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Omelia per il 50° di sacerdozio di don Remo Marandola

Preti di strada

Omelia per il 50° di sacerdozio di don Remo Marandola

Elia Fiume Rapido, 13 luglio 2019

Nei tre vangeli sinottici la parabola del buon samaritano sviluppa l’iniziale dialogo tra Gesù e uno specialista delle Sacre Scritture. Nel vangelo di Luca, a differenza di Matteo e Marco, ciò che dà origine al dialogo non è la questione circa il comandamento più importante, ma sul “cosa devo fare per ereditare la vita eterna?”. L’interlocutore desidera capire bene cosa fare per ricevere da Dio la vita eterna nel Regno. Il suo bisogno reale è capire come vivere per compiere la volontà di Dio, e dare alla propria esistenza un senso compiuto in armonia con gli insegnamenti della Legge divina. Il dottore della Legge, discepolo senza dubbio di un giudaismo più liberale, alla provocazione con la quale Gesù rimanda al mittente la questione, dichiara che l’essenziale della volontà di Dio si trova nel comandamento dell’amore.

Carissimo don Remo, grazie alla parabola raccontata dal Vangelo odierno tu puoi rileggere la vicenda vocazionale e presbiterale che ti riguarda e di cui oggi sei riconoscente al Signore.  Il suo amore di predilezione ti ha chiamato alla sua sequela, e cinquant’anni fa ti ha consacrato per inviarti come suo messaggero di salvezza: “Con affetto di predilezione sceglie alcuni tra i fratelli che mediante l’imposizione delle mani fa partecipi del suo ministero di salvezza [  ]Tu proponi loro come modello il Cristo, perché, donando la vita per te e per i fratelli, si sforzino di conformarsi all’immagine del tuo Figlio, e rendano testimonianza di fedeltà e di amore generoso” (Prefazio della Messa Crismale). Queste parole esaltano il significato inequivocabile della nostra vocazione e del nostro ministero. Il radicamento di quello che siamo come presbiteri risiede esclusivamente nella scelta libera e imponderabile del Signore; mentre il compimento della nostra missione si realizza solo “donando la vita per te e per i fratelli”. Pertanto, la scommessa della nostra piena fedeltà alla missione affidataci non si esaurisce nel servizio del tempio, ma si compie lungo la strada. Sì, preti di strada, perché Dio stesso è sempre in cammino, e mette in cammino i personaggi dell’Antico Testamento; Gesù attraversa città e villaggi, percorre le strade polverose e assolate lungo le quali incontra, insegna, ascolta, guarisce, chiama, converte. Dispensa i segni del Regno sempre lungo la strada. Anche del Samaritano, che è Gesù stesso, si dice “che era in viaggio”; come anche un sacerdote, e un levita. I primi due vedono l’uomo ferito e abbandonato, il loro sguardo degenera in pregiudizio, fino ad allontanarli dalla richiesta di aiuto. L’uno e l’altro “vide, e passò oltre”. Preferiscono trincerarsi dietro i doveri del tempio e le regole del sacro, piuttosto che compiere i gesti di umanità che erano necessari. Entrambi allungano il passo dall’altra parte della strada, fanno una deviazione per passare a distanza. Il Samaritano, invece, decide di fermarsi indipendentemente dall’identità sociale o religiosa del malcapitato, “vide e ne ebbe compassione”. Tale comportamento rimette in gioco la questione iniziale del “Chi è il mio prossimo?” e la trasfigura in una domanda ancor più innovativa e impegnativa: “Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?”. Il prossimo non esiste, ma prossimo è colui che quale io decido di farmi prossimo! Gesù ha riportato la definizione del prossimo nel cuore del bisogno umano di compassione.

Caro don Remo, Gesù è il buon Samaritano. Egli si prende cura dell’uomo, e lo affida alle ulteriori cure e premure dell’albergatore, che siamo noi. Anche a te, come all’albergatore della parabola, consegna due denari, cioè i due comandamenti dell’amore, con l’invito. “Abbi cura di lui”. A me oggi riconsegnare i due denari a te come a ciascuno dei presbiteri, e dire: “Abbi cura di lui…va’ e anche tu fa’ così”. La gioia, la pienezza, e la cura del nostro ministero passa dalla fedeltà e dalla qualità della nostra risposta all’amore di Dio e del prossimo. E’ tutto qui il contenuto e lo stile del nostro essere presbiteri, sollecitati a non separare mai il primato e il servizio di Dio, dalla compassione per la dignità di ogni gli uomo e di ogni donna del nostro tempo, senza distinzioni di razza, religione, identità culturale e sociale. Le disattenzioni del sacerdote e del levita rinverdiscono oggi purtroppo in tante forma di respingimento, di esclusione, di scarto, di chiusura, di frontiere e muri. E’ la perversione del vero umanesimo e del Vangelo! Se in ogni famiglia umana i fratelli e le sorelle non si scelgono, ma si accolgono per quello che sono, tanto più il comandamento dell’amore non ci consente di scegliere o ignorare il prossimo.

Nei cinquant’anni del tuo ministero sacerdotale hai cercato di unire il primato di Dio, che ti ha scelto al suo servizio, ad un amore indiviso per lui e condiviso concretamente nel servizio ai fratelli, soprattutto i più fragili. La domanda di vita piena che il dottore della Legge pone a Gesù sia per te motivo di rinnovata gioia e di slancio nel riconoscere nel servizio ai fratelli per amore di Cristo l’unica ragione che dà pienezza alla tua vita. Grazie per il tuo servizio pastorale fedele, intelligente, generoso. Conosco personalmente la tua premura soprattutto verso i bisogni delle persone in difficoltà, in modo speciale verso quanti sono in stato di malattia assistiti nelle famiglie o nelle case di cura. Conosco la tua sollecitudine nel portare una parola di vicinanza, di consolazione a chi è nella dura prova della sofferenza. Sei prossimo e presente soprattutto con la grazia dei sacramenti di guarigione. Ti sono profondamente riconoscente e grato per questa vicinanza fattiva e operosa a chi è in condizioni di malattia.

Consegno la ricchezza spirituale del tuo sacerdozio e le povertà umane delle comuni fragilità alla Madonna delle indulgenze perché continui ad essere per te Madre orante e sollecita, come per gli apostoli nel Cenacolo.

 

+ Gerardo Antonazzo