Diocesi Sora Cassino Aquino Pontecorvo
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Omelia Messa Crismale 2021

Stemma di Mons. Gerardo Antonazzo

Scrivi le cose che hai visto

 

Omelia per la Messa Crismale

Cassino-Chiesa Concattedrale, 31 marzo 2021

 

Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette Chiese…Scrivi dunque

le cose che hai visto, quelle presenti e quelle che devono accadere in seguito

(Ap 1,11.19)

 

Amati presbiteri, diaconi, consacrati, fratelli e sorelle,

durante la Messa Crismale del 17 aprile 2019 vi confidavo questi sentimenti: “L’oggi di Gesù brucia nel mio cuore di Pastore. Sento oggi il peso della mia responsabilità, e non posso sottrarmi alle parole del Maestro: Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato…” [  ]. Vivo questo momento della nostra Chiesa particolare come il tempo favorevole per ravvivare la missione per una ritrovata e rinnovata opera di evangelizzazione. Per questo oggi annuncio, tra gioia e trepidazione, l’Indizione per la nostra diocesi della mia Prima Visita Pastorale” (dall’Omelia). Così, in questi due anni il Signore, “l’Alfa e l’Omèga, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!” (Ap 1,8) ha visitato l’ottava Chiesa che vive in Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo.

 

L’Indizione della Visita pastorale

È stata ispirata dalle parole del Risorto: “Sto alla porta e busso” (Ap 3,20)

Parole semplici, confidenziali, familiari. Un gesto capace di rinnovare ogni volta nel mio animo una vibrante emozione. Pochi tocchi, un rumore, preludio della voce rassicurante del Pastore bello e buono, Gesù, venuto come per dire: “Sono qui, per te! sono venuto per cercarti; ti chiedo di farmi entrare, se lo vuoi…desidero restare qui, proprio qui, con te”.

Ho bussato con garbo e discrezione alla porta del vostro cuore, carissimi presbiteri e diaconi. Ho cercato di entrare in punta di piedi nel vostro ministero con rispetto, cercando di capire, apprezzare e soprattutto condividere le fatiche e le delusioni. Grazie per la vostra confidenza, la familiarità del nostro essere sull’altare come anche in cammino di casa in casa, di strada in strada, di contrada in contrada.

Ho bussato alla porta delle nostre istituzioni militari, civili, culturali, scolastiche, associative, sanitarie. Ho bussato alle porte del mondo del lavoro e ho trovato la grazia dell’accoglienza cordiale ed entusiasta. Ho bussato alla porta già spalancata di tanti ragazzi, genitori, operatori pastorali generosi e infaticabili: una meravigliosa mappatura umana di esperienze, di dialogo e di ascolto, di testimonianze, di fatiche, di slanci e scoraggiamenti, tutto impregnato di bella sensibilità, di ascolto vigile, di passione generosa, di dedizione incommensurabile. Tutto ciò è solo il tremulo balbettio di un racconto che non vuole e non può essere in questa celebrazione il resoconto della Visita pastorale.

 

La Conclusione della Visita pastorale

È provocata dalle parole del Risorto: “Scrivi dunque le cose che hai visto” (Ap 1,19)

 

  1. Provati dalla crisi, plasmati dalla speranza

La nostra, non è più la stessa Chiesa. L’imprevedibile e drammatica emergenza sanitaria

da Covid-19 ha obbligato a ripensare e a riscrivere i nostri spazi, tempi e programmi. Ha aperto anche nuovi e più ampi, imprevedibili, impensabili e inesplorati orizzonti pastorali. Stiamo vivendo una nuova stagione pastorale, una profonda trasformazione rigenerativa delle parrocchie. Sentiamo la responsabilità storica di dover rispondere a nuove e inattese sfide missionarie. Questa fatica pastorale la stiamo soffrendo insieme con la speranza affidabile nella fioritura del ramo di mandorlo: dopo il rigido inverno delle restrizioni, viene la primavera perché Dio è all’opera soprattutto nel tempo di ogni esilio, pronto a dare compimento alla nostra attese operosa in tempo di crisi, ma non di sfiducia. Sì, provati dalla crisi, ma plasmati dalla speranza! Il Signore sta creando cose nuove: non ve ne accorgete? (cfr Is 43,19). Le nostre parrocchie non sono più le stesse di prima, e per alcuni tratti sostanziali non ritorneranno ad esserlo. In questi mesi sta cambiando il volto della nostra Chiesa. Il processo è in atto, e non siamo ancora in grado di prevedere quale diversa comprensione ne risulterà. Solo uno stile sinodale e la pratica comunitaria del discernimento permetterà di meglio disporci al nuovo alfabeto dell’annuncio della fede.

 

  1. Ho ascoltato un popolo profetico

Nel pellegrinaggio della Visita ho sentito appropriate le parole del Servo di Jahweh: “Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo, perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato. Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come i discepoli. Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro” (Is 50, 4-5). Ho cercato di ascoltare per conoscere e amare, ancor prima di parlare. Nelle parole più umili e semplici di voi confratelli presbiteri e diaconi, di consacrati, di fedeli laici e operatori pastorali ho raccolto la profezia di desideri buoni, di propositi giusti, di intendimenti generosi. Il popolo guidato da retta intenzione e spirituale intuizione sa dire le cose di Dio.

Tale dimensione profetica del nostro essere Chiesa deve riguardare e comprendere anche la carica profetica della Chiesa domestica. L’amore dei coniugi è già profezia, annuncio della bellezza dell’amore che esalta e porta a perfezione ogni buona volontà e sforzo umano nel volersi bene. Tale dimensione profetica della famiglia la ritroviamo nelle preziose parole con le quali il Papa ha inaugurato l’Anno della Famiglia: “Quando la famiglia vive nel segno di questa comunione divina, allora diventa una parola vivente del Dio Amore, pronunciata al mondo e per il mondo” (19 marzo 2021). La famiglia esercita il suo munus profetico quando si apre all’amore vivificato dall’ascolto della Parola, e da essa si lascia educare alla sequela di Cristo. È profezia domestica la fedeltà dei coniugi, è profezia domestica il compito educativo verso i figli, è profezia domestica l’abbraccio che si fa carico dentro la vita familiare delle condizioni più deboli, fragili e malate.

 

  1. Ho pregato con un popolo sacerdotale

La dimensione sacerdotale del popolo di Dio non si esaurisce nell’azione liturgica, pur consapevoli che “la liturgia è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia” (SC 10). La celebrazione dell’eucarestia resta senza dubbio l’evento sacramentale necessario per la fede di ogni battezzato e della comunità cristiana. Con l’unzione dello Spirito Santo i credenti vengono consacrati e abilitati nell’esercizio del proprio sacerdozio battesimale.

Anche la dimensione sacerdotale del nostro essere Popolo di Dio non sarebbe completa se non fosse comprensiva della liturgia domestica. Dire “popolo sacerdotale” non è dire popolo “rituale”. Ritorna urgente e attuale recuperare il passaggio dal rito alla vita, dal culto alla cultura, per aprire la strada e favorire il passaggio dall’offerta rituale al sacrificio vitale della quotidianità.  Ho bussato al cuore grande – davvero molto grande! – delle famiglie nelle quali mi sono abbeverato alla sorgente dell’amore crocifisso stampato nelle membra deboli di tanti bambini, ragazzi, giovani, adulti. Mi sono sentito “debole per i deboli” (1Cor 9,22), stupito e disarmato anche nelle parole dinanzi alla forza di padri e madri capaci di ungere la vita malata di figli, o di genitori o di parenti, con il balsamo di un amore religioso, sacro, oserei dire “divino”. Ho conosciuto un prezioso patrimonio di santità della porta accanto: liturgie domestiche sommesse, silenziose, discrete, sconosciute, radici forti e robuste impregnate di grazia di Dio che danno linfa al benessere spirituale della santità della Chiesa.

In definitiva, ogni azione cultuale, pure necessaria per il nutrimento della vita della Chiesa, è destinata a diventare “cultura”, esperienza incarnata nella vita reale.  Lo insegna e lo richiede l’apostolo san Paolo: “Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale” (Rm 12,1-2). Dire popolo sacerdotale significa anche educare e abilitare le nostre famiglie alle liturgie domestiche: “Noi lodiamo il Signore in chiesa quando ci raduniamo. Al momento in cui ciascuno ritorna alle proprie occupazioni, quasi cessa di lodare Dio. Non bisogna invece smettere di vivere bene e di lodare sempre Dio. Bada che tralasci di lodare Dio quando ti allontani dalla giustizia e da ciò che a lui piace” (S. Agostino, Commento al Sal 148).

 

  1. Ho amato un popolo regale

La regalità del servizio deve innervare la vita della comunità. Nella pratica religiosa moderna spesso manca la re­lazione umana. “I membri della prima Chiesa cristiana socia­lizzavano, erano amici, o sta­vano dentro a un meccanismo che favoriva l’amicizia a priori. Le relazioni umane e spirituali fra i primi cristiani rendevano più natura­le la risposta al bisogno anche materiale dell’altro: la condivi­sione non era un obbligo ma un atto d’amore” (P.G. Gawronski). Al contrario, la carità oggi può diventare una transazione anoni­ma poco attraente. Le nostre assemblee spesso sono “fredde”, apatiche, anonime. Pur pregando insieme, si ha spesso la sensazione che i fedeli do­menicali preghino da soli; che pur partecipando insieme alla Messa, si sentano fondamental­mente soli. Anche l’Eucaristia, pur chiamandosi “comunio­ne”, è purtroppo spesso vissu­ta come un accesso individuale alla grazia. Il sacramento della fraternità non viene speditamente vissuto come convivialità dell’amore comunitario, come regalità della fraternità, per poi farsi anche servizio ai più poveri.

Credo che una dimensione più familiare, fraterna e amicale delle nostre liturgie si potrà ricostruire grazie a famiglie capaci di riempire l’aula liturgica del profumo dell’amicizia della casa di Betania (Gv 12,3: Tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo). La dimensione regale della famiglia insegna declinare l’esercizio della carità con il rispetto, il dialogo, l’ascolto, con l’audacia del perdono e della riconciliazione. La testimonianza della carità non può essere delegata a pochi incaricati della Caritas parrocchiale, ma diventa sempre più comunitaria se colloca il suo fondamento sorgivo nella costituzione di famiglie aperte alle molte povertà ormai dilaganti e nella educazione di figli meno egoisti e possessivi e più aperti alle fragilità di tanti loro coetanei. L’educazione al servizio è la via maestra per formare famiglie e comunità vive nell’essere segno credibile del Vangelo incarnato nel vissuto della gente, per una storia di salvezza che passa attraverso l’attrazione esercitata dalla bellezza dell’amore: “Guardate come si amano” (Tertulliano).   I pagani di oggi potrebbero dirlo delle nostre parrocchie?

 

  1. Preghiera

Per amore di “Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue”, affidiamo la nostra Chiesa alla rinnovata crismazione dello Spirito:

Signore Gesù Cristo, Parola creatrice,

ci hai costituiti profeti di speranza:

donaci la passione missionaria del Vangelo

per annunciare la sola Verità che rende liberi.

Signore Gesù Cristo, sacerdote, altare e vittima

ci hai consacrati sacerdoti per il tuo Dio e Padre:

trasfigura la nostra esistenza in una lode di gloria,

in un sacrificio vivente, santo e gradito a Dio.

Signore Gesù Cristo, Servo per amore,

ci hai rivestiti della tua nobile dignità regale:

fa’ della nostra Chiesa una casa di fraternità

per testimoniare la rivoluzione della tua tenerezza.

Amen.

 

+ Gerardo Antonazzo