Lo stabat di Maria in ascolto è una presenza attiva, quanto il suo stabat ai piedi della croce. Ci insegna l’ospitalità del Mistero nella propria vita. Da Nàzaret viene la “piena di grazia”.

 

Dalle periferie può mai venire qualcosa di buono?

Comprendiamo allora che le periferie non sono un vuoto del religioso, ma i nuovi indirizzi di Dio. La logica di Dio è fin troppo chiara ed evidente. È proprio quell’improbabile Galilea a diventare nella predicazione di Gesù il luogo preferenziale dell’annuncio del Regno. Nella prima ‘omelia’ pubblica svolta nella sinagoga di Nazareth Gesù rivela la sua scelta preferenziale, una scelta decisamente di parte a favore di prigionieri, ciechi, oppressi (cfr Lc 4, 18-19). La scelta degli esclusi esclude l’arroganza e l’arroccamento dei benpensanti. Gesù lo dimostrerà nel suo costante agire, dando dignità a tutti i “periferici”. In condizioni apparentemente bloccate e lontane, nelle periferie morali, etniche, di genere, di cultura, di classe, fa irrompere un annuncio di salvezza. Le periferie non sono soltanto luoghi fisici: sono anche punti interni alla nostra esistenza, sono anche non-luoghi dell’anima che creano distanze che ci interpellano e che dobbiamo imparare a riconoscere, abbracciare e guarire.

 

Chiesa in cammino

Carissimi Andrea e Luca, “periferia” si accorda con “diakonia”, non per la sola assonanza di parole ma per la contiguità evangelica tanto necessaria nel dare forma pastorale all’agire della Chiesa. La prospettiva diaconale pone la Chiesa in cammino, in uscita verso l’umanità in attesa. Se Gesù è stato un uomo ‘periferico’, per la Chiesa la periferia non può essere un problema ma un nuovo orizzonte, per uscire e riscoprire un nuovo ardore missionario. E solo uscendo da se stessa la Chiesa può riscoprirsi, riconoscersi, e ripartire con una più grande vitalità. Non basta più un cristianesimo di sopravvivenza, né un cattolicesimo di manutenzione, né una pastorale di conservazione.

Caro Luca, la Chiesa ti chiama al ministero diaconale per abitare con la sapienza del cuore le periferie umane che hanno bisogno della maternità della Chiesa. La tua vita coniugale e familiare ti mettono immediatamente in sintonia e in continuità con l’accompagnamento delle famiglie e dei giovani, realtà di frequente periferiche rispetto ai nostri programmi. In una recente discorso Papa Francesco afferma: “Tante volte è successo nell’altra diocesi [Buenos Aires], veniva un parroco e mi diceva: “Ho un laico meraviglioso, sa fare tutto, tutto. Lo facciamo diacono? …”. Questo fenomeno lo vedo anche nei diaconi: diventano diaconi permanenti e invece di essere i custodi del servizio nella diocesi, subito guardano l’altare e finiscono per essere “preti mancati”, preti a metà strada. Io consiglio ai vescovi: “Allontanate i diaconi dall’altare”, che vadano al servizio. Sono i custodi del servizio, non chierichetti di prima categoria o preti di seconda categoria. Questo della clericalizzazione è un punto importante” (Papa Francesco, Al Dicastero per i laici, 16 novembre 2019).

Caro Andrea, guarda al tuo ministero cercando di conservare e osservare non solo per tutta la vita ma con tutta la tua vita lo spirito del servizio, considerando che il tuo diaconato se è detto ‘transeunte’ non è perché assumerai una categoria diversa da quella del servizio una volta diventato prete. Direi, ‘transeunte’ ma non troppo! Non prete-padrone! Non ti è consentito ricercare posizioni di prestigio, sfigurando il volto della Chiesa e delle stesse istituzioni ecclesiastiche che mai devono sposare logiche di privilegi, di favoritismi, di alleanze con chi può assicurare e consolidare la propria posizione di prestigio mondano. Il tuo essere diacono e prete abiterà l’umano di qualsiasi classe sociale per restare fedele al ‘perché’ e al ‘per chi’ della tua consacrazione: poveri, prigionieri, ciechi, oppressi… di oggi.

Andrea e Luca, alla scuola della casa di Nazareth imparate la lezione della diakonia da Colei che si dichiara “schiava”, serva della Parola che anche a voi oggi sarà consegnata per l’annuncio, per la celebrazione e per la testimonianza del mistero di Cristo.

 

 Gerardo Antonazzo