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Tra memoria e futuro 1944 – 2024. Il contributo delle donne dell’Azione Cattolica di San Donato Val di Comino durante la battaglia di Cassino

 

TRA MEMORIA E FUTURO 1944-2024
Il contributo delle donne dell’Azione Cattolica
di San Donato Val di Comino nei mesi della battaglia di Cassino

 

Domenica 3 novembre 2024, dalle ore 16, si terrà a San Donato Val di Comino una giornata di incontro, turismo, riflessione e consapevolezza storica dal titolo Tra memoria e futuro 1944 – 2024. Il contributo delle donne dell’Azione Cattolica di San Donato Val di Comino durante la battaglia di Cassino. L’evento, organizzato dall’Azione Cattolica della Diocesi di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo e dal Museo del Novecento e della Shoah di San Donato, vedrà come ospite Giuseppe Notarstefano, il presidente nazionale dell’Azione Cattolica Italiana, per la prima volta presente in Diocesi e Sua Eccellenza Mons. Gerardo Antonazzo, vescovo della diocesi di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo. La manifestazione è organizzata in collaborazione con il Comune di San Donato Val di Comino e la Parrocchia di Santa Maria e San Marcello.

IL PROGRAMMA

Alle ore 16 presso la Chiesa del Convento (Piazza IV Novembre) si terrà un incontro sul ruolo delle donne dell’Azione Cattolica, ieri e oggi, nella vita della Chiesa e del Paese. Il programma della manifestazione prevede:

– i saluti di don Akuino Toma Teofilo, abate parroco della Parrocchia di Santa Maria e San Marcello e di Enrico Pittiglio, sindaco di San Donato Val di Comino;

–           l’introduzione di Luca Leone, coordinatore del Museo del Novecento e della Shoah;

–           il ricordo di Elvira Cellucci e delle donne dell’Azione Cattolica durante la guerra e negli anni ottanta, fatto dai testimoni: Nora e Donato Antonellis, Teresa Mazzola, Donatina Pellegrini, Giovanni Perrelli;

–           gli interventi di Giuseppe Notarstefano, presidente dell’Azione Cattolica Italiana e di monsignor Gerardo Antonazzo, vescovo della Diocesi di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo.

A seguire, i partecipanti seguiranno un percorso guidato sui luoghi della seconda guerra mondiale a San Donato: la canonica, la casa della famiglia Levi, l’osteria Gentile, i rifugi antiaerei, i nascondigli di Via Duomo, l’Albergo Gaudiello.

Successivamente visiteranno il Museo del Novecento e della Shoah, in particolare le stanze in cui viene approfondito il ruolo dei cattolici e dell’Azione Cattolica nell’aiuto agli internati ebrei e agli ex prigionieri alleati.

La giornata si chiuderà al Memoriale della Shoah, luogo di concentramento e deportazione degli ebrei da San Donato ad Auschwitz.

Per chi lo desidera, è possibile condividere la Santa Messa alle ore 11 presso il Duomo.

SINTESI DEI FATTI RIGUARDANTE IL RUOLO DELL’AZIONE CATTOLICA E DELLA PARROCCHIA NELL’AIUTO AGLI INTERNATI EBREI STRANIERI E AGLI EX PRIGIONIERI ALLEATI (1940-1944)

San Donato Val di Comino, è conosciuto da studenti e studiosi come “il paese degli eroi civili” perché, tra il 1940 e il 1944 divenne la più importante località d’internamento libero per ebrei stranieri del Lazio e una delle più importanti d’Italia. Inoltre fu retrovia tedesca del fronte di Cassino. L’aiuto e la collaborazione della Parrocchia e dell’Azione Cattolica di San Donato permisero di gestire la permanenza degli internati in maniera esemplare, dando la priorità all’aspetto umano, al rispetto dei valori e alla solidarietà. Un esempio virtuoso che è oggetto di studio da parte di studiosi e del Museo dell’Olocausto di Washington.

A tal proposito la senatrice Liliana Segre ha scritto: «A San Donato si era cercato i primi anni della guerra di trovare forme di integrazione con le decine di ebrei stranieri che erano stati internati in zona. I Sandonatesi, particolarmente le donne, ma anche le autorità civili e religiose, fecero quanto possibile per aiutare quelle persone internate prima, poi perseguitate e braccate. Furono allora scritte dalla popolazione di San Donato pagine mirabili di altruismo, solidarietà, coraggio e direi eroismo. Questo è giusto ricordare e commemorare».

Per otto mesi, tra il 1943 e il 1944, oltre cento famiglie sandonatesi hanno soccorso e salvato numerosi internati ebrei stranieri, sfollati provenienti dal Molise e dalla Campania, oltre mille ex prigionieri alleati fuggiti dai campi di prigionia dell’Abruzzo e del Centro Italia. Un aiuto che è costato la reazione dell’esercito tedesco, presente in forze a San Donato perché retrovia del fronte di Cassino posta a ridosso della Linea Gustav e a pochi chilometri dalla Città Martire. Ciò ha determinato deportazioni tedesche, bombardamenti e incursioni alleate, la morte di decine di civili, il peso delle colonne germaniche in ritirata durato giorni. San Donato, liberato dall’esercito alleato il 5 giugno 1944, è stato l’ultimo centro del Cassinate e della Provincia di Frosinone in cui si è combattuto. Nonostante tali difficoltà, le famiglie sandonatesi – con le donne dell’Azione Cattolica in prima fila – hanno aiutato quanti erano in difficoltà, sacrificandosi. A loro sono giunti gli attestati di ringraziamento del generale Alexander.

Oggi, questa straordinaria esperienza è stata recuperata grazie al lavoro di ricerca di studiosi e ricercatori italiani e stranieri. Ciò ha determinato la creazione a San Donato del Museo del Novecento e della Shoah, del Memoriale e di percorsi nel centro storico e sulle montagne. Grazie a questi interventi, ogni anno, migliaia di studenti visitano San Donato per scoprire l’eroismo silenzioso dei suoi abitanti, lo slancio solidale della Parrocchia e dell’Azione Cattolica, il valore dell’inclusione e l’amore per la Repubblica Italiana (San Donato è stato uno dei comuni che, in percentuale, ha contribuito maggiormente alla sua affermazione nel 1946, grazie all’82,24% dei voti).

SAN DONATO PRINCIPALE LOCALITA’ DEL LAZIO
PER L’INTERNAMENTO LIBERO DEGLI EBREI STRANIERI

Il 15 maggio 1940 un telegramma del Ministero dell’Interno invitava i prefetti di venticinque province dell’Italia centro-settentrionale a inviare entro cinque giorni un elenco di località adatte all’internamento. Le località andavano concordate con le autorità militari, perché bisognava evitare luoghi che si trovassero in zone sensibili per la sicurezza militare. Le località scelte furono 601, di cui 32 nel Lazio. In provincia di Frosinone vennero individuate: Fiuggi, Frosinone, Picinisco, San Donato Val Comino e Sora. San Donato ospitò il numero maggiore di internati di tutto il Lazio e uno dei numeri maggiori d’Italia (il 26° Comune su 601).

I primi internati giunsero a San Donato nell’estate del 1940. A San Donato gli ebrei stabilirono buone relazioni con la popolazione ricevendo accoglienza, integrazione e aiuto dalle famiglie e dalle autorità locali. Tra le internate illustri vanno ricordate: Margaret Bloch, amica e confidente di Kafka, nonché uno dei personaggi femminili del capolavoro kafkiano Il processo; Klara Babad, proprietaria di una casa editrice molto conosciuta in Cecoslovacchia; Grete Berger, importante attrice del cinema muto internazionale e dell’Espressionismo tedesco, interprete di alcuni capolavori della storia del cinema (Lo studente di Praga, Metropolis, Il dottor Mabuse, Destino).

Con la caduta del fascismo (25 luglio) e l’armistizio (8 settembre), la precarietà governativa si ripercosse sui nostri internati: i sussidi non vennero più erogati con regolarità, l’eco della distruzione di Frosinone e il bombardamento dei centri limitrofi iniziarono a preoccupare la popolazione civile, la difficoltà negli spostamenti e nel reperimento di cibo divennero un problema.

Alla fine di settembre giunsero in Val di Comino le truppe tedesche della 305ª Divisione di fanteria. Nella notte fra il 21 e il 22 dicembre 1943 la 305^ Divisione fanteria fu sostituita dalla 5ª Divisione Cacciatori di montagna (le truppe alpine tedesche), di ritorno da Leningrado e dalla campagna di Russia. Essendo l’ultimo paese abitato prima del fronte, San Donato registrò numerosi bombardamenti, cannoneggiamenti e incursioni aeree da parte alleata, che provocarono molte morti e distruzioni.

Il soccorso agli internati ebrei fu dato in prevalenza dalle donne. Lo stesso impegno venne riservato agli ex prigionieri alleati nascosti sulle montagne, ai quali garantivano protezione in nascondigli sicuri, sostentamento alimentare, aiuto nella fuga. Per tali azioni rischiarono spesso la vita e finirono anche arrestate. Le sandonatesi che aiutarono gli ex prigionieri militari alleati durante l’occupazione tedesca furono numerose. In due elenchi redatti dal Comune di San Donato nel 1945, consegnati al comando militare alleato, risultano ben quaranta nominativi. Nei due elenchi redatti dal Comune di San Donato nel 1945, spediti all’Allied Screening Commission C.M.F, oltre alle donne troviamo i nomi di settanta sandonatesi. Dai documenti ufficiali risultano aiutati oltre mille ex prigionieri alleati.

 

LA MOBILITAZIONE DEI SANDONATESI E DELLA PARROCCHIA

L’aiuto agli ex prigionieri alleati, come agli internati ebrei, fu un fenomeno diffuso, spontaneo, che coinvolse decine e decine di famiglie. La Parrocchia diede un contributo notevole, mettendo a disposizione la Cucina dei poveri per la preparazione dei pasti, coinvolgendo le giovani dell’Azione Cattolica e diversi volontari per portare il cibo in montagna.

Numerosi internati ebrei trovarono rifugio, in località Vorga, presso due casolari di Michele Tramontozzi, chiamato affettuosamente “Zio Michele” dagli ebrei e in una grotta non troppo distante dalle costruzioni, raggiungibile attraverso un erto sentiero oggi denominato “Grotta degli Ebrei”. La grotta venne utilizzata in prevalenza dagli ebrei più giovani, in particolare polacchi, che grazie a essa riuscirono a evitare l’arresto. Con loro trovarono la salvezza diversi ex prigionieri alleati e le internate iugoslave. I primi mesi del 1944 furono molto freddi e nevosi. I rifugiati della Vorga ebbero difficoltà di movimento a causa della neve. Questo il ricordo dell’ebrea austriaca Gertrude Glaser:

«Ci rifugiammo in montagna, in due casolari. Dietro ai casolari c’era una grotta, dove potevamo trovare rifugio in caso di bombardamenti. Il pavimento dei casolari era ricoperto di paglia, sulla quale dormivano. Le nostre preoccupazioni giornaliere erano quelle di non farci scoprire e procurarci da mangiare. Non si poteva cucinare perché il fumo avrebbe rivelato il nascondiglio ai tedeschi. Di notte, invece, facevamo i turni di guardia. Noi donne eravamo responsabili del vitto: ogni giorno una di noi scendeva a San Donato o in campagna a chiedere qualcosa da mangiare o a vendere uno dei pochi gioielli rimasti o qualcosa che avevamo in più da vestire. Con i soldi ricavati compravamo generi alimentari, che poi cucinavamo in una delle case dei contadini e portavamo agli altri. Gli uomini non potevano esserci d’aiuto, perché la loro presenza in paese avrebbe destato sospetti. In quanto ebrei sarebbero stati arrestati immediatamente. Ognuna di noi strinse rapporti con una delle famiglie di San Donato e andava a casa loro a cucinare. Ricevemmo cibo e aiuto anche dal parroco. Col passare del tempo si unirono al gruppo nuovi rifugiati. Una notte bussarono alla porta. Ci svegliammo impauriti. Di fronte a noi c’erano tre soldati indiani, fuggiti dai tedeschi, in cerca di pane. Questi giravano di notte per non venire riconosciuti. Dopo di loro si aggregarono al gruppo due rifugiati iugoslavi. Con loro avevano razioni militari e un po’ di cioccolato: una prelibatezza che non gustavamo più da anni. Successivamente si unirono a noi anche due sudafricani. Uno di loro era medico e distribuì medicine in quel momento essenziali per alcuni di noi. Nonostante questo, la situazione del gruppo andava peggiorando perché c’erano più bocche da sfamare. Iniziò l’inverno e uno spesso manto di neve ricoprì tutto: scendere e salire la montagna divenne disagevole».

A pagare per tutti sarà Vincenzo Piselli. Catturato dai tedeschi il 22 marzo 1944, fu deportato a Dachau, dove perse la vita a causa degli stenti e delle sevizie il 7 marzo 1945.

 

L’AIUTO DI OSVALDO COLETTI E L’OPERA SAN VENCESLAO IN VATICANO

Nel 1943 l’internato ebreo Ignazio Gross entrò in contatto con Karel Weirich, capo degli antinazisti cecoslovacchi in Italia, ricevendo aiuti per sé e per le connazionali internate. Weirich era a capo dell’Opera San Venceslao, nascosta in Vaticano.

Dalle lettere inviate da Ignazio Gross a Karel Weirich emergono le precarie condizioni degli ebrei e l’affidabilità di Osvaldo Coletti nel fungere da collegamento con la sede romana.

Tra agosto 1943 e febbraio 1944, Ignazio ricevette diversi sussidi ammontanti a 2.700 lire, mentre a ogni donna fece avere la somma di 1.000 lire. Ignazio fece aiutare anche Anna ed Edith Krainer nonostante non fossero cecoslovacche. Il 1° aprile Karel Weirich venne arrestato e deportato in Germania. Tra i finanziatori dell’Opera c’era monsignor Montini, futuro papa Paolo VI. Una lettera di Karel Weirich a monsignor Giovanni Battista Montini, futuro papa Paolo VI, spiega la difficile condizione dei connazionali internati:

«Mi permetta ora, Eccellenza, di metterLe in rilievo che la posizione dei Cecoslovacchi è tra quella dei profughi la più difficile e dolorosa. Essi infatti non godono di nessuna protezione diplomatica e perciò non ricevono nessun sussidio ad altro appoggio ufficiale, ma, uccelli liberi, dipendono esclusivamente dal buon cuore dei privati. L’Opera di San Venceslao, iniziativa privata e non pubblica, sorta in Roma, con grandi difficoltà è riuscita a trovare i mezzi per venire incontro nel miglior modo possibile ai connazionali profughi e bisognosi. Le circostanze dei dolorosi avvenimenti dal 1939 ci hanno privato del proprio rappresentante ufficiale anche nella Casa del Padre Comune».

La raccolta dei fondi da parte dell’Opera fu efficiente, grazie ai numerosi collaboratori e alle ottime capacità organizzative di Weirich e dei suoi collaboratori. A beneficiare degli aiuti furono i cittadini cecoslovacchi in possesso di un documento che ne attestasse la nazionalità e impossibilitati a lavorare, come gli ebrei internati. I soggetti da aiutare erano individuati attraverso: la Nunziatura Apostolica, che periodicamente inviava i suoi rappresentanti presso i vari luoghi di detenzione; la Delasem, che redigeva liste con i nominativi da aiutare; amici e conoscenti dei cecoslovacchi in difficoltà, venuti a conoscenza dell’Opera.

Il grande merito di Weirich fu quello di interessarsi a ogni singolo caso, inviando una lettera a ognuno. Una volta ottenuto un documento di riconoscimento e conosciute le condizioni economiche e di salute, provvedeva a spedire denaro, vestiti e anche medicinali. Alle tipografie che lavoravano per gli istituti religiosi vaticani commissionò documenti falsi che distribuì agli ebrei.

Nel 1943 Ignazio Gross entrò in contatto con Karel Weirich, ricevendo aiuti per sé e per le connazionali internate. Ciò fu possibile grazie al giovane Osvaldo Coletti, di professione autista, che andava a Roma a ritirare il denaro per gli ebrei. Ignazio conosceva bene Osvaldo perché viveva in un suo appartamento, in via Napoli. Dalle lettere inviate da Gross a Weirich, emergono le precarie condizioni degli internati sandonatesi e l’affidabilità di Coletti nel fungere da collegamento con la sede romana

IL RUOLO DELL’AZIONE CATTOLICA E DELLA PARROCCHIA DI SAN DONATO

Come accennato da Gertrude, l’unica azione organizzata fu quella dell’Azione Cattolica e della Parrocchia. A coordinarla c’era don Donato Di Bona, l’abate-parroco, coadiuvato da alcune interessanti figure: Elvira Cellucci, responsabile dell’Azione Cattolica e della Cucina dei poveri, organizzava l’approvvigionamento di cibo agli ex prigionieri e agli internati; Rosaria Cardarelli, proprietaria di una trattoria e cuoca nella Cucina dei poveri, curava la preparazione dei pasti assieme alla giovane Derna Salvucci; Vincenzo Piselli, fabbro e collaboratore di don Donato per il quale effettuava lavori di manutenzione nel Duomo, si occupava di portare in montagna il cibo. Straordinario fu anche il ruolo delle ragazze più giovani dell’Azione Cattolica: ufficialmente dirette verso Pietrafitta per andare a lavare i panni nei fontanili, quando giungevano nei pressi in località Vorga si fermavano e lasciavano i cesti con gli alimenti nei posti dove ebrei ed ex prigionieri alleati sapevano di trovarli.

Clelia Mazzola, una delle collaboratrici più strette di don Donato Di Bona, racconta le difficolta di quei giorni: «Non arrivava nessun tipo di aiuto alla parrocchia. Il parroco, anche se aveva un modo di fare burbero, interveniva puntualmente, con gli aiuti a lui possibili, in ogni situazione di bisogno materiale, ma non voleva mai comparire in prima persona. In tante famiglie aiutammo spontaneamente i militari nascosti. C’era miseria per tutti, ma quel po’ che si riusciva a racimolare lo si divideva con loro».

Nell’ufficio dell’anagrafe del Comune di San Donato lavoravano cinque dipendenti: gli applicati Carmela Cardarelli e Donato Coletti; le avventizie Rosaria De Rubeis, Maddalena Mazzola e Pasqualina Perrella.

Maddalena e Pasqualina, entrambe dell’Azione Cattolica, vengono assunte nell’ottobre 1940, dopo aver svolto il tirocinio dal 16 giugno. Anche l’applicata Carmela Cardarelli è iscritta all’Azione Cattolica.

In paese, intanto, gli ebrei erano spaventati dai controlli tedeschi. Molti di loro tentano di lasciare San Donato procurandosi carte d’identità false dalle dipendenti dell’ufficio anagrafe.

Queste li aiutano distruggendo il documento d’identità originale e lo sostituiscono con uno nuovo, dove inseriscono generalità italiane e dati alterati. Il podestà Gaetano Marini, facendo finta di non sapere, li firma. Da questo momento gli internati possono muoversi con più facilità.

Uno degli ebrei che viene fornito di un nuovo documento è Samuel Berlin, non appartenente al gruppo degli internati. Pasqualina trasforma la sua identità in “Antonio Bruno, nato a Napoli il 13 giugno del 1923, ivi residente alla via Di Fiore numero 59, studente, celibe”.

Questo il ricordo di Pasqualina Perrella:

«Ricordo molto bene il gran numero di documenti che falsificammo ed eravamo tutti perfettamente consci del pericolo che correvamo, anche se per noi fare quella cosa era del tutto naturale e lo sentivamo come dovere morale, dato che gli ebrei ormai erano parte della nostra società paesana».

6 aprile i tedeschi bussano alla porta di Pasqualina, all’epoca dei fatti ventiduenne. Entrati in casa minacciano tutta la famiglia. La ragazza deve seguirli:

«In quei giorni c’era la neve, avevo la febbre alta. Sentimmo bussare alla porta: era Taddeo, l’interprete austriaco che era venuto a prelevarmi per condurmi al Comando, in via Piave. Mia madre si oppose e l’ufficiale andò via per tornare poco dopo munito di pasticche antipiretiche e pretese che ne ingoiassi subito una. Così, al suo braccio, dovetti raggiungere il Comando tedesco. Gli internati stavano tutti lì, anche Margarethe Bloch, e mi accolsero con sorrisi e ringraziamenti perché credevano che sarebbero stati rilasciati loro i documenti falsificati, preparati da me e da altri impiegati del Comune, affinché potessero partire dal paese senza pericolo. Ma quando udirono il tono perentorio con cui mi fu chiesto se la grafia su quei documenti falsificati fosse la mia, si resero immediatamente conto del tranello e della loro fine. Intanto arrivò anche la mia collega, Carmela Cardarelli, che subì lo stesso interrogatorio».

Pasqualina e Carmela sono fortunate perché i tedeschi hanno come priorità il trasporto degli ebrei verso Auschwitz. Per le impiegate comunali i tedeschi si riservano di effettuare ulteriori indagini. Ancora una volta sarà decisivo l’intervento del podestà Gaetano Marini, che solo quattro giorni prima si era impegnato con il comando tedesco a pagare la multa da 200.000 lire per evitare rappresaglie alla popolazione. In questo caso chiede di soprassedere e che penserà lui alla questione, in quanto la giovane è una dipendente comunale. Un mese dopo, il 6 maggio, delibera il suo licenziamento. Tale soluzione le salva la vita.

Pasqualina lavorerà nel negozio di tessuti di famiglia per oltre cinquanta anni. Il 25 ottobre 2021 è morta. Aveva 99 anni, ultima sopravvissuta dell’Ufficio anagrafe.

ELVIRA CELLUCCI

Elvira Cellucci (1895-1980), responsabile dell’Azione Cattolica e organizzatrice delle principali attività della parrocchia, era legata ad Armida Barelli, padre Agostino Gemelli e varie associazioni vaticane.

Assieme a don Donato Di Bona e al podestà Guido Massa, creò la Cucina dei poveri nel 1929. Il funzionamento viene descritto nella Deliberazione del Podestà del 26 aprile 1933: «[…] è istituita in questo Comune una cucina dei poveri, la quale provvede, sotto la direzione e il controllo del Podestà, del Parroco e di altre notabilità cittadine alla somministrazione quotidiana di una refezione ai poveri segnatamente bambini e vecchi; istituzione in perfetta intesa e collaborazione delle altre locali opere di assistenza e beneficenza. […] tale istituzione ha nel suo attivo di circa quattro anni di vita la somministrazione di oltre 35 mila refezioni».

Lei era la coordinatrice, per conto della Parrocchia, dell’aiuto agli ebrei internati e agli ex prigionieri alleati nascosti sulle montagne. Il testamento spirituale di Elvira Cellucci è inciso sulla sua tomba:

NELLA FEDE IN DIO VISSE L’AMORE ALLA CHIESA
L’IMPEGNO NELLA AZIONE CATTOLICA
IL SERVIZIO ALL’UOMO NELLA DIFESA
DEGLI IDEALI DI GIUSTIZIA E DI LIBERTA’