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Omelia per la conclusione della Visita Pastorale

Stemma di Mons. Gerardo Antonazzo

Sogno, Turbamento, Servizio

Omelia per la conclusione della Visita Pastorale

Basilica-Santuario di Canneto, 1° maggio 2021

 

Cari presbiteri e diaconi,

seminaristi, amici, devoti e pellegrini,

 

la liturgia eucaristica alla quale partecipiamo con intenso affetto spirituale rivolto verso la Madre di Cristo, venerata in questa basilica-santuario come la Vergine Bruna di Canneto, dà inizio al percorso mariano del mese di maggio che Papa Francesco ha voluto dedicare, soprattutto con la recita quotidiana del Rosario, ad una insistente preghiera per chiedere la cessazione del flagello pandemico. Accanto alla presenza spirituale di Maria, vogliamo accarezzare la testimonianza di fede di san Giuseppe, custode della Famiglia di Nazareth e di ogni famiglia. Al suo patrocinio la Chiesa universale ha affidato la sua missione di salvezza.

Oggi portiamo davanti alla Madonna di Canneto anche la conclusione del pellegrinaggio pastorale della Visita svolta nella vasta e variegata geografia ecclesiale e civile della nostra Diocesi. Sia Maria, immagine e madre della Chiesa, ad affidare al cuore di Cristo, Pastore buono e bello, quanto è stato compiuto, anche quanto non siamo riusciti a svolgere secondo le sue attese. Una buona parte della Visita pastorale si è articolata in concomitanza con la diffusione del contagio epidemico. Un bel problema, questo, che ha richiesto particolari accortezze, discontinuità nel ritmo, ri-programmazioni ricorrenti, rimodulazione delle attività; ma tutto ciò ha rappresentato anche un’opportunità, una provocazione, una sfida pastorale, un discernimento più incarnato, che è necessario tenere in esercizio per il prossimo futuro allo scopo di un’inderogabile rigenerazione pastorale. Sono grato ai presbiteri e ai loro collaboratori laici. Un particolare ringraziamento lo rivolgo al Vicario Generale (mons. Alessandro Recchia), agli otto Vicari Convisitatori delle parrocchie (don Silvano Casciotti, don Ruggero Martini, don Emanuele Secondi, don Antonio Di Lorenzo, don Giandomenico Valente, don Nello Crescenzi, don Remo Marandola, don Mimmo Simeone), al Convisitatore per le Confraternite (don Antonio Molle), al Segretario Generale della Visita pastorale (don Mimmo Simeone), e al Segretario-Accompagnatore (don Maurizio Marchione), che con fedeltà e competenza ha curato e condiviso con il Vescovo tutti i momenti e i dettagli della Visita pastorale.

Nel percorso durato quasi due anni abbiamo vissuto “un tempo di speciale consolazione” (Preghiera per la Visita pastorale), perché Dio ha “visitato e redento il suo popolo” (Lc 1,68): ha bussato ed è entrato dalla porta principale del cuore nella vita reale di ogni comunità. Come già nella storia di Giuseppe e di Maria, i quali hanno riconosciuto il Mistero, e hanno aperto il cuore tra fiducia e trepidazione, hanno accolto la Parola tra ascolto e obbedienza. Non senza il loro consenso Dio ha portato a compimento il suo progetto. Grazie all’esperienza di Giuseppe e Maria rileggiamo la Visita pastorale guidati da tre parole essenziali: il sogno, il turbamento, la missione.

La prima parola è il sogno. Non c’è futuro senza sogni. Anche per le nostre parrocchie. Maria e Giuseppe sognavano alla grande: desideravano, come era giusto che fosse, un futuro felice, una bella famiglia, dei figli, una discendenza numerosa che fosse segno sicuro di benedizione divina. I sogni più belli si fanno ad occhi aperti: i due fidanzati accarezzavano ormai da vicino quanto da tempo avevano desiderato. Pensavano anche loro: “Andrà tutto bene!”. In effetti, tutto andava per il verso giusto; nel villaggio godevano della stima di tutti e tutti, come si usava di solito, avrebbero preso parte alla festa del loro matrimonio. Ma un elemento di rottura sorprende Giuseppe: lui non sa spiegarsi come può essere successo, mentre Maria non sa come dirglielo, perché “prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo” (Mt 1,18). Il Signore sembra rovinare i progetti di Giuseppe e di Maria, mentre li voleva esaltare all’inverosimile. Voleva valorizzare, non dirottare i loro sogni. Dio chiede loro di continuare a sognare ma non senza di lui, perché si compisse il suo progetto non senza di loro. Mi sembra un aspetto essenziale anche per noi tutti: una Chiesa che sogna con Dio impara a “sognare una Chiesa” secondo Dio. I sogni della nostra Chiesa devono sposare i sogni di Dio sulla nostra Chiesa. Diversamente, rischiamo la deriva di comunità impegnate in azioni mondane, invece di obbedire alla missione che Cristo Signore ha voluto affidare ai pastori e ai battezzati. Mi sembra questa la prima grande lezione che oggi ci consegnano Giuseppe e Maria. La Visita di Gesù attraverso il ministero del Vescovo ha in qualche modo avviato un discernimento pastorale su quanto il Signore richiede dai suoi discepoli in questo momento storico. Il Signore ci chiede di sognare con Lui non il futuro della nostra Chiesa diocesana, ma la Chiesa del futuro.  Come sarà da qui ai prossimi decenni la nostra Diocesi, le nostre parrocchie, le nostre famiglie? Come il Signore sogna la nostra Chiesa nel prossimo futuro? Non è forse vero che il Signore, così come nella vita di Giuseppe e Maria, stia già chiedendo qualcosa di diverso, qualcosa di più, qualcosa di più grande?

La seconda parola è il turbamento. L’adeguamento dei nostri passi ai progetti del Signore è un processo decisionale che, se da una parte destabilizza, dall’altra vuole aprire proprio nel deserto, luogo inospitale, strade nuove, inattese (Is 43,16-21). Sognare è trovarsi davanti all’impossibile di Dio: per questo Giuseppe e Maria manifestano il loro turbamento profondo. I loro tumultuosi pensieri rischiano di gettarli nella confusione e nel panico, nella depressione di fronte all’opinione pubblica. Giuseppe è spaventato, Maria è sconvolta: “Ella fu molto turbata …Come avverrà questo?” (Lc 1, 29.34). Le pretese di Dio chiedono di guardare molto lontano. Così rinasce una storia diversa. Nel turbamento di Giuseppe e Maria vediamo la Chiesa impegnata a compiere il proprio difficile cammino in un mondo ormai decisamente diverso, cambiato, indifferente, e a volte ostile. Il termine originale greco tradotto con fu molto turbata è davvero forte. Esprime un vero sconvolgimento interiore. È lo stesso sconvolgimento che inquieta Erode davanti ai Magi, perché si rende conto che sta accadendo qualcosa di nuovo, qualcosa che mette a soqquadro i suoi progetti, fino a farli vacillare.  (cf Mt 2,3).  Il turbamento riguarda anche Zaccaria nel tempio di Gerusalemme: “Apparve a lui un angelo del Signore, ritto alla destra dell’altare dell’incenso. Quando lo vide, Zaccaria si turbò e fu preso da timore (Lc 1, 11-12). Scopre che Dio sta sconvolgendo le sue abitudini consolidate, tranquille, di vecchio. Un altro episodio tipico lo troviamo in Mt 14,26: i discepoli sono turbati nel vedere Gesù che cammina sulle acque. Maria comincia a comprendere che essere raggiunti dalla rivelazione di ciò che Dio s’aspetta da Lei è molto pericoloso, perché cambia la sorte di chi vi è raggiunto, come la sorte dei profeti. Lasciamo, cari amici, che le nostre comunità così pie e quiete nei loro ritmi ripetitivi, schemi pastorali quasi scontati per non dire obsoleti, siano raggiunte da Dio che entra con parole nuove. La nostra è una Chiesa “turbata”? È disposta a cambiare? Maria e Giuseppe avevano una loro linea di comportamento, le loro scelte; l’ascolto di Dio fa cambiare idea, anche se inizialmente fanno fatica a capire come e verso quale futuro andare. Una Chiesa che non si lascia turbare è una Chiesa che non sa più ascoltare.

La terza parola è il servizio. “Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore” (Mt 1,24); Maria ha deciso: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38). In entrambi, riconosciamo la scaturigine di tutto ciò che accadrà in seguito. L’uno e l’altra offrono con coraggio un atto di affidamento totale per un progetto la cui portata è di gran lunga superiore a quanto possono aver intuito. In questo c’è la vita di una Chiesa che non si chiude a catenaccio sulla difensiva, per non perdere le illusorie posizioni acquisite, ma una Chiesa consapevole di essere “serva”, in uscita, per ravvivare nel cuore dell’uomo contemporaneo l’invocazione a lungo soffocata: “Mostraci il Padre e ci basta”. Non è un salto nel buio, ma un affidamento alla luce di Cristo Risorto che risplende sul volto della Chiesa, chiamata ad entrare gioiosamente nella missione che le è consegnata: “Riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra” (At 1,8).

Cari amici, la nostra assemblea orante consegna le speranze della Visita pastorale al “padrone della messe” (cf Lc 10,2) perché ci aiuti a farle fruttificare non al modo di un bonus facciata ma di un radicale annuncio del Vangelo di speranza in un tempo di rinascita. La liturgia che stiamo celebrando vuole ratificare lietamente e serenamente quello che il Signore ci ha riconsegnato nel testo odierno di Atti 13,47: “Io ti ho posto per essere luce delle genti, perché tu porti la salvezza sino all’estremità della terra” … In fines terrae.

 

+ Gerardo Antonazzo