Consacrati nella verità
Omelia per la Messa Crismale
Cassino-Chiesa Concattedrale, 13 aprile 2022
La missione del Messia, il consacrato dallo Spirito (Is 61,1-3), si compie nell’Oggi della sua costante presenza salvifica. Alla vigilia della sua passione Gesù parla ancora di consacrazione. Dire Oggi è dire Sempre. Alla vigilia della sua passione Gesù parla ancora di missione e di consacrazione, per sé e per noi. Nell’intimità del Cenacolo prega il Padre per la consacrazione dei suoi discepoli: “Consacrali nella verità. La tua parola è verità; per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità” (Gv 17, 17-19).
Cari presbiteri,
Gesù è in preghiera soprattutto per noi, possiamo anche immaginare perché. Siamo sostenuti dalle sue parole, custoditi nel suo cuore, santificati dalla sua preghiera, consacrati dalla sua Parola, partecipi della missione messianica, testimoni della sovranità del suo amore. Il Signore ci ha fatto grazia con la Preghiera di ordinazione e mediante l’imposizione delle mani da parte del Vescovo. Alla sua fedeltà abbiamo consegnato le parole delle nostre promesse sacerdotali, la scelta celibataria del cuore e l’obbedienza alla Chiesa attraverso un rapporto di filiale rispetto con il Vescovo. Afferma il Papa: “L’obbedienza non è un attributo disciplinare ma la caratteristica più forte dei legami che ci uniscono in comunione … L’obbedienza quindi è l’ascolto della volontà di Dio che si discerne proprio in un legame … Questa logica … consente di rompere ogni tentazione di chiusura, di autogiustificazione e di fare una vita “da scapolo”, o da “scapolone” (17 febbraio 2022). Ora, nel contesto del cammino sinodale desidero meditare con voi sulla bellezza di una triplice nostra consacrazione nella verità.
Consacrati nella verità dell’unico fonte – Unti dall’appartenenza
Non si può essere preti senza vivere da battezzati, con i battezzati e al servizio dei battezzati. Il Battesimo è l’unzione della nostra appartenenza al Popolo di Dio. Leggiamo nella Lettera ai sacerdoti inviata dalla Segreteria del Sinodo dei Vescovi; “Se si sottolineano tanto il sacerdozio comune dei battezzati e il sensus fidei del Popolo di Dio, cosa sarà del nostro ruolo di guida e della nostra specifica identità di ministri ordinati? Si tratta, senza dubbio, di scoprire sempre più l’uguaglianza fondamentale di tutti i battezzati e di stimolare tutti i fedeli a partecipare attivamente al cammino e alla missione della Chiesa. Avremo così la gioia di trovarci a fianco fratelli e sorelle che condividono con noi la responsabilità per l’evangelizzazione. Ma in questa esperienza di Popolo di Dio potrà e dovrà venire in rilievo in modo nuovo anche il peculiare carisma dei ministri ordinati di servire, santificare e animare il Popolo di Dio”.
Cari presbiteri, sorelle e fratelli tutti,
se la fraternità universale ci umanizza, la fraternità battesimale ci santifica e ci edifica come Corpo mistico di Cristo. La scaturigine della sinodalità ecclesiale è tutta nella comune partecipazione alla grazia battesimale: “Tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito … Ora voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra” (1Cor 12, 13.27). Radicati nella vita del Popolo di Dio – laici, presbiteri, diaconi e consacrati – condividiamo l’unzione dell’unica appartenenza, tutti partecipi della comune consacrazione battesimale, per vivere da “testimoni nel mondo della sua opera di salvezza” (Coletta). L’appartenenza è a Cristo, anche quando come battezzati aderiamo a qualunque aggregazione laicale presente nella missione della Chiesa. Come presbiteri non dobbiamo mai snaturare e sciupare la bellezza dell’appartenenza originaria, rivitalizzando costantemente il riferimento alla vita del Popolo di Dio. Dobbiamo abbattere, almeno mentalmente, le separazioni, le distanze, le gerarchie sacrali, ma non certamente sacre, forse sacrileghe, che penalizzano la pari dignità e la reale comunione battesimale. Non si tratta di populismo o di democraticismo a buon mercato, ma di rispetto per il battesimo di ognuno, grazie al quale tutti condividiamo la pari dignità. Anche oggi, e non di rado, prevale quasi inconsciamente una visione piramidale della comunità cristiana. E questo crea dipendenza, sudditanza, sottomissione; non certo comunione, partecipazione e missione. Ci potrebbe persino assalire la tentazione di pensare: “Possiamo fare tutti i sinodi che vogliamo, ma alla fine chi decide sono io!”. Prima di essere prete ognuno è innanzitutto un uomo salvato per grazia. La vita di un sacerdote è anzitutto storia di salvezza di un battezzato. “Il sacerdote, come la Chiesa, deve crescere nella coscienza del suo permanente bisogno di essere evangelizzato” (Giovanni Paolo II, Pastores dabo vobis, 26). Papa Francesco mette in guardia da una tentazione che accarezza la superbia e disgrega la fraternità battesimale: “Noi dimentichiamo a volte il Battesimo, e il sacerdote diventa una funzione: il funzionalismo, e questo è pericoloso. Non dobbiamo mai dimenticare che ogni vocazione specifica, compresa quella all’Ordine, è compimento del Battesimo. È sempre una grande tentazione vivere un sacerdozio senza Battesimo – e ce ne sono, sacerdoti “senza Battesimo” –, senza cioè la memoria che la nostra prima chiamata è alla santità” (Discorso, 17 febbraio 2022). La nostra vocazione riguarda la chiamata alla fede e richiede prima di tutto una risposta a Colui che ci ha amato per primo (cfr 1 Gv 4,19). Così continua il Santo Padre: “Un giorno il Signore ci ha trovato lì dove eravamo e come eravamo, in ambienti contraddittori o con situazioni familiari complesse. … Ma questo non lo ha distolto dalla volontà di scrivere, per mezzo di ognuno di noi, la storia della salvezza… Ognuno, guardando la propria umanità, la propria storia, la propria indole, non deve chiedersi se una scelta vocazionale è conveniente o meno, ma se in coscienza quella vocazione dischiude in lui quel potenziale di Amore che abbiamo ricevuto nel giorno del nostro Battesimo”. Noi preti siamo innanzitutto dei salvati, e sempre bisognosi di salvezza. E’ ciò che davvero conta!
Consacrati nella verità della preghiera – Unti dal popolo
Nel momento della sua elezione a Vescovo di Roma, Francesco ha chiesto umilmente e fiduciosamente di essere “unto” dalla preghiera del popolo: “Prima vi chiedo un favore: prima che il Vescovo benedica il popolo, vi chiedo che voi pregate il Signore perché mi benedica. La preghiera del popolo che chiede la benedizione per il suo vescovo. Facciamo in silenzio questa preghiera di voi su di me” (13 marzo 2013). Il Papa chiede sempre di pregare per lui. Perché tale insistenza? Potrebbe sembrare quasi pleonastica, stucchevole, formale. Invece è indispensabile anche per il ministero presbiterale, il quale si rinvigorisce di una rinnovata unzione dello Spirito attraverso la preghiera costante del Popolo di Dio. Tra poco la liturgia inviterà questa santa assemblea a pregare: “E ora, figli carissimi, pregate per i vostri sacerdoti: che il Signore effonda su di loro l’abbondanza dei suoi doni, perché siano fedeli ministri di Cristo”. La preghiera del popolo di Dio è unzione dello Spirito Santo su di noi per comprendere meglio le attese, le ispirazioni e le aspirazioni del gregge a noi affidato. Lo Spirito Santo riversa santità dappertutto nel santo popolo fedele di Dio, perché “Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse secondo la verità e lo servisse nella santità” (Lumen Gentium 9). Se il presbitero vive davvero al servizio del Popolo di Dio, la preghiera del popolo di Dio effonde lo Spirito, dona forza e consolazione, fortifica la nostra resilienza spirituale di fronte alle prove e alle tentazioni.
Consacrati nella verità dell’ascolto – Unti dalle parole
Cari presbiteri, il balsamo dell’amicizia espande il suo profumo attraverso un ascolto rispettoso, discreto, premuroso e attento tra presbiteri. L’ascolto fraterno è la terza unzione attraverso la quale lo Spirito continua ad assistere la nostra azione ministeriale. L’ascolto non è il chiacchiericcio sulle banalità più frivole e stravaganti. Potrebbe emergere anche tra presbiteri un senso di rispetto umano, quasi disagio, se non proprio vergogna, nell’ascoltarci in profondità. La carità dell’ascolto, non è la cortesia delle buone maniere, del rispetto reciproco, della buona educazione, che pure non possiamo dare per scontato. La carità dell’ascolto tra presbiteri celebra una vicinanza confortatrice che può guarire solitudini, angosce, disappunti, scontentezze, malumori, incomprensioni. L’ascolto è unzione dello Spirito e diffonde il profumo di una fraterna accoglienza scevra da ogni pregiudizio o pettegolezzo. L’ascolto, quanto la preghiera, è l’anima di una sinodalità meno chiacchierata e meglio vissuta anche all’interno del collegio presbiterale. Lo esige il sacramento dell’Ordine che ci costituisce nell’unità di un solo presbiterio. E’ la sinodalità dell’amicizia spirituale, non mondana. La sinodalità delle proprie biografie, fragili e benedette da Dio che ci ha chiamati, può abbattere il muro di ogni pregiudizio o settarismi elitari. E’ la sinodalità della solidarietà nella stagione delle difficoltà, delle fatiche e delle mortificazioni. E’ l’ascolto della gioia condivisa, senza gelosie. San Paolo usa volentieri i verbi con-laborare (Fil 1,27; 4,3), con-soffrire (1Cor 12,26), con-gioire (Fil 2,17), con-riposare (Rm 15,32), con-vivere (2Cor 7,3), ecc. L’Apostolo crea neologismi in greco per accentuare questa dimensione comunionale che deve divenire pratica quotidiana. Si tratta di reciprocità: pregare gli uni per gli altri (Gc 5,16), di perdonarsi gli uni gli altri (Ef 4,32), di correggersi gli uni gli altri (Rm 15,14), di consolarsi a vicenda (1Ts 4,18; 5,11), di sopportarsi gli uni gli altri (Col 3,13), di accogliersi gli uni gli altri (Rm 15,7), in una parola, di amarsi gli uni gli altri (cf. Gv 13,34). Il vescovo ha il dovere pastorale di promuovere con il suo esempio la fraternità dell’ascolto tra presbiteri. La comunità ecclesiale gioisce nel vedere i presbiteri costituire insieme al loro vescovo un unico presbiterio affratellato da sentimenti di reciproca stima. Se il vescovo è chiamato ad assumere e ad esercitare una concreta paternità nei confronti dei suoi preti, disponibile all’incontro e all’ascolto paterno e paziente, interessandosi della loro vita, della loro salute, delle condizioni in cui vivono, anche i presbiteri sono chiamati ad entrare con il loro vescovo in un rapporto leale, onesto, schietto, rispettoso, collaborativo. Un rapporto non di adulazione, ma di rispetto e anche di parresía, perché onestamente coraggiosi, soprattutto perché liberi e fedeli in Cristo.
In preghiera con il mio presbiterio
Signore del tempo e della storia,
Messia dell’Oggi e del Per sempre
consacraci nella verità della tua Parola
e smaschera le nostre disobbedienze.
Nel cenacolo dei tuoi affetti più cari
parla al nostro cuore, ungilo ancora
con il crisma della tua struggente amicizia.
Rigenera in noi la fedeltà di un cuore verginale
per amare con amplessi di sapore nuziale,
e rendere più credibile la Chiesa, tua Sposa.
Accresci in noi presbiteri la gioia di essere salvati,
piega l’orgoglio con l’umiltà del pentimento.
Rinnovaci nel lavacro della misericordia,
per rinascere nella potenza del tuo perdono
e condividere la nostra fraternità guarita.
Rinnova Oggi la freschezza del nostro Eccomi,
per celebrare in tua memoria e insieme a te
l’offerta incondizionata della nostra vita.
Uniti a Maria nel cenacolo dell’attesa
consacraci con il soffio del tuo Spirito creatore
e rendi fecondo il grembo del nostro ministero.
Amen.
+ Gerardo Antonazzo
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