MENDICANTI DELLA VERITA’
Omelia per la festa di S. Tommaso
Roccasecca-Aquino, 7 marzo 2022
San Paolo VI nel discorso tenuto a Fossanova il 14 settembre 1974, in occasione del settimo centenario della morte di san Tommaso, si domandava: “Maestro Tommaso, quale lezione ci puoi dare?”. E rispondeva così: “La fiducia nella verità del pensiero religioso cattolico, quale da lui fu difeso, esposto, aperto alla capacità conoscitiva della mente umana”. La sera dello stesso giorno ad Aquino affermava: “Se non siete fedeli voi agli insegnamenti e all’eredità di sapienza, di studio e di comprensione della Rivelazione di Dio di cui il maestro Tommaso è stato testimone e diffusore, chi lo deve essere? Se non siete voi i primi discepoli di san Tommaso d’Aquino, gli altri, che possono dire?” (Paolo VI ad Aquino, 14 settembre 1974).
Carissimi amici,
è motivo di profonda commozione spirituale, di intensa gioia pastorale, quasi privilegio per me, presiedere la celebrazione liturgica nella festa di San Tommaso nelle comunità parrocchiali di Roccasecca e di Aquino. La Parola del Vangelo, a scanso di equivoci e di trappole farisaiche, orienta e illumina il nostro discepolato nella giusta direzione: “Non fatevi chiamare «rabbì», perché uno solo è il vostro Maestro; non fatevi chiamare «guide», perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo” (Mt 23, 8.10). Gesù si auto-rivela: “Io Sono la via, la verità e la vita”: è Lui che anche noi desideriamo incontrare e conoscere, cercatori e mendicanti di verità. San Tommaso sintetizza in modo molto bello il significato delle parole di Gesù: “Via secondo l’umanità, meta secondo la divinità. Dunque, in quanto uomo, dice: Io sono la via; in quanto Dio aggiunge: la verità e la vita” (Esposizione su Giovanni 14, 2). In un episodio tramandato dai biografi si legge che il maestro Tommaso era in preghiera davanti al Crocifisso, al mattino presto nella Cappella di San Nicola a Napoli. Domenico da Caserta, il sacrestano della chiesa, sentì svolgersi un dialogo. Tommaso chiedeva, preoccupato, se quanto aveva scritto sui misteri della fede cristiana era giusto. E il Crocifisso rispose: “Tu hai parlato bene di me, Tommaso. Quale sarà la tua ricompensa?”. E la risposta che Tommaso diede è quella che anche noi, amici e discepoli di Gesù, vorremmo fare anche nostra: “Nient’altro che Te, Signore!”.
Luce della ragione e ragioni della fede
Tommaso studia teologia a Parigi sotto la guida di un altro grande maestro e santo, Alberto Magno. In quel periodo, la cultura del mondo latino era stata profondamente stimolata dall’incontro con le opere di Aristotele, rimaste ignote per molto tempo. Si trattava di scritti sulla natura della conoscenza, sulle scienze naturali, sulla metafisica, sull’anima e sull’etica, testi ricchi di informazioni e di intuizioni che apparivano valide e convincenti. Si trattava di una visione del mondo sviluppata senza e prima di Cristo, con la pura ragione: era un incredibile fascino per i giovani vedere e conoscere questa filosofia. Tommaso studiò a fondo Aristotele e i suoi interpreti, e commentò gran parte delle opere aristoteliche, distinguendovi ciò che era valido da ciò che era dubbio, oppure da rifiutare del tutto rispetto ai dati della Rivelazione cristiana. Tommaso vive l’inquietudine e la sete insaziabile di verità da qualunque parte provenga. Tommaso insegna come anche gli interrogativi critici, i dubbi e le crisi di fede possono imprimere preziosi impulsi sulla ricerca della verità. Perciò si è adoperato per coltivare, comprendere ed esprimere la fede cristiana in maniera nuova grazie alla cultura del dialogo con la verità della filosofia antica, portatrice di “semina Verbi”, germogli di verità (lògoi spermatikòi). In tempi molto più recenti tale apertura al dialogo con la cultura è stata riconosciuta dal Concilio Vaticano II, a partire dalla dottrina di Giustino (I Apologia, XLVI, 1-5). La riflessione teologica di Tommaso diventa un re-legere, una rilettura, una nuova lettura, un nuovo ripensamento, una nuova ermeneutica. Lo Spirito di Dio illumina la ragione dell’uomo e può agire anche nella forma di “intuizioni”, coltivate nel profondo del proprio mondo interiore. Tale prospettiva è preziosa perché apre delle finestre importanti riguardo alla “fede dei non credenti”. L’espressione si pone come un ossimoro, lo so bene. Ma serve per riconoscere le possibilità di una “fede intuitiva” in persone lontane dalla Chiesa o dalla conoscenza esplicita della verità biblica. Questo metodo è utile anche oggi per ripristinare un dialogo possibile con la cultura post-moderna, e aprire le porte della fede. San Tommaso era fermamente convinto che la filosofia elaborata senza conoscenza di Cristo quasi aspettava la luce di Gesù per essere completa. Tommaso si è dimostrato un pensatore aperto al dialogo con la cultura filosofica del suo tempo.
La sublimità della fede
Il pensiero di san Tommaso ha coniugato bene il dialogo tra ragione e fede: intelligo ut credam (ragiono per credere) e credo ut intelligam (credo per ragionare). L’insegnamento della Chiesa ha sempre messo in guardia dal rischio di una doppia deriva: quella del razionalismo e quella del fideismo. Il primo è il concepire la ragione senza la fede, il secondo la fede senza la ragione. Due errori diametralmente opposti, eppure dalle conseguenze ugualmente gravi. La ragione è certamente importante, ma resta consapevole dei suoi limiti per meglio aprirsi al Mistero: questa è la vera razionalità. Se la ragione senza la fede pecca di razionalismo, la fede senza la ragione scade nel fideismo. Il razionalismo pretende di indicare la ragione come unico strumento di conoscenza della verità, mentre il fideismo pretende che la fede sia unico strumento di conoscenza. San Tommaso d’Aquino dimostra che tra fede cristiana e ragione naturale sussiste una profonda armonia. E questa è stata la grande genialità di Tommaso: “In quel momento di scontro tra due culture, momento nel quale sembrava che la fede dovesse arrendersi davanti alla ragione, ha mostrato che esse vanno insieme, che quanto appariva ragione non compatibile con la fede non era ragione, e quanto appariva fede non era fede, in quanto opposta alla vera razionalità; così egli ha creato una nuova sintesi, che ha formato la cultura dei secoli seguenti” (Benedetto XVI, 2 giugno 2010). Non è soltanto la fede che aiuta la ragione. Anche la ragione, con i suoi mezzi, può fare qualcosa di importante per la fede.
Il primato della contemplazione
Tommaso è stato un uomo di Dio, profondamente immerso nella contemplazione di Dio: mistero meditato, contemplato, amato con tutte le proprie forze ed energie intellettuali, spirituali e morali. Tommaso ha ricercato innanzitutto la santità. “I santi sono uomini e donne belli e felici, che irradiano una lucente gioia di vivere. Caratteristica del santo è la gioia più ancora della bontà; i santi sono belli ancor più che buoni; sono gioiosi più che devoti; uomini e donne delle beatitudini, annuncio che Dio regala gioia a chi produce amore (E. Ronchi). La profondità del pensiero di san Tommaso d’Aquino sgorga dalla sua fede viva e dalla sua pietà fervorosa, che esprimeva in preghiere ispirate, come quella in cui chiede a Dio: “Concedimi, ti prego, una volontà che ti cerchi, una sapienza che ti trovi, una vita che ti piaccia, una perseveranza che ti attenda con fiducia e una fiducia che alla fine giunga a possederti”. Nella grazia dei Sacramenti Tommaso riconosce il Verbo divino che estende i benefici della sua Incarnazione per offrire all’uomo la possibilità della salvezza lungo il cammino verso l’eternità beata. San Tommaso si sofferma in modo particolare sul Mistero dell’Eucaristia, per il quale ebbe una grandissima devozione, al punto che, secondo gli antichi biografi, era solito accostare il suo capo al Tabernacolo, come per sentire palpitare il Cuore divino e umano di Gesù. Tommaso ci aiuta a capire l’eccellenza del sacramento dell’Eucaristia, quando scrive: “Essendo l’Eucaristia il sacramento della Passione di nostro Signore, contiene in sé Gesù Cristo che patì per noi. Pertanto tutto ciò che è effetto della Passione di nostro Signore, è anche effetto di questo sacramento, non essendo esso altro che l’applicazione in noi della Passione del Signore” (In Ioannem 6, lect. 6, n. 963). Comprendiamo bene perché san Tommaso e altri santi abbiano celebrato la Santa Messa versando lacrime di compassione per il Signore che si offre in sacrificio per noi, lacrime di gioia e di gratitudine. “Alla scuola dei santi, innamoriamoci di questo Sacramento! Partecipiamo alla Santa Messa con raccoglimento, per ottenerne i frutti spirituali, nutriamoci del Corpo e del Sangue del Signore, per essere incessantemente alimentati dalla Grazia divina! Intratteniamoci volentieri e frequentemente, a tu per tu, in compagnia del Santissimo Sacramento!” (Benedetto XVI, 23 giugno 2010). Le composizioni poetiche dedicate da san Tommaso d’Aquino al mistero eucaristico emanano lo splendore della verità. La precisione teologica si unisce mirabilmente alla pietà e allo stupore ammirato e contemplativo. Il mistero irraggia dall’esperienza del credente divenuto poeta; la teologia ineccepibile si riveste della bellezza e dell’emozione della lirica. La fides – direbbe sant’Ambrogio – si fa canora. Tutta una poesia biblica si diffonde dall’innumerevole serie di antifone e responsori, che a sua volta la musica e il canto liturgico hanno concorso a esaltare e a rendere ancora più appassionata e contemplativa. In Tommaso si è compiuta la supplica riportata nella Prima lettura odierna: “Mi conceda Dio di parlare con intelligenza e di riflettere in modo degno dei doni ricevuti, perché egli stesso è la guida della sapienza e dirige i sapienti” (Sap 7,15-16).
Maria, triclinio della Trinità
San Tommaso è stato un grande devoto della Madonna. Riprendendo una definizione di Ildefonso da Toledo il quale dichiara Maria “Triclinium totius Trinitatis”, nel Commento all’Ave Maria scrive san Tommaso: “Un’intimità col creatore più profonda di qualunque altra, cui possa aspirare una creatura: sono in lei Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spirito Santo, l’indivisa Trinità; per questo si canta della Vergine: O nobile triclinio della Trinità”. Mediante questa immagine splendida e ardita, la Madonna è messa in relazione con la Trinità e viene descritta come la tavola elegante attorno a cui il Padre, il Figlio e lo Spirito esprimono la loro convivialità. Per associazione di immagini, la nostra fantasia corre alla celebre icona di Rublév. Al centro della scena, una mensa, che raduna insieme le tre persone, in solidarietà di vita e in comunione di opere. A motivo dell’Incarnazione in nessuna creatura, se non in Maria di Nazareth, le tre divine Persone inabitano e provano delizia e gioia a vivere nella sua anima piena di Grazia. Tommaso aiuti anche noi ad invocare Maria con la sua preghiera: “O beatissima e dolcissima Vergine Maria, Madre di Dio…, io affido al tuo cuore misericordioso tutta la mia vita… Ottienimi, o mia dolcissima Signora, carità vera, con la quale possa amare con tutto il cuore il tuo santissimo Figlio e te, dopo di lui, sopra tutte le cose, e il prossimo in Dio e per Dio”.
+ Gerardo Antonazzo
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