Nostra Pasqua e nostra pace
Omelia per la solennità di Pasqua
17 aprile 2022
L’opera grande che Gesù Cristo ha realizzato con la sua Pasqua di morte e risurrezione è la pace. Vengono subito in mente le parole del vangelo di Giovanni quando Gesù risorto si presenta ai discepoli il mattino di Pasqua dicendo semplicemente: “Pace a voi!” (Gv 20). Il Signore intende la sua pace come diversa da quella umana, quella del mondo, quando dice: “Vi lascio la pace, vi dò la mia pace. Non come la dà il mondo, io la dò a voi” (Gv 14,27).
Di piaghe si può guarire
Quale differenza, dunque, con la pace del mondo? La pace donata da Gesù non è il risultato di un compromesso tra interessi contrastanti; non è il patto per un accordo tra due parti consenzienti; è l’offerta unilaterale della pace. Un dono che scaturisce da una decisione di parte, da parte di Dio a favore dell’uomo. Quella di Gesù è un’altra pace, diversa da quella mondana: non è la pace degli accordi umani che nascondono sempre il tanfo degli interessi di parte che prima o poi faranno esplodere gli stessi accordi. Così prega il salmista: “Parlano di pace al loro prossimo, ma hanno la malizia nel cuore” (Sal 28,3). Ancora molto di più: un dono fatto nei confronti di chi si è posto in una posizione dichiaratamente avversa, di chi si è posto come nemico dell’amore divino. Un dono pagato a proprio svantaggio, a prezzo del sacrificio più alto, quello della propria vita; questa pace è fondata sulla salda roccia della riconciliazione e del perdono: “Nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi. Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Rm 5,6-8). Solo l’amore straordinario dell’Uomo-Dio crocifisso poteva meritare il grande dono della pace. Noi siamo vivi grazie alla piaghe del Signore risorto: “Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti” (1Pt 2,24). Come si può guarire con le ferite di un altro? Gesù non guarisce grazie alle sue ferite fisiche, ma con la potenza dell’amore che quelle ferite sprigionano sulle piaghe del nostro egoismo, risanandone il veleno che genera guerre e ostilità. La vera pace di Cristo è riconciliazione e amore, viene dalla sua Croce e genera una nuova umanità. La pace della Pasqua è il dono che scaturisce dalla Croce con la quale Cristo ci ha riconciliati con il Padre e tra di noi.
Roba da vergognarsi
Non possiamo non sentire una grande nostalgia di questa pace. Ma anche un bel po’ di vergogna pensando a tutti i muri di divisione, di esclusione, di inimicizia che, anche in termini materiali, continuamente vengono edificati per esaltare le antipatie e le separazioni, anche da parte di nazioni di tradizione cristiana. Che scandalo! Il Signore dona quella fraternità che si fonda sui rapporti riconciliati nel suo sangue, capace di cancellare ogni estraneità e avversione. “La tragedia della guerra che si sta consumando nel cuore dell’Europa ci lascia attoniti; mai avremmo pensato di rivedere simili scene che ricordano i grandi conflitti bellici del secolo scorso. Il grido straziante d’aiuto dei nostri fratelli ucraini ci spinge come comunità di credenti non solo a una seria riflessione, ma a piangere con loro e a darci da fare per loro; a condividere l’angoscia di un popolo ferito nella sua identità, nella sua storia e tradizione. Il sangue e le lacrime dei bambini, le sofferenze di donne e uomini che stanno difendendo la propria terra o scappando dalle bombe scuotono la nostra coscienza. Ancora una volta l’umanità è minacciata da un abuso perverso del potere e degli interessi di parte, che condanna la gente indifesa a subire ogni forma di brutale violenza” (Papa Francesco, 18 marzo 2022). Nelle piaghe del Risorto riconosciamo le gravi e dolorose ferite delle nostre divisioni, inimicizie, conflitti interiori ed esteriori. Egli è la nostra pace perché è diventato per noi “sapienza per opera di Dio, giustizia, santificazione e redenzione” (1Cor 1,30). Non dobbiamo rendere vana la croce di Cristo con le nostre divisioni, lotte e lacerazioni (cfr 1Cor 1,17).
Passare dalla morte alla vita
Fare Pasqua è lasciarsi riconciliare con Dio, Padre misericordioso. L’ostinazione che ci rende prigionieri del nostro stesso rancore può rendere inutile per molti la sofferenza e le atrocità sofferte da Cristo crocifisso e risorto. La sua morte sarà inutile per chi rifiuta di unirsi alla sua Pasqua. Nella sua morte violenta riconosciamo la testimonianza del suo amore supremo, perché “non c’è amore più grande di questo: dare la vita per la persona amata” (cfr Gv 15,13); mentre, nella sua risurrezione è attestata la verità della sua divinità. Fare Pasqua è passare dall’odio al perdono. Questo “passaggio” non è un banale “trasloco”, ma una radicale trasformazione resa possibile dalla potenza del Risorto. Si compiono le promesse antiche: “Io vi purificherò da tutte le vostre impurità e da tutti i vostri idoli, vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere (cfr Ez 36,25-27). Non si tratta di un processo provvisorio, ma definitivo: cambia la natura umana! Ciò che non era possibile né pensabile, Dio lo ha compiuto con la Pasqua di Cristo. Gesù insegnava che nessuno mette vino nuovo in otri nuovi (cfr Mt 9,17): Dio non versa il vino nuovo del suo Amore nell’otre vecchio del cuore umano ancora sottoposto all’iniqua schiavitù e sudditanza del peccato. Si tratta di un vero esodo pasquale: ciò significa emigrare dall’Egitto del peccato, “passare dal peccato alla vita, dalla colpa alla grazia, dalla macchia alla santità” (Ambrogio, Sui sacramenti, I, 4, 12). Il vero esodo pasquale è rompere definitivamente con il peccato. Si tratta di dire “basta!” al peccato, oppure, come afferma l’Apostolo, bisogna “considerarsi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù. Il peccato dunque non regni più nel vostro corpo mortale, così da sottomettervi ai suoi desideri” (Rm 6,11-12). Fare Pasqua è riconciliarsi: non potremmo desiderarlo per noi stessi, senza riconciliarci con Colui che è la nostra pace, Cristo Signore. E’ riconciliarsi con il prossimo, è fare pace con tutti, per vivere in pace con Dio e con se stessi. Se il nostro esodo pasquale è un’esperienza di liberazione in cui ci è offerta la possibilità di chiudere definitivamente con il “corpo del peccato” (Rm 6,6) allora tutta la vita diventa una festa al canto dell’Alleluja: “Voglio cantare al Signore, perché ha mirabilmente trionfato” (Es 15,1).
+ Gerardo Antonazzo
Per leggere e scaricare l’omelia, clicca qui.