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Testimoni dell’invisibile – Ordinazione diaconale di Aversano Piergiorgio (Basilica-Santuario Regionale di Canneto, 6 agosto 2024)

TESTIMONI DELL’INVISIBILE

Ordinazione diaconale di Aversano Piergiorgio
Basilica-Santuario Regionale di Canneto, 6 agosto 2024

 

Vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, non perché siamo andati dietro a favole artificiosamente inventate, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza” (1Pt 1,16).

 

Carissimi amici,

l’apostolo Pietro fa appello all’esperienza personale vissuta, per attestare la fondatezza e la credibilità della sua testimonianza. Dichiara di essere stato in prima persona “testimone oculare della sua grandezza”, e testimone uditivo della voce giunta “dalla maestosa gloria: Questi è il Figlio mio, l’amato, nel quale ho posto il mio compiacimento”. L’evento vissuto con Gesù resterà per sempre nel genoma vocazionale e spirituale di Pietro, che insieme con Giacomo e Giovanni, Gesù “prese con sé e condusse su un alto monte, in disparte, loro soli” (cfr. Mc 9, 2-10). Il riferimento ai monti scandisce il percorso dell’itinerario biblico: il monte Moria per Abramo, il Sinai per Mosè, il monte Horeb per il profeta Elia, il Tabor e poi il Golgota per Gesù. Sono varianti teologiche della condizione spirituale necessaria per essere introdotti nell’esperienza dell’incontro decisivo con Dio, di quelli che segnano davvero una svolta.

L’anabasi della vocazione

La tappa del Tabor segna per Gesù una progressione nella presa di coscienza della volontà del Padre. Il percorso tra l’evento del battesimo al Giordano e la trasfigurazione sul Tabor, traccia una sorta di anabasi della sua vocazione messianica. Non si tratta di una replica, ma di una crescita. C’è da pensare che in quell’avvenimento sul monte Gesù comprese qualcosa di più, di più chiaro certamente, della sua vocazione: “Oramai Gesù non è più quello del battesimo con il Battista, è passato del tempo, Gesù è maturato nel proprio magistero e nell’autocomprensione di se stesso” (L. Bruni). Alla vigilia della sua rivelazione definitiva, Gesù ha una nuova comprensione del suo compito, del suo posto nel progetto del Padre e rispetto al mondo: si apre il cielo, vede, ode, racconta, capisce. Assistiamo ad un processo umano di maturazione vocazionale. Questa forma di anabasi della chiamata e della sequela tocca anche il percorso di ognuno di noi, riguarda il percorso di Piergiorgio. L’inizio del processo vocazionale è sempre confuso, germinale, non sempre ben riconoscibile e non sempre facilmente identificato. E’ nella lettura degli eventi, delle persone che mi accompagnano nel discernimento, nei fatti vissuti, negli slanci come nei fallimenti, tra potenza di Dio e debolezza umana, che la sequela di Gesù si chiarifica e si delinea. Il momento più maturo è quando diventa chiaro ed è accolto come progetto di Dio ciò che desidero fare della mia vita, con la responsabilità di una decisione definitiva secondo Dio.

Spiritualità dell’innovazione

Non si vive di illusioni o di facili ottimismi. Avvolti dalla nube e dalla nebbia, sulla montagna si sale chiamati da Dio a scalare i processi dell’accostamento al suo Mistero. Il cammino vocazionale di Pietro è davvero complesso. Pietro comprende a fatica la sua vocazione come pro-vocazione ad un totale coinvolgimento nel destino del Maestro. Scrive san Charles De Foucauld: “Quando è chiaro che Gesù ci ha chiamati a uno stato, ci ha dato una vocazione, non dobbiamo temere più nulla da affrontare senza esitazione gli ostacoli più insormontabi­li: Gesù ha detto (a Pietro): «Vieni» e noi abbiamo la grazia per camminare sui flutti. Sembrerà impossibile, ma Gesù è il signore dell’impossibile: l’unica cosa impossibile è che la sua parola «Vieni» non ci renda tutto quan­to possibile. Son dunque necessarie tre cose. Anzitutto fare come Pietro: supplicare il Signore, rivolgerci a lui in modo chiaro. Poi, dopo avere udito nettamente il «Vieni», senza il quale non ab­biamo il diritto di gettarci nell’acqua, dopo avere nettamente udito, gettarsi nell’acqua sen­za esitare, come fa San Pietro. Infine bisogna, fidando nel «Vieni» uscito dalla bocca di Dio, camminare fino in fondo sui flutti senz’ombra di dubbio, senz’ombra d’inquietudine, sicuri che, se camminiamo con fede e fedeltà, tutto ci sarà facile lungo la via sulla quale Gesù ci chiama, e ciò in virtù di quella parola: «Vieni». Dopo che ci ha detto: «vieni», camminiamo dunque lungo la via sulla quale ci chiama, camminiamo con una fede assoluta, perché la terra e il cielo passeranno ma la sua parola non passerà”. Ogni processo vocazionale orientato alla sequela esclusiva del Signore Gesù, se non introduce all’intimità verginale con il Signore, resta una pericolosa e fuorviante pretesa umana, un miraggio nel deserto delle mille illusioni, una poco originale e movimentata commedia targata Walt Disney. La salita della montagna significa purificazione, rinuncia, fatica, affidamento, kenosi, abbandono totale. E’ solo questa condizione spirituale vissuta realmente che ci tira fuori da ogni logica o gratificazione mondana. “Vocazione. É la parola che dovresti amare di più. Perché è il segno di quanto sei importante agli occhi di Dio. (…) Gli stai a cuore non c’è dubbio. In una turba sterminata di gente risuona un nome: il tuo. Stupore generale. A te non aveva pensato nessuno. Lui si!” (T. Bello). Tutto questo dovrebbe sprigionare una sorta di “spiritualità dell’innovazione”, della creatività, e dell’immaginazione di un’esistenza che non si arrende al dejà vu, priva di originalità, sempre uguale a se stessa! Vocazione implica una chiamata a cui corrisponde un incontro libero e decisivo, se veramente il nostro animo è aperto alla vita e alla grazia dello Spirito. Una chiamata e un incontro che restano liberi e che, se vissuti in grande semplicità, gratuità, gioia ed entusiasmo, portano a comprendere e a gustare la bellezza del Figlio amato: “Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo, perciò Dio ti ha benedetto per sempre. Dio, il tuo Dio, ti ha consacrato con olio di letizia, a preferenza dei tuoi compagni” (cfr Sal 44). Signore, è davvero bello stare dalla tua parte! E’ bello stare con te per imparare a vivere di te, vivere per te!

Diaconia della Croce

Ma per comprendere la bellezza del Tabor non possiamo tralasciare quanto Gesù aveva dichiarato prima della salita. Gesù aveva parlato ai discepoli in termini chiari e sconcertanti: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà” (Mc 8, 34-35). E mentre scendono dal monte, Gesù “ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti. Mentre Gesù ritorna a spiegare loro che il Figlio dell’uomo “deve soffrire molto ed essere disprezzato”. Il Tabor svela, come d’incanto, la bellezza di Cristo, Dio-Uomo. Ma la luce del Tabor rischia di accecare la vera gloria del Figlio dell’uomo. Lo stesso Pietro è disorientato e usa parole a sproposito. La croce sarà il luogo in cui Gesù rivela l’amore di Dio attraverso la sua vita offerta e donata. Questa glorificazione avviene nella decisione con cui Gesù sceglie di non opporsi al malvagio. La gloria è la manifestazione dell’amore estremo verso ogni forma di inimicizia. Gesù sta mostrando che tutto, tutto, può essere vissuto in modo evangelico, ovvero sotto il segno dell’amore. Anche il male che l’altro compie. Nell’evento della Croce, mentre la ferocia umana segna la discesa delle tenebre, la luce e la gloria dell’amore divino raggiunge lo zenit del suo massimo fulgore.

Cari amici,

abbiamo bisogno del Tabor, ma non basta. Sostare sul monte della preghiera, della confidenza, dell’amicizia spirituale serve per imparare a rimanere dalla parte del Signore sempre, specialmente quando attraversiamo l’ora della prova. L’ora della prova segna l’ora della gloria! Il Signore non ci lascia mai da soli quando calano le tenebre e il buio delle nostre insufficienze, debolezze, incomprensioni, delusioni e scoraggiamenti, frustrazioni. Il Signore conceda in particolare a te Piergiorgio, di non abbandonare mai né il Tabor né il Calvario. Scrive Papa Francesco: “Nello stesso cammino di fede, spesso inciampiamo incontrando lo scandalo della croce e le esigenze del Vangelo, che ci chiede di spendere la vita nel servizio e di perderla nell’amore, invece di conservarla per noi stessi e difenderla. Abbiamo bisogno, allora, di un altro sguardo, di una luce che illumini in profondità il mistero della vita e ci aiuti ad andare oltre i nostri schemi e oltre i criteri di questo mondo. Anche noi siamo chiamati a salire sul monte, a contemplare la bellezza del Risorto che accende barlumi di luce in ogni frammento della nostra vita e ci aiuta a interpretare la storia a partire dalla vittoria pasquale” (Angelus, 28 febbraio 2021).  La Vergine Bruna di Canneto, patrona della nostra Diocesi, custodisca la fede del popolo di Dio e la fedeltà credibile dei suoi pastori.

                                                                                                              + Gerardo Antonazzo