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Omelia per il Mandato pastorale agli Animatori sinodali

 

QUID VIDISTI IN VIA?

Omelia per il Mandato pastorale agli Animatori sinodali
Cassino-Chiesa Concattedrale, 25 gennaio 2022

 

Cari amici,
con la celebrazione liturgica del Mandato agli Animatori dei gruppi sinodali la nostra Chiesa diocesana avanza speditamente nel processo di ascolto del Popolo di Dio. Con la preghiera della Colletta abbiamo chiesto di “camminare” verso il Signore seguendo gli esempi di Paolo: è proprio questa l’anima che movimenta il dinamismo ecclesiale del processo sinodale. Il servizio pastorale di ogni Animatore sinodale riceve dall’esperienza dell’Apostolo un robusto nutrimento spirituale e pastorale. Per meglio comprendere il mutamento avvenuto nella vita di Saulo sulla via di Damasco, così come i due racconti di Atti 9 e 22, è opportuno ripartire dal significato della sua conversione.

Quid vidisti in via?
Parafrasando le parole della Sequenza pasquale chiediamo a Saulo: “Quid vidisti in via?”. Da profondo osservante della Legge percepiva nella fede dei primi cristiani qualcosa di eccessivamente nuovo e insostenibile, che non poteva essere facilmente coniugato con il tradizionale patrimonio del popolo d’Israele. Commenta R. Penna: “La prima comunità cristiana e il suo kèrygma dovevano caratterizzarsi appunto per una centralità e una funzione particolare accordata a Gesù, proclamato Cristo e Signore, tale da non potersi accordare con il punto focale della tradizionale identità giudaica e quindi da non poter essere sopportata da un fariseo zelante come Paolo”. E’ importante rendersi conto del perché entra in collisione con il movimento che si richiamava a Gesù di Nazaret e si sia dimostrato intollerante nei suoi riguardi, fino ad adottare forme di persecuzione. Se Paolo avversò il movimento cristiano non fu perché gli fosse genericamente antipatico, ma perché là scorse una dottrina incompatibile con l’adesione alla Torah rivelata da Dio (cf Donaldson, citato da Romano Penna). Paolo dimostrò uno zelo particolare nel perseguitare la comunità cristiana con l’intento addirittura dì distruggerla (cfr. Galati, 1, 13-14). Quid vidisti in via? L’evento della strada di Damasco non fece altro che condurre a un esito imprevedibile l’accanimento di Paolo: colui che prima infieriva contro i discepoli di Gesù, improvvisamente si trovò ad annunciare la sua ‘signoria’ (cfr. At 9, 21.28; Galati, 2, 23). Da una “religiosità” senza Cristo fondata sulla pedissequa e ossequiosa osservanza Legge, alla centralità della fede e della sua potenza salvifica fondata in Cristo risorto, il Vivente.

Cristo è il cammino
Negli Atti i credenti in Gesù sono indicati come quelli della via (cf. At 9,2). E Saulo incontra Gesù lungo la Via. Recandosi verso Damasco, Saulo non si trovava sulla via sbagliata: sbagliate erano piuttosto le sue intenzioni, le sue idee, i suoi pregiudizi che rendevano i cristiani odiosi ai suoi occhi. Gesù “converte” le sue posizioni accanite: gli fa comprendere i suoi torti dando ragione della sua vita di Risorto: “Saulo, Saulo, perché mi perséguiti?”. Egli risponde con una contro-domanda: “Chi sei?” (At 22, 7-8). Con ogni probabilità Saulo non aveva mai incontrato Gesù di Nazareth. Ma ora, la via della persecuzione diventa per Paolo la Via della rivelazione. Non solo, ma agli occhi di Saulo il Signore si identifica con la sua comunità: “Io sono Gesù che tu perseguiti”. E’ a partire da questa esperienza che si comprende il significato della conversione di Paolo. Non una conversione di tipo morale, come se provenisse da una condotta perversa. Anzi, di se stesso dichiara: “Per nascita siamo Giudei e non pagani peccatori” (Gal 2,15). Nemmeno una conversione di natura religiosa, come se provenisse dal paganesimo: “Io sono un Giudeo, nato a Tarso in Cilìcia, ma educato in questa città, formato alla scuola di Gamaliele nell’osservanza scrupolosa della Legge dei padri” (At 22,3). Si autodichiara “fariseo, figlio di farisei” (At 23,6), osservante delle prescrizioni giudaiche: “La mia vita, fin dalla giovinezza, vissuta sempre tra i miei connazionali e a Gerusalemme, la conoscono tutti i Giudei; essi sanno pure da tempo, se vogliono darne testimonianza, che, come fariseo, sono vissuto secondo la setta più rigida della nostra religione” (At 26,4-5). La conversione di Saulo è natura spirituale: infatti, sulla via di Damasco Paolo comprende che Gesù crocifisso e risuscitato è l’Unto di Dio: “Io sono Gesù il Nazareno, che tu perséguiti” (At 22,8). Comprende in modo evidente, decisamente disarmante, che l’appartenenza al popolo di Dio non poteva venire ormai dalla Torah, ma soltanto dalla fede in Gesù Cristo, il Figlio di Dio, Salvatore. Questa consapevolezza apre ad un ulteriore passaggio: “Cosa devo fare o Signore?” (At 22,10). “Àlzati e prosegui verso Damasco; là ti verrà detto tutto quello che è stabilito che tu faccia”. Il cammino lo ha trasfigurato da violento avversario, intenzionato a distruggere ogni traccia di vita cristiana, a mendicante di compassione e di nuova luce: “Un certo Anania … venne da me, mi si accostò e disse: Saulo, fratello, torna a vedere!” (At 22,12-13). Da questa comunità Paolo riceve l’investitura per la missione indicatagli dal Signore risorto: “Il Dio dei nostri padri ti ha predestinato a conoscere la sua volontà, a vedere il Giusto e ad ascoltare una parola dalla sua stessa bocca, perché gli sarai testimone davanti a tutti gli uomini delle cose che hai visto e udito”.

I kerigmi dell’Animatore sinodale

Cari amici,
le sorprese che il Signore risorto riserva per Paolo e Anania confezionano l’identikit dell’Animatore, e consegna alcune risposte alla domanda che anche voi vi ponete: “Che cosa dobbiamo fare?” per condividere, fratelli tra fratelli, il camino sinodale dell’ascolto. Cerco di indicare alcuni “buoni annunci”, kerigmi, a favore del vostro servizio.

 

Il lato oscuro della luna
E’ il laro oscuro dei nostri limiti, difetti, fragilità. E’ l’ombra proiettata dalla nostra stessa persona, proiettata dal come siamo fatti, che dobbiamo saper indagare e portare a luce. Da fariseo osservante Saulo porta con sé l’Ombra oscura della superiorità, dell’arroganza, delle sicurezze inossidabili, delle certezze inossidabili e insindacabili. Quest’Ombra lo riduce a “persecutore”. Vale anche per noi: “La parte oscura della personalità, l’Ombra appunto, inquinerà allora ogni passo verso la spiritualità” (A. Verdi Righetti, Conversione del cuore in San Paolo). L’esperienza della conversione di Saulo apre innanzitutto ad una conoscenza nuova di sé stessi, con la conseguenza di una rottura a partire dalla percezione di una ferita, di un abisso che ci abita e che abbiamo sempre ignorato. L’Ombra che accompagna i nostri cammini spirituali, se non riconosciuta né rischiarata, straripa nell’arroganza, nel senso di superiorità, nella fame di prestigio e di potere che può riguardare credenti religiosi e laici.

 

Una fede kerigmatica
Dall’osservazione della vita di molti battezzati potrebbe emergere questo dilemma: tristi perché cristiani, o cristiani perché tristi? E’ la denuncia di Papa Francesco: “Tante volte i cristiani hanno faccia di andare più a un corteo funebre che di andare a lodare Dio. Noi cristiani non siamo tanto abituati a parlare di gioia, di allegria. Ci piacciono di più le lamentele. Lo Spirito Santo che ci guida è l’autore della gioia, il Creatore della gioia, senza gioia noi cristiani non possiamo diventare liberi, diventiamo schiavi delle nostre tristezze”. La fede cristiana nasce solo dall’ascolto della Buona Notizia della salvezza che accade solo nell’incontro Gesù Cristo morto e risorto. “Quando lo incontro, quando scopro fino a che punto sono amato da Dio e salvato da Lui, nasce in me non solo il desiderio, ma la necessità di farlo conoscere ad altri … Chi si è avvicinato a Lui e ha fatto esperienza del suo amore vuole subito condividere la bellezza di questo incontro e la gioia che nasce da questa amicizia” (Benedetto XVI, Messaggio per la GMG 2013). Se la nostra fede non è kerigmatica, vuol dire che sulla via di Damasco non ci siamo mai passati, e il Risorto non lo abbiamo mai incontrato, né conosciuto. Se la nostra è una religiosità delle tradizioni, rischia la deriva del devozionismo refrattario a lasciarsi folgorare dalla luce della Pasqua.

Radicati nella Parola, nella preghiera e nei sacramenti
Paolo sarà insuperabile missionario del Vangelo. La Parola è la radice di ogni grazia spirituale. L’Animatore sinodale è disponibile ad ascoltare la Parola per camminare accanto e ascoltare i fratelli e le sorelle, e condividere la gioia della fede. Sente in prima persona il bisogno struggente di aderire al Signore “con tutto il cuore” e gli chiede di accrescere la sua fede (cf Lc 17,5). La fede cresce nell’incontro permanente con l’ascolto del Risorto lungo la via della preghiera personale, della preghiera liturgica soprattutto nel Giorno del Signore, e lungo la strada maestra dei sacramenti. L’Animatore sinodale sa ascoltare e parlare con Dio, per poi parlare di Dio con i propri amici e fratelli. Pregare gli uni per gli altri, e pregare gli uni con gli altri è la prima forma di sinodalità impregnata di affetti spirituali. In particolare, la celebrazione eucaristica “è la sorgente e il paradigma della spiritualità di comunione. In essa si esprimono gli elementi specifici della vita cristiana chiamati a plasmare l’affectus sinodalis” (CTI, n. 109). L’autentico processo sinodale si svolge e si rivolge alla centralità del Signore: solo una Chiesa kerigmatica sarà una Chiesa sinodale nella quale prevale l’iniziativa di Dio; diversamente si riduce ad una congrega di lamenti, rimproveri, battibecchi e rivendicazioni.

Amore e servizio per la Chiesa
L’amore è il sigillo impresso con il fuoco dello Spirito quale segno distintivo del nostro essere comunità del Risorto. E’ il sigillo della carità fraterna, è anche il sigillo dell’amore per la Chiesa nel cui grembo materno siamo rinati a vita nuova non per un atto formale e burocratico, ma per un sacramento che ha mutato la nostra condizione naturale. Paolo è stato un costruttore di comunità, un innamorato folle della Chiesa. La Carta costituzionale che garantisce e continuamente purifica la prospettiva sinodale della Chiesa è l’Inno alla carità di san Paolo (cf 1Cor 13,1-13).  Ogni forma di servizio, ancor prima di essere un aiuto per altri, è un dono spirituale per sé. Stretti nella morsa di una cultura del tornaconto e degli interessi, rischiamo di essere risucchiati nel vortice dell’egoismo. E’ grazia poter servire, perché c’è sempre “più gioia nel dare che nel ricevere”. E se si riceve molto, è solo perché abbiamo saputo donare qualcosa di noi stessi agli altri. Saulo è stato coinvolto in un processo vorticoso di trasformazione della visione della vita: da una religiosità della Legge al limite dell’ipocrisia e del formalismo ad un’esistenza totalmente spesa nel servizio degli altri: “Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno” (1Cor 9,22)

Artigiani di accoglienza, ascolto, fraternità, accompagnamento
Anania riceve dal Signore l’invito a farsi carico del cammino di Paolo. Si fa “animatore” che ascolta, prende per mano e affianca il nuovo cammino di Paolo. Anania è artigiano dell’accoglienza senza pregiudiziali, incondizionata e scevra da ogni opinione o pregiudizio che sia di impedimento nel “camminare insieme”: “Saulo, fratello mio, mi ha mandato a te il Signore, quel Gesù che ti è apparso sulla strada che percorrevi”. Anania, e ogni Animatore, scopre che il Signore arriva prima di noi nella vita degli altri. Non arriva né con il Sinodo né con l’Animatore, ma è all’opera in ciascuno ancor prima, anche all’insaputa. Accogliendo e ascoltando ogni persona facciamo spazio all’azione di Dio che mette sulla tua stessa strada coloro che tu devi accogliere e ascoltare. Dunque, nessuno e per nessuna ragione può restare ai margini o escluso dalla possibilità di essere coinvolto nel processo sinodale. E’ ascolto di tutto il Popolo di Dio. Ogni bravo artigiano di sinodalità è capace di assicurare l’ascolto incondizionato: “L’ascolto … trasmette all’altro un messaggio balsamico: ‘tu per me sei importante, meriti il mio tempo e la mia attenzione, sei portatore di esperienze e idee che mi provocano e mi aiutano a crescere’. Ascolto della parola di Dio e ascolto dei fratelli e delle sorelle vanno di pari passo. L’ascolto degli ultimi, poi, è nella Chiesa particolarmente prezioso, poiché ripropone lo stile di Gesù, che prestava ascolto ai piccoli, agli ammalati, alle donne, ai peccatori, ai poveri, agli esclusi” (CEI, Messaggio agli operatori pastorali, 21 settembre 2021). L’accoglienza e l’ascolto sono fondamento e condizione di fraternità, sostegno solido nel discernimento secondo lo Spirito.

Carissimi amici e animatori dei gruppi sinodali,
l’incontro con il Risorto è una nuova nascita, e dona una nuova vista, cioè un nuovo modo di vedere la realtà, la storia, gli altri. A partire dalla nuova luce, che abbaglia e rivela, è possibile per Paolo una nuova visione dell’esperienza religiosa. Mentre pensava di avere idee chiare, forti e sicure, e di avere in mano la propria vita e quella degli altri, il Signore risorto lo rende mendicante della luce che non aveva mai sperimentato. Da fariseo superbo, il Signore lo rende umile perché rinasca come nuova creatura. La grazia dell’esperienza sinodale introduca ognuno di noi alle novità dello Spirito. Il nuovo è difficile da accettare, la conversione fa paura. “Iniziare un nuovo cammino spaventa. Ma dopo ogni passo che percorriamo ci rendiamo conto di quanto fosse pericoloso rimanere fermi” (R. Benigni).

                                                                                                                                                           + Gerardo Antonazzo