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Omelie Vescovo Gerardo Antonazzo

“Peccatori, non corrotti” – Omelia per il Precetto Pasquale in Tribunale (Cassino-Aula della Corte d’Assise, 5 aprile 2023)

PECCATORI, NON CORROTTI*

Omelia per il Precetto Pasquale in Tribunale
Cassino-Aula della Corte d’Assise, 5 aprile 2023

 

Cari amici,

grazie per la vostra così numerosa presenza e premurosa partecipazione al Precetto pasquale. Una vostra libera, apprezzabile e meritevole decisione di sospendere per un po’ di tempo l’attività giudiziaria, per preghiera con la celebrazione eucaristica. La Parola del Signore che la liturgia di questo Martedì Santo ci offre ha molto da dirci per la nostra vita personale interiore, motivo di verifica e di arricchimento allo stesso tempo.

Nella preghiera iniziale, che la liturgia indica come Colletta, perché mette insieme le intenzioni per le quali noi siamo in preghiera abbiamo anche chiesto al Signore di celebrare con fede i misteri e la passione di Gesù per “gustare, per assaporare la dolcezza del suo perdono”. Noi siamo in un luogo, il Tribunale e la Procura presso il Tribunale di Cassino, dove non si amministra il perdono, invece si deve amministrare la giustizia, il dovere di una giusta verità e di una vera giustizia, compito doveroso per l’ordine sociale. Ciò non toglie che nel rapporto con Dio la giustizia divina trovi il suo compimento nel perdono, quel perdono che non è sostitutivo della giustizia, ma è l’ultima parola della vera giustizia che deve riconoscere sempre la dignità della persona e la possibilità del pentimento, perché il perdono riguarda la persona, la giustizia riguarda i suoi atti. Ogni persona può sempre raggiungere il fine ultimo della giustizia umana nella misericordia, nel perdono di Dio.

Cari amici,

lo vediamo proprio nel racconto del brano che abbiamo appena ascoltato dal Vangelo di Giovanni, che mette in risalto queste due figure: Giuda e Pietro. Due persone così vicine ma anche così distanti, che hanno molto da dirci. Vicini, perché sono chiamati come gli altri dieci ad essere apostoli, cioè gli amici più vicini alla vita e al ministero di Gesù, alla sua predicazione, ai suoi miracoli: presenti a tutto quello che Gesù ha compiuto. Così lontani nel destino ultimo della loro esistenza. Il distanziamento decisivo Giuda e Pietro avviene quando Gesù nella cena dichiara che uno dei dodici lo tradirà. Ma poi più avanti – verso la conclusione del brano di oggi – scopriamo che anche per Pietro ci sarà un momento difficile. A Pietro, che promette – nel suo entusiasmo – mari e monti: “Darò la mia vita per te!”, Gesù dice: “Darai la tua vita per me? tu mi rinnegherai tre volte e il gallo canterà per ricordartelo”. Quindi c’è in qualche maniera, sia in Giuda e sia in Pietro, una criticità molto seria, che io direi con queste parole: è la crisi della coscienza morale bloccata, paralizzata, incapace di fare discernimento sul bene sul male che si sta per commettere. Vivono entrambi una crisi di coscienza, una coscienza che invece di ricercare il bene da compiere a difesa del Maestro che di loro si era fidato chiamandoli a seguirlo come apostoli, invece sprofonda drammaticamente. Giuda e Pietro vivono la medesima crisi, ma in modo diverso; quindi una criticità che li accomuna e un distanziamento che li differenzia moltissimo. Perché? perché la coscienza di Giuda è una coscienza ormai corrotta, la coscienza di Pietro è invece una coscienza fragile, difettosa, debole, ma non corrotta. La differenza è sostanziale, perché la fragilità della coscienza dice la debolezza di tutti noi: la fragilità e la debolezza dell’errore, del cedimento, del peccato, dell’offesa di Dio, offesa degli altri, con le parole, con gli atti, nei rapporti, nei sentimenti, negli affetti, nell’esercizio delle nostre responsabilità e doveri di ogni genere. Errare humanum est, perseverare diabolicum. È la corruzione che fa persistere ostinatamente nel male. Ecco la corruzione della coscienza, quando la persona cioè non riesce più a capire uno spiraglio di bene ed è ostinatamente orientata a perseguire il danno che vuole raggiungere contro un altro. Questo è Giuda, è la corruzione. Giuda tradisce, cioè assume una posizione irreversibile. Pietro avrà la sua debolezza nel rinnegare Gesù. Pietro non è meno attivo di Giuda, ma è per debolezza, paura, anche se la promessa fatta era più grade delle sue reali forze interiori, quando dige a Gesù davanti a tutti gli altri (Che figura!): “Io darò la mia vita per te!”. Gesù gli anticipa la sua fragilità, invitandolo a fare i conti con la sua debolezza: “Darai la tua vita per me? In verità, in verità io ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m’abbia rinnegato tre volte”. E Pietro piangerà lacrime amare, pendendosi amaramente!

 

La conclusione delle due storie, Pietro e Giuda, si differenzia proprio perché diversa è la coscienza dell’uno e dell’altro: nella corruzione non c’è una reversibilità; nella debolezza c’è sempre una possibilità di emendarsi, di capire, di riprendersi, di convertirsi, di pentirsi. Il pentimento è un grande valore perchè custodisce la dignità anche in un peccatore. La differenza – a mio parere – tra Giuda e Pietro non è la gravità dell’azione, perché il fatto compiuto è grave per la coscienza di entrambi: è grave tradire ed è grave anche rinnegare; la differenza la fa proprio la condizione interiore della propria coscienza. Perché la coscienza corrotta non conosce pentimento, la coscienza fragile conosce il pentimento. Oltretutto, il riferimento al gallo è molto interessante. Gesù dice: Mi rinnegherai per ben tre volte e la gravità te la insegnerà proprio il gallo che canterà? Il gallo che cosa rappresenta? Il canto del gallo preannuncia la fine della notte, dell’oscurità, delle tenebre, perché alle prime luci, ai primi bagliori, il gallo canta, vede annuncia l’arrivo del giorno. Il gallo distingue molto bene la notte dal giorno. Invece, Pietro non saprà ben distinguere la luce dalle tenebre, cedendo alla tenebre del rinnegamento.

Quando Pietro sente cantare il gallo, scoppia in pianto: si vergogna di se stesso, si pente, si rende conto, piange lacrime amare, sono anche lacrime di cambiamento. La perversione della corruzione invece non conosce pentimento. Giuda passa dal risentimento verso Gesù al rimorso come disprezzo di sé. Il rimorso è molto pericoloso, perché non ti aiuta a cambiare vita, ma a disapprovare la propria esistenza; tant’è vero che Giuda la farà finita: incapace di cambiare vita, mette fine alla propria vita.

Oggi noi siamo di fronte a Dio con la nostra coscienza personale. Cosa chiedere al Signore? che davvero ci sia non la presunzione di non peccare, ma la consapevolezza della nostra debolezza, della nostra fragilità umana e il desiderio della dolcezza del perdono, così come abbiamo chiesto al Signore sin dall’inizio della celebrazione eucaristica. L’errore è sempre errore e va stigmatizzato come tale: mai ridurre la gravità di una azione sbagliata; nello stesso tempo credere sempre alla possibilità nel cuore di poter risolvere l’errore nel pentimento, nel ravvedimento, con la possibilità di riprendere la nostra vita in mano e ri-orientarla nella giusta direzione.

Pietro lo capirà, e potrà riprende la sequela di Gesù. Giuda non può capirlo, perchè la corruzione non conosce pentimento. E’ necessario vigilare sui nostri rimorsi e trasformarli in pentimento, aprendo il cuore alla misericordia sconfinata del Signore. Il discepolo vive da peccatore perdonato. Pietro lo ha imparato sulla propria pelle. Bisogna sempre liberare il cuore dalla tentazione di pensare che non ci sia più niente da fare negli errori commessi; non è vero. Ognuno prenda consapevolezza di sé, chiedendo al Signore di essere pronti a capire la possibilità di risollevarci dai nostri errori, come Pietro, magari anche di piangere per le nostre debolezze, ma contare sulla dolcezza del suo perdono. È questo che rimette sempre in piedi la nostra vita. Non c’è peccato più grave della superbia e dell’orgoglio di chi pensa che non abbia mai nulla da farsi perdonare. Questo è gravissimo. E’ la prima spia rossa che segnala il rischio della corruzione del cuore che non riesce più a vedere il male nel quale si vive. Chiediamolo al Signore la gioia della speranza, di contare sempre sulla dolcezza del perdono, ma anche sulla dolcezza del perdono tra di noi; ne abbiamo bisogno: è questo che dà vita e dà respiro alla nostra storia quotidiana.

*Testo da registrazione audio

 

                                                                                   + Gerardo Antonazzo

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