Il Vescovo Gerardo riflette sulle figure di Giuda e Pietro, coscienza corrotta e coscienza debole, irreversibilità nel male e pentimento
Dopo anni di sospensione per motivi sanitari, il 2023 ha riportato una tradizione di cui si sentiva la mancanza: il Precetto Pasquale in Tribunale. La solenne Aula di Corte d’Assise si è riempita, la mattina del 4 aprile, di magistrati, avvocati e personale amministrativo, accorsi per partecipare e ascoltare la Parola di Dio e le parole del Vescovo Gerardo Antonazzo, giunto con Don Benedetto Minchella, nel cui territorio parrocchiale si trova il Tribunale. In prima fila, il Presidente del Tribunale Marcopido, il Procuratore della Repubblica D’Emmanuele ed il Presidente dell’Ordine forense Di Mascio. L’Aula, che normalmente ospita processi, trasformata in chiesa, con il tavolo, divenuto altare coperto del candido lino della tovaglia, le candele, gli arredi sacri; i microfoni non più per amplificare arringhe o testimonianze, ma le pagine bibliche della liturgia del giorno. Due mondi diversi si sono uniti: d’altronde, a ben guardare, i loro linguaggi hanno tantissime parole in comune: confessione, giustizia, testimonianza, colpa, pentimento, giudizio, legge…
Proprio per questo il Vescovo nell’omelia, commentando la pagina del vangelo di Giovanni che racconta l’Ultima Cena, ha incentrato la sua riflessione sulle due figure principali attorno a Gesù: Giuda e Pietro, vicini – in quanto amici e seguaci di Gesù, ma lontani nel destino ultimo della loro esistenza. “Uno di voi mi tradirà”, dichiara Gesù, ma in realtà anche un altro lo tradirà o meglio lo rinnegherà, non solo Giuda ma anche Pietro. I due personaggi vivono entrambi un momento di criticità della coscienza morale, una crisi di coscienza, ma in modo diverso: la coscienza di Giuda è ormai corrotta, quella di Pietro è una coscienza fragile, debole, difettosa. È una differenza sostanziale. La fragilità di Pietro è quella di tutti gli esseri umani, può portare all’errore; la corruzione invece è la perseveranza nel male, che pone in una posizione ostinatamente orientata a perseguire il danno che vuol raggiungere di una persona. La conclusione diversa delle due storie si differenzia non per la gravità delle colpe, ma proprio perché è diversa la coscienza dei due. Nella debolezza c’è sempre la possibilità di pentirsi e ravvedersi, la corruzione invece diventa irreversibile. La coscienza corrotta non conosce il pentimento, la coscienza debole sì. Pietro si pentirà al canto del gallo: sembra curioso questo particolare predetto da Gesù, ma il gallo è simbolo del momento in cui si esce dalle tenebre della notte e si entra nella luce, il pianto di Pietro è segno del cambiamento interiore. Giuda conoscerà invece il rimorso, che è pericoloso, non aiuta a cambiare vita, infatti egli mette fine alla sua vita. Allora noi tutti chiediamo a Dio la grazia della consapevolezza della nostra fragilità e della dolcezza del perdono, di Dio e delle persone.
Dopo la Benedizione conclusiva al termine della celebrazione, c’è stato un cordiale scambio di auguri per l’imminente Pasqua.
Adriana Letta